La qualità essenziale della ricerca di Luca Alinari rientra nella categoria del pensiero poetante, quell’elaborazione della mente che, nell’attimo in cui viene espressa, si fa poesia pura; qui ritmi, cadenze, componenti retorici e musicali si attagliano ad immagini che incidono la pagina dipinta non solo con il valore della loro identità formale, ma con un cumulo di significati contenuti nel tratto allusivo, nella dinamica combinatoria degli elementi interni al quadro, nella sostanza della volontà di azione traslata che rimanda sempre a un “altrove”, ai bordi o fuori dal perimetro letterale della figurazione.
E’ per questo che l’opera si offre allo sguardo con un’ampia possibilità di essere “sfogliata” fino alla regione più segreta e meno visibile, facendo percorrere all’osservatore quella distanza governata appunto dalla forza lirica dell’intervento. Quando un artista si sintonizza su frequenze comunicative vibranti e appassionate, il processo che le ha prodotte parte solitamente dall’osservazione della realtà, quella più spicciola e quotidiana che fa evaporare i suoi contorni nella consuetudine, capace di erodere la nitidezza della visione. Questa viene restituita integra dal miracolo della pittura, che in Luca Alinari si attua in modalità diverse; egli trasfonde nell’atto creativo quel repertorio di elementi che registra nell’osservazione puntuale della natura, nelle evoluzioni delle stagioni, nei colori del cielo sottoposto ai capricci del clima, nel trascolorare delle foglie, nel movimento delle persone, nel loro colloquio, fatto anche di silenzi e intermittenze emotive.
La sua arte sgorga da una personalità pienamente in linea con le espressioni di una pittura che, di per sé, risulta metafora di un viaggio attraverso gli spazi “elastici” di una fantasia, in cui si sono impresse le tracce di un’aderenza profonda al mondo iperuranio, incantato perché sospeso sul crinale di un’ eterna fanciullezza: una sorta di età dell’oro, evocata per sviluppi iconici di intonazione fabulistica e un impianto cromatico di inattese corrispondenze con il sogno. Le scaturigini culturali della ricerca si situano nei riflessi di una sensibilità particolare per il rinascimento fiorentino da una parte, per taluni approdi della pop-art dall’altra, ma anche in tanti suggerimenti delle avanguardie, la metafisica e il surrealismo innanzitutto.
Non è escluso che la capacità di stupirsi di fronte a uno spettacolo naturale oppure al cospetto di persone si traduca poi in un’avventura espressiva, che isola una sequenza del racconto dentro la geometria della tela. Certi volti, allungati nella dimensione di ascendenza botticelliana (1) contrastano talora con effetti delicatamente caricaturali, mentre l’enigma di determinate atmosfere, avvolte nel sortilegio della lontananza remota, è consegnato alla fissità di sguardi perduti nella frontalità della composizione; in lande esotiche si affastellano dati morfologici complessi, inseriti in un labirinto di linee, anche virtuali per gran parte del loro tragitto, che imbrigliano brani iconici, quasi ritagli di figure innestate nel contesto dell’opera.
La dichiarata simpatia per il fascino del “rosa laccato”(2), tipico di Giovanni Battista di Jacopo De Rossi (3), ha il potere di dilatare le proprie interne risultanze ad altri colori come il verde e il celeste. Le tonalità declinano verso esiti di leggerezza, anche quando la superficie è in forte rilievo e si afferma per il corpo dell’impasto, dato da una matericità variegata. Una tenuità affabulante caratterizza anche le figure, i dati vegetali, le architetture liberate dalle esigenze della gravità e dislocate nello spazio secondo una strategia onirica che guida il percorso nei territori del sogno con una luminosità diffusa e uniforme. Le presenze si muovono spesso in spazi svincolati da norme prospettiche, quasi con passi di una danza alla quale sono chiamati anche oggetti di contorno, elementi esornativi, dettagli figurali posti in punti strategici della superficie, qualche volta dentro finestre circolari come oblò aperti su territori della memoria, oppure rettangolari, in cui l’artista va a recuperare scorci naturali, cose, edifici e situazioni visti nella fanciullezza. Gli alberi si ergono in una verticalità decorata dal verde di chiome ridotte, mentre i volti richiamano espressioni della pittura giottesca: anatomie contornate da un segno che le squadra, vesti multicolori, spessori di superficie come intonaci sbrecciati su affreschi preesistenti.
La realtà di Luca Alinari è spogliata da ogni riflesso fisico, perché appartiene per intero alla memoria; qui l’artista attinge all’album delle private giacenze affettive e sentimentali traducendole poi in calde accensioni luminose, festa di tonalità leggere quasi screziate a volte da appena percettibili ombreggiature, fantasmagoria di ritmi affidati a una ritualità primitiva, tinte delicate ma non tanto da smorzare la forza della propria essenza in una pennellata che avvolge e penetra all’interno di una condizione estatica; così l’artista invita il fruitore ad assaporare l’atmosfera da sogno ad occhi aperti. Come nella serie “L’anima ama la mano”, dove l’assunto del titolo indica il nesso stretto tra ciò che l’artista “sente” e ciò che “fa”, in una simmetria perfetta tra le elaborazioni della mente e le realizzazioni concrete. Nello schermo della tela si segnala un bilanciamento perfetto tra le aree dominate dalle scritture geometriche dello spazio e quelle assegnate alle presenze che producono una tensione estetica, attivata su frequenze di grande originalità ed efficacia formale: esse appaiono semplici fregi, elementi di contorno, se estrapolati dal contesto, ma, letti nella complessità del quadro, sono necessari all’equilibrio generale dell’opera. L’ambiguità formale delle superfici risiede nel valore di credibilità di un mondo che, per gran parte, dichiara la sua appartenenza all’immaginario eppure in forma così vera da uscire per un momento dall’aria di favola da cui è avvolto e, attraverso la magia di una sintesi affascinante tra forma e colore, si prospetta come evidenza del possibile.
La poesia è l’ingrediente di più intensa efficacia della figurazione di Luca Alinari, proprio perché colma la distanza tra dato fisico e fantastico, con il “peso” di un’armonia di forme che vivono anche in sintonia tra loro, corpi spigolosi di derivazione geometrica e sagome ondulate o tondeggianti. Mentre la scena è occupata da esseri catapultati nel presente dai cassetti della memoria, agghindati con abiti minimali in cui la plasticità dei corpi è risolta col gioco chiaroscurale, declinato in velature e trasparenze dei tessuti, oppure caricati di ricorrenti motivi ideogrammatici (soprattutto vegetali). La vena compositiva, libera di modificare l’anatomia delle presenze, facendo ruotare le articolazioni come in manichini di un ipotetico teatro di burattini, fa in modo che anche lo spazio circostante subisca la forza deformante di un evento che sconvolge i tratti, allunga i corpi, appiattisce nella bidimensionalità gli effetti plastici dei volumi, dando l’idea di un piano dipinto dove storia effettiva e arbitrio del sogno si sono fusi in un’immagine che conserva la fragranza di entrambe le derivazioni.
Enzo Santese