Fabio Mauri_Ideologia e Natura_fotografia di E. Catalano_1973

Mauri Fabio

Fabio_Mauri

Fabio Mauri è uno dei maestri dell’avanguardia italiana del secondo dopoguerra.

Vive tra Bologna e Milano fino al ‘57, poi si trasferisce a Roma.

Nel 1942 fonda con Pier Paolo Pasolini la rivista Il Setaccio. 
Ha insegnato per 20 anni Estetica della sperimentazione all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila.

È stato invitato alla Biennale di Venezia nel 1954, 1974, 1978, 1993 e 2003….

Per maggiori informazioni SITO WEB


Fabio Mauri_Ideologia e Natura_fotografia di E. Catalano_1973_hi

Ideologia e Natura

foto by Elisabetta Catalano (particolari)

13 x 366 cm

1974

Fabio Mauri, Gran Serata Futurista

Senza Titolo

Disegno, olio e carboncino su carta

30 x 20 cm

1980

Gran Serata Futurista

Foto dello spettacolo

1980

Celestino V – Una storia moderna

2000

89×70 cm

n°3 fogli d’acquerello con passe-partout dipinti ad olio, incisi a secco con alcune frasi tratte dai Vangeli e dalla Bibbia.

L’universo, come l’infinito, lo vediamo a pezzi

Zerbino

2009

Partitura per Percussione e basso, da gran serata futurista 1909.1930

30/07/1980, Roma

Fabio Mauri, un artista, un intellettuale

 

Da poco scomparso, Fabio Mauri ha avuto un’intensa collaborazione con la città dell’Aquila, in particolare con l’Accademia di Belle Arti (dove è stato per diversi anni docente della cattedra di Estetica) e con il MU.SP.A.C. con cui sono stati organizzati numerosi eventi. Ho avuto la fortuna di conoscerlo e di ascoltare molte delle sue conversazioni. Ricordo l’ultima. Eravamo a cena dopo l’inaugurazione della sua ultima mostra al MU.SP.A.C. in occasione della Perdonanza del 2007. Mauri discuteva di arte e di vita. La sua voce così profonda catturava l’attenzione di tutti. Raccontava di una vita fuori dal comune: gli anni della guerra e l’avvento del fascismo, la pazzia, il matrimonio con l’attrice Adriana Asti, l’amicizia fraterna con Pasolini, con cui nel 1942 fondò la rivista “Il Setaccio”, l’incontro con le opere di Burri che rivoluzionarono completamente la sua visione dell’arte. Parlava di “vocazione”, l’unico motivo che costringe un uomo a prendere una strada al posto di un’altra, “è la spinta per andare avanti, ci aiuta a scoprire il rapporto tra noi e la vita. Io non mi sono ancora abituato all’esistenza, per me rimane un mistero”.
Oltre ad essere un grande artista, Fabio Mauri era un intellettuale. Negli anni ’60 aveva fatto parte del gruppo degli artisti di Piazza del Popolo. Poi con la Biennale d’Arte del 1964 ci fu la rivelazione della Pop Art in Italia. Fu in questa occasione che prese una diversa direzione. Gli Americani riflettevano sul consumismo, avevano la coca-cola. Mauri capì che per essere davvero forte, l’arte italiana doveva riferirsi alla sua storia, parlare della guerra, del fascismo, del freddo, della fame e della paura. Il vero oggetto dell’Italia e dell’Europa era l’ideologia.
Ecco allora che nel 1971, presso gli Stabilimenti Safa Palatino di Roma, realizza “Che cosa è il fascismo”, prima performance ideologica di cui il MU.SP.A.C. possiede il progetto grafico per l’allestimento. Realizzata in un vasto ambiente con al centro un grande tappeto recante il simbolo della svastica nazista e alle spalle un grande schermo bianco con la scritta “The End” in caratteri d’epoca, l’azione ricostruisce ciò che l’artista aveva visto e vissuto: il raduno a Firenze, nel 1939, della Gioventù Italiana del Littorio (G.I.L.) e della Hitlerjugend (giovani hitleriani). Gli allievi dell’Accademia “Silvio d’Amico” simularono una cerimonia di “ludi juveniles” d’epoca fascista davanti ad un pubblico fatto sistemare in sei tribune nere. Mauri ricostruisce una realtà di memoria, un vissuto personale che si allarga al vissuto di tutti noi. Ci invita ad una riflessione critica del periodo fascista realizzando una sorta di “ready-made” della storia.
“Ideologia e natura” è invece il titolo di una performance realizzata la prima volta nel 1973: una ragazza vestita con una divisa fascista si spoglia e si riveste molte volte. Il corpo in costume segna il passaggio dal significante al significato: la natura si veste e si sveste di ideologia. Della performance rimane la sequenza fotografica (eseguita da Elisabetta Catalano) che fa parte della collezione permanente del MU.SP.A.C.
Nel Teatro Comunale dell’Aquila venne realizzato nel 1980 il celebre spettacolo “Gran serata futurista 1909-1930”, interpretato dagli allievi dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. Basato su testi originali, fu il primo tentativo di restituire un’ampia e intrecciata antologia del Teatro Sintetico e Simultaneo, della Letteratura Parolibera, della Poesia Pentagrammata, della nuova Musica degli Intonarumori, della Scultura e della Pittura Dinamica. Gli eventi si succedevano senza soluzione di continuità, la scena era il luogo di un accumulo in cui avvenivano visualizzazioni di manifesti letterari, quadri, poesie, concerti e di tutti i momenti intensamente creativi attraversati dal Futurismo. Così come Boccioni aveva dichiarato di voler portare lo spettatore all’interno del quadro, Mauri coinvolse direttamente il pubblico rendendolo protagonista della sua performance. Confondere arte e vita è stata la principale tensione del Futurismo, che ha trovato un logico sbocco nella dimensione teatrale mediante la realizzazione di uno spettacolo globale. Interessante in questo caso, oltre alle varie opere fotografiche che documentano la performance, è l’opera, presente nella collezione del MU.SP.A.C., Disegno che rappresenta un famoso manifesto di una serata futurista, ridisegnato a carboncino e dipinto ad olio dall’artista.
Nel 1989 per la prima volta al Centro Multimediale Quarto di Santa Giusta (l’associazione da cui è nato il MU.SP.A.C.) Mauri realizza “Che cosa è la filosofia. Heiddeger e la questione tedesca. Concerto da tavolo”. La performance consiste nella simulazione di una festa privata dove il pubblico, mescolandosi agli attori, partecipa ad un vero e proprio banchetto. Personaggio centrale dell’azione è il filosofo Giacomo Marramao che ricopre il ruolo di Heidegger: rappresenta la cultura e la lingua tedesca a confronto con il resto del mondo all’avvento del nazismo.
Mauri torna ancora all’Aquila nel 2000 per la grande mostra “Annuale d’Arte 2000. Lo scandalo dello spirito”, organizzata dal MU.SP.A.C. nei sotterranei del Castello cinquecentesco. In quell’occasione realizza l’installazione dal titolo “Celestino V. Una storia moderna”, entrata a far parte della collezione permanente del museo.

 

 

 

Martina Sconci, 2009

SISTEMA DELL’ARTE

Tavola rotonda

09 Gennaio 1987

VEDI EVENTO

CHE COS’È LA FILOSOFIA. HEIDEGGER E LA QUESTIONE TEDESCA.

CONCERTO DA TAVOLO

 

Performance di Fabio Mauri

16 Maggio – 30 Giugno 1989

VEDI EVENTI

ANNUALE D’ARTE 2000

Lo scandalo dello spirito

27 Agosto 2000

VEDI EVENTI
Mattiacci

Mattiacci Eliseo

Mattiacci-Eliseo-copia-1

Eliseo Mattiacci è nato a Cagli (Pesaro-Urbino) nel 1940. Al 1961 risale la sua prima mostra, una collettiva dedicata ai giovani artisti della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, in occasione della quale vince il primo premio per la scultura con l’opera Uomo meccanico. Nel 1964 si stabilisce a Roma. Del 1967 è la sua prima mostra personale: Mattiacci invade la galleria La Tartaruga di Roma con un tubo snodabile di ferro nichelato, lungo 150 metri, smaltato di “giallo agip”, che ha trasportato per le strade della città insieme ad un corteo di persone. Il Tubo, modificato in relazione ai diversi contesti, è presentato lo stesso anno nelle mostre collettive svoltesi a Foligno, a Parigi, alla Galleria La Bertesca di Genova, nella mostra “Mattiacci – Pascali” alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Nel 1968 a L’Attico di Roma, presentato da Vittorio Rubiu, Mattiacci espone opere realizzate con oggetti d’uso o materiali industriali manipolati, che provocano insolite esperienze tattili o esaltano visivamente forza di gravità, peso, magnetismo. La stessa dinamica compare in Tensione con pietra, esposto nella rassegna “Prospekt 69” a Düsseldorf e in Contrasti di peso e Calamita e trucioli, presentati da Alexadre Iolas a Parigi nel 1969. Nel catalogo della mostra, la prima di una lunga serie di esposizioni che Mattiacci tiene presso le gallerie di Iolas, l’artista scrive: “Amo esserci fisicamente nelle cose: poggiarci le mani, analizzarle e comprimerle, attraversarle: perché esistono. Per questo i materiali che uso sono vari: mi interessa vedere come reagiscono, come si piegano. Mi piace vedere una materia compressa da un peso, osservata in trasparenza, assistere a come si muove e varia nell’aria, nel sole, nella pioggia. Le dune di sabbia formate dal vento, oppure trattenute da membrane trasparenti; quel che galleggia, si arrotola, si srotola. E le azioni improvvise e instabili, l’incontro fortuito”. Dal 1968 si intensificano le opere di Mattiacci concepite nei termini di un’azione, in alcune delle quali lo spettatore viene coinvolto nel processo creativo. Risale a quell’anno “Lavori in corso”, realizzata al Circo Massimo a Roma insieme agli allievi dell’Istituto d’Arte; seguono nel 1969 “Percorso” a L’Attico e “Zatteronmarante” compiuta nell’ambito della mostra “Al di là della pittura” a San Benedetto del Tronto. Nel 1971 Mattiacci espone se stesso a L’Attico con le braccia ed il busto ingessati; nel 1972 con l’ausilio del pubblico mette in scena le azioni Sostituirsi con una parte dell’artista alla galleria Schema di Firenze e Senza titolo agli Incontri Internazionali d’Arte di Roma; nel 1973 presenta Rifarsi e Pensare il pensiero alla galleria Iolas di Milano; nel 1976 installa Essere – respirare alla galleria La Salita di Roma, dove gli spettatori affermano la loro presenza imprimendo la parola “Essere” su una lastra di piombo. Nel 1970 alla mostra “Processi di pensiero visualizzati – Junge italienische Avantgarde” al Kunstmuseum di Lucerna, Mattiacci espone Assistere intensamente al processo di crescita: un quadrato di terra nel quale, l’erba cresce, giorno dopo giorno, delineando la sagoma dell’artista. Anche in Radiografia ossea del proprio corpo, presentata per la prima volta nella galleria Franco Toselli di Milano nel 1971, come in altre opere dello stesso periodo, compare una rappresentazione del corpo dell’artista. Comunicazione, interesse esistenziale ed antropologico per l’altro da sé, costituiscono gli ambiti di riflessione di molti lavori realizzati da Mattiacci nell’arco degli anni Settanta: Alfabeti primari, Cultura mummificata, Planisfero con fusi orari e Progetto totale, tutti esposti nel 1972 nella sala personale alla Biennale di Venezia.


Mattiacci

Senza titolo

litografia

50 x 70 cm

Liberatore Pasquale_Una montagna di ricordi_serigrafia_50 x 70 cm_hi_2

Liberatore Pasquale

foto

Alcuni artisti potrebbero essere ovunque ed essere influenzati poco dai luoghi particolari in cui vivono; solo i luoghi dell’infanzia, formativi per chiunque, protraggono i loro effetti negli anni. Invece per Pasquale Liberatore è fondamentale vivere e lavorare comunque tra le sue montagne. Credo che il paesaggio montano dell’Abruzzo per lui sia fonte di suggestione e forza continue. Per Liberatore il legame con la terra, la presenza di grandi volumi tra la superficie ed il cielo, un rapporto con la natura senza grandi interferenze e disturbi, sono imprescindibili da quello che inventa giorno dopo giorno. Così privilegiare come materiale la pietra è un’urgenza del profondo. E’ molto naturale abbandonarsi ai suggerimenti della materia stessa ,assecondarla e reagire alle sue forme. Liberatore anche quando usa la materia come supporto piatto interviene con un segno e una figura che denotano un rapporto antico con essa: la leggera incisione della linea, il graffito costituisce un’immagine essenziale, che evoca le espressioni figurative dei primitivi nelle caverne. Quindi tutto si basa sulle relazioni ancestrali tra quest’uomo e la sua terra. Questo però non deve indurre a credere che il lavoro di Liberatore sia limitato negli esiti ad un luogo preciso, perché proprio in quanto artista egli trasforma dei rapporti particolari, locali, in linguaggio universale che esprime legami archetipi tra l’uomo e la terra, autentici e validi dappertutto. Inoltre egli è un uomo attento a quello che succede nel mondo e pronto ad appropriarsi di ci che lo arricchisce nella pratica artistica. Questo è dovuto ad una sua volontà precisa ma anche alle possibilità oggettive che ci offre la vita dei mass-media, la fitta rete di correnti d’informazione che copre il globo sostanzialmente annulla le distinzioni fra centri e periferie, capitali e province. Non a caso la verginità della materia di Liberatore si è lasciata coprire dalla velocità del colore spray e nella trama naturale dei suoi arazzi sono entrati dei luccichii artificiali.

Giulio Ciavoliello


LIBERATORE

Senza titolo

70 x 100

Liberatore Pasquale_Una montagna di ricordi_serigrafia_50 x 70 cm_hi_2

Una montagna di ricordi

serigrafia

50 x 70

liberatore pasquale_hi

Senza titolo

Felice Levini_Buona notte e...._20x30_1989_hi

Levini Felice

LeviniFelicefoto

Nasce nel 1956 a Roma dove frequenta il liceo artistico e si diploma all’Accademia di Belle Arti e dove vive e lavora. 
Nel 1978 l’artista insieme a Giuseppe Salvatori e a Claudio Damiani, e poi con Vittorio Messina e Mariano Rossano, aprì uno spazio in via S. Agata dei Goti gestito dagli stessi artisti, che diventò luogo di incontro per mostre e serate di poesia. Qui, nel 1978, si svolge la sua prima mostra personale di Levini, nella quale espone una serie di pastelli su carta il cui realismo sembra simulare la tecnica fotografica. Il 1978 è anche l’anno della sua prima collettiva dal titolo “Artericerca ’78” allestita al Palazzo delle Esposizioni. 
La ricerca dell’artista è già ben definita in questo primo periodo. Convergono in essa due tendenze entrambe mirate alla centralità dell’immagine: la prima prevede l’inserimento della serialità, l’immagine risulta sdoppiata, ripetuta, variata. La seconda unisce al carattere piatto e superficiale dell’immagine stessa degli elementi aggettanti che ne contestano la bidimensionalità.

La primavera del 1980 vede la nascita del gruppo dei “Nuovi-Nuovi” che debutta con la mostra “Dieci anni dopo: i Nuovi- Nuovi” a cura di Renato Barilli alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Bologna – alla quale Levini partecipa insieme, tra gli altri, a Giuseppe Salvatori e Giorgio Pagano. 
Dal 1982 Levini sottopone le sue opere a un processo di scomposizione che ricorda il divisionismo di Seraut, creando immagini bidimensionali piacevolmente decorative, che esaltano l’idea di “parete” maculata. A questi lavori, negli ultimi anni ’80, seguono opere più compatte e tridimensionali dominate da una struttura solida e geometrica che conducono anche ad architetture lineari. Autoritratti, animali, arabeschi sono i temi ricorrenti in questi anni.


Felice Levini_Buona notte e...._20x30_1989_hi

BUONA NOTTE E…….

disegno a inchiostro

21 x 29,7 cm

1989

Kounellis

Kounellis Jannis

Kounellis-25-9-13-Fondazione-VOLUME-Valeria-Sapienza-courtesy-002

Nato nel Pireo (Grecia) il 23 marzo 1936, morto a Roma il 16 febbraio 2017.

Artista del comportamento, – scrive A. Bonito Oliva – lavora sul recupero poetico del mito, sull’uso mitico degli elementi primari, come il fuoco, e dei linguaggi originari, come la danza e la musica. Trasferisce i procedimenti della pittura nella fisicità di uno spazio reale, che acquista la composta fissità del quadro. Le sue performances tendono a sottolineare l’impiego diverso della sensibilità, intesa come capacità di percepire il mondo al duplice livello di natura e cultura.
Reagendo al gesto pittorico tradizionale, K. ha sviluppato una “misura” filosofica dell’arte, permeando la sua opera di molteplici associazioni formali e simboliche. Molte sue opere sono organizzate intorno al rapporto tra gli opposti principi di “struttura” e “sensibilità”. Alla struttura si riferiscono materiali inorganici rigidi quali il metallo, alla sensibilità materiali organici quali piante o animali. (Segno-dic.95).
Pochi artisti dell’arte contemporanea possono vantare una carriera altrettantanto lunga, e soprattutto completa quanto quella di Kounellis, questo artista greco di nascita , ma italiano d’adozione, può essere considerato come uno dei maggiori artisti di rilievo internazionale.
I grandissimi successi ottenuti nei più grandi musei del mondo, non ultimo per importanza quello ottenuto recentemente nel museo di Rivoli, lo fanno considerare a tutti come un “classico” del XX secolo. Negli anni ’60 si inserisce in un gruppo di giovani, quali Pascali, Pisani, De Dominicis, Paolini e tanti altri che reagiscono con la loro arte contro l’informale.
Il bianco e il nero sarà una delle chiavi dominanti dell’artista , in cui emerge la sua radice ancestrale greca, i materiali usati nelle sue installazioni ci fanno pensare alla presenza di preziosi reperti affiorati da lontani civiltà. Il ferro e il carbone sono per lui i materiali che meglio rievocano il mondo della rivoluzione industriale, i primordi della civiltà contemporanea.
Per tutto il ’68 e il ’69 Kounellis partecipa in pieno alla corrente dell’arte povera teorizzata da Germano Celant, espone di continuo alcuni ambienti legati alla celebrazione degli elementi primari della natura: una carboniera, un contenitore da cui spuntano pezzi di cotone, pietre, fuoco, lamiere bruciate ecc. fino ad arrivare ai sacchi di caffè esposti al museo di Rivoli. Al freddo minimalismo ed al macchinoso industrialismo americano ha sempre saputo contrapporre con la sua passione rivoluzionaria una cultura “calda” proveniente dall’Europa del sud, dall’Africa o dal Sudamerica (i cavalli, il pappagallo, i cactus).
Kounellis ha sempre praticato “l’Arte come urto e come urlo che cerca nei fatti il punto di frattura e di confine, dove la furia del singolo trapassa nella storia e nel sociale, come opposizione e critica al mostruoso universo del conformismo”. (G. Celant)
Tutte le sue installazioni e performances tendono a sottolineare l’impiego diverso della sensibilità tesa ad visione del mondo in cui la cultura si ricongiunge alla natura.


Kounellis

Un capitano di quindici anni – i viaggi straordinari di Jules Verne

fotolito 78/300

35 x 50 cm

1980

kounellis_precombustione

Precombustione

carbone e carta oleata 64/80

50 x 70 cm

1992

laviadelsangue01

La via del sangue

Edizione d’arte Collana di Perle

laviadelsangue02

Dalle opere di Jannis Kounellis, presenti nella collezione del Muspac, possiamo stendere un piccolo profilo sull’artista e sulla sua ideologia.
Protagonista dell’ Arte Povera, nasce nel 1936 al Pireo (Atene). Nel 1956 si trasferisce a Roma per studiare all’Accademia di Belle Arti ed entrare a contatto con il vivace ambiente artistico e culturale della capitale che gli permette nel 1960 di esporre alla galleria “La Tartaruga” dove ricordiamo i suoi primi grandi quadri con lettere e segni urbani a smalto nero.
In seguito, le sue opere rappresenteranno il faticoso tentativo di mantenere raccolto ed unito un linguaggio comune sconvolto dall’impatto della produzione di massa che si diffondeva nella Pop Art.
“Artista del comportamento” (A.B.O.), Kounellis lavora sul recupero del poetico nel mito servendosi di materiali naturali ed elementi primari che riconducono alle nostre origini, che
fanno parte della nostra terra. Fuoco, legno, ferro, carbone, caffè e quant’altro denotano realisticamente un legame con la natura e con la storia. Oggetti che ci fanno pensare a preziosi reperti affiorati da lontane civiltà.
Le sue opere sprigionano energia, odori, rumori: la vita e il divenire entrano materialmente nel lavoro dell’artista.
Come scrive Germano Celant, fondatore dell’arte povera, Kounellis ha sempre praticato “l’Arte come urto e come urlo che cerca nei fatti il punto di frattura e di confine, dove la furia del singolo trapassa nella storia e nel sociale, come opposizione e critica al mostruoso universo del conformismo”.
Tutte le sue installazioni e performances  tendono a sottolineare l’impiego diverso della sensibilità, tesa ad una visione del mondo in cui la cultura si ricongiunge alla natura.
Ma per Kounellis, “una cosa è avere un’idea del mondo e una cosa è viverlo. Lo scambio del dare e avere quotidiano crea le prospettive culturali, ma anche la storia. Dunque, oltre a scoprire il mondo, bisogna imparare a viverlo.”
Pochi artisti dell’arte contemporanea possono vantare una carriera altrettanto lunga e completa quanto quella di Kounellis. Questo artista, greco di nascita ma italiano di adozione, può essere considerato come uno dei maggiori artisti di rilievo internazionale.

Martina Sconci

 

BIANCO-NERO/FREDDO-CALDO

Mostra d’arte contemporanea di Jannis Kounellis

1 Dicembre 1988 -20 Marzo 1989

VEDI EVENTO

AD USUM FABRICAE 

Mostra d’Arte Contemporanea a cura di Gianni Fileccia e Tullio Catalano

Settembre – Ottobre 1995

VEDI EVENTO