Protagonista dell’arte povera e processuale, opera con riferimento costante alla progressiva crescita della forma e dell’energia fisica e mentale in base alla serie numerica di Fibonacci (opera del monaco matematico, a Pisa, nell’anno 1202). Merz la usa come simbolo di influsso vitale di proliferazione inseribile in un’architettura o in un assemblage di materiali poveri scritta col neon o col lapis, traducibile in disegno o rapportabile ad una crescita biologica. “…il pensiero si esprime in spirali, in restringimenti e in dilatazioni; il pensiero è certamente un nucleo sconosciuto e carico di polarità opposte che non possono essere prese per altra cosa se non per infinitesimi calcoli”. Esponente dell’Arte Povera italiana (teorizzata da Germano Celant), Mario Merz (Milano 1925 – Torino 2003) lavora su strutture archetipe: i suoi igloo, che realizza con i materiali più diversi (creta, tela, pietra, vetro, cemento), gli animali preistorici, i neon, i tavoli, le fascine sono presenti oggi nei musei d’arte contemporanea di tutto il mondo. Nella collezione permanente del Muspac troviamo un multiplo dei Tavoli Fibonacci, che l’artista espose a Ginevra nel 1985. Quest’opera rappresenta forse l’idea più compiuta rispetto al ciclo dei tavoli dell’autore, in quanto in essa si amalgamano due discorsi: i tavoli concepiti come la rappresentazione architettonica e oggettuale della serie numerica Fibonacci (individuata nel tredicesimo secolo dall’abate Leonardo da Pisa, soprannominato Fibonacci secondo la quale ogni numero è costituito dalla somma dei due che lo precedono) e, visivamente la spirale. Rispetto al ciclo dei tavoli l’artista in un’intervista dell’81 (con Amman Pagè) afferma:“L’idea del tavolo mi è venuta la prima volta mentre stavamo seduti, tutti assieme, in un ristorante. C’era un fotografo che fotografò prima una persona, poi due, tre… fino a 55. Era una struttura corrispondente alla serie numerica Fibonacci… Ho fatto perciò un tavolo per una persona, per due persone, poi per tre e così via… La cosa che mi ha interessato è il lato fisico del tavolo, visto che il tavolo è legato all’uomo in modo molto organico. Il tavolo è un pezzo di terra rialzata, sopraelevata”. Tutta l’opera di Mario Merz si incentra sulla predilezione assoluta per la forma a spirale, intesa come forma matematica e simbolica: la spirale che, allontanandosi per infinite ripetizioni da se stessa, si ribadisce. Così egli disegna ripetutamente il guscio della lumaca, la conchiglia, fino a ribadirle nell’architettura essenziale dell’igloo. La spirale è la forma per eccellenza del mutamento e del tempo ed egli vi individua il segno grafico della struttura del movimento originale di ogni gesto umano. Merz cerca con le sue sculture-installazioni, di “stabilire un calcolo organico e mentale applicabile ad ogni situazione ambientale, sia essa libera od occupata da oggetti. I numeri sono per l’artista l’esatto correlativo del mondo naturale ed artificiale” ( G. Celant). Tutti i Tavoli nascono dalla memoria infantile del tornio del padre, inventore e ingegnere. Sono immagini proliferanti ed il loro incontro con l’ambiente avviene secondo l’accordo naturale. Il Tavolo, è infatti per lui il luogo dello spazio sociale, dell’incontro tra persone e cose.
Martina Sconci