11-MarioMerz_Tavoli_1974

Merz Mario

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Immagine che documenta l’opera istallata al Courtesy Promenades, Parco Lullin, Genova Esposto e pubblicato nell’esposizione a Genova nel 1985 Quest’opera rappresenta forse l’idea più compiuta rispetto al ciclo dei tavoli dell’autore, in quanto si amalgamano due discorsi: i tavoli concepiti come la rappresentazione architettonica e oggettuale della serie fibonacci e, visivamente, la spirale. Rispetto al ciclo dei tavoli l’artista in un’intervista dell’ 81 (con Amman Pagé) afferma: “L’idea del tavolo mi è venuta la prima volta mentre stavamo seduti, tutti assieme, in un ristorante. C’era un fotografo che fotografò prima una persona, poi due, tre… fino a 55. Era una struttura corrispondente alla serie numerica Fibonacci… Ho fatto perciò un tavolo per una persona, per due persone, poi per tre e così via… La cosa che mi ha interessato è il lato fisico del tavolo, visto che il tavolo è legato all’uomo in modo molto organico. Il tavolo è un pezzo di terra rialzata, sopraelevata”. Uno dei primi lavori della serie dei tavoli sono nove fotografie realizzate in una fabbrica di Napoli nel 1972, dal titolo: 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55 uomini hanno mangiato. La proliferazione degli uomini è legata alla proliferazione degli esseri da mangiare e questi alla proliferazione degli oggetti prodotti poiché questi uomini sono operai di una fabbrica di Napoli, 1972. Le nove fotografie sono state esposte allo Stedelijk Museum nell’82. da Achille Bonito Oliva, NUTRIMENTI DELL’ARTE, pag 90. Edizioni Charta, Milano – luglio 1995

 

 

 

 

 

SITO WEB: www.fondazionemerz.org


11-MarioMerz_Tavoli_1974

Tavoli

quattro Serigrafie

Inchiostro serigrafico su carta

50 x 70 cm. N. 4 fogli 50 x 70 cm

1974/ 1985

(particolari)

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Protagonista dell’arte povera e processuale, opera con riferimento costante alla progressiva crescita della forma e dell’energia fisica e mentale in base alla serie numerica di Fibonacci (opera del monaco matematico, a Pisa, nell’anno 1202). Merz la usa come simbolo di influsso vitale di proliferazione inseribile in un’architettura o in un assemblage di materiali poveri scritta col neon o col lapis, traducibile in disegno o rapportabile ad una crescita biologica. “…il pensiero si esprime in spirali, in restringimenti e in dilatazioni; il pensiero è certamente un nucleo sconosciuto e carico di polarità opposte che non possono essere prese per altra cosa se non per infinitesimi calcoli”. Esponente dell’Arte Povera italiana (teorizzata da Germano Celant), Mario Merz (Milano 1925 – Torino 2003) lavora su strutture archetipe: i suoi igloo, che realizza con i materiali più diversi (creta, tela, pietra, vetro, cemento), gli animali preistorici, i neon, i tavoli, le fascine sono presenti oggi nei musei d’arte contemporanea di tutto il mondo. Nella collezione permanente del Muspac troviamo un multiplo dei Tavoli Fibonacci, che l’artista espose a Ginevra nel 1985. Quest’opera rappresenta forse l’idea più compiuta rispetto al ciclo dei tavoli dell’autore, in quanto in essa si amalgamano due discorsi: i tavoli concepiti come la rappresentazione architettonica e oggettuale della serie numerica Fibonacci (individuata nel tredicesimo secolo dall’abate Leonardo da Pisa, soprannominato Fibonacci secondo la quale ogni numero è costituito dalla somma dei due che lo precedono) e, visivamente la spirale. Rispetto al ciclo dei tavoli l’artista in un’intervista dell’81 (con Amman Pagè) afferma:“L’idea del tavolo mi è venuta la prima volta mentre stavamo seduti, tutti assieme, in un ristorante. C’era un fotografo che fotografò prima una persona, poi due, tre… fino a 55. Era una struttura corrispondente alla serie numerica Fibonacci… Ho fatto perciò un tavolo per una persona, per due persone, poi per tre e così via… La cosa che mi ha interessato è il lato fisico del tavolo, visto che il tavolo è legato all’uomo in modo molto organico. Il tavolo è un pezzo di terra rialzata, sopraelevata”. Tutta l’opera di Mario Merz si incentra sulla predilezione assoluta per la forma a spirale, intesa come forma matematica e simbolica: la spirale che, allontanandosi per infinite ripetizioni da se stessa, si ribadisce. Così egli disegna ripetutamente il guscio della lumaca, la conchiglia, fino a ribadirle nell’architettura essenziale dell’igloo. La spirale è la forma per eccellenza del mutamento e del tempo ed egli vi individua il segno grafico della struttura del movimento originale di ogni gesto umano. Merz cerca con le sue sculture-installazioni, di “stabilire un calcolo organico e mentale applicabile ad ogni situazione ambientale, sia essa libera od occupata da oggetti. I numeri sono per l’artista l’esatto correlativo del mondo naturale ed artificiale” ( G. Celant). Tutti i Tavoli nascono dalla memoria infantile del tornio del padre, inventore e ingegnere. Sono immagini proliferanti ed il loro incontro con l’ambiente avviene secondo l’accordo naturale. Il Tavolo, è infatti per lui il luogo dello spazio sociale, dell’incontro tra persone e cose.

Martina Sconci

Albert Mayr_Calendario Armonico_multiplo in 600 copie_edizioni supergruppo multipli

Mayr Albert

albertmayr

Della «musica inudibile» parlò a suo tempo Boezio. Ma con scarsi risultati se, dopo circa un millennio, le sue teorie furono accantonate nel dimenticatoio. E della musica inudibile si torrnerà a parlare (probabilmente in maniera un pò insolita) con Albert Mayr, domani pomeriggio alle 17:30 presso il Centro Multimediale «Quarto Santa Giusta». Secondo Albert Mayr, infatti, in diverse culture, sia pur a noi lontane temporalmente e geograficamente, convivono fenomeni sonori con fenomeni infrasonori (quelli inudibili). E questi concetti traggono origine, appunto, dalla tripartizione della musica di Boezio. Alla cosiddetta «musica instrumentalis», infatti, corrispondente al modo moderno di concepire le sette note, Boezio nella sua teoria, vi affiancava la musica «mundana» in riferimento ai cicli ambientali e la musica «humana», il risultato cioè della convivenza delle varie forze intellettuali, psichiche e fisiche nell’essere umano. Poi, i musicologi più recenti, non condividono la tripartizione boeziana, negandole ogni valore…e questo fino a qualche tempo fa, quando ricerche compiute in vari campi, hanno accertato la validità dei fondamenti delta musica «mundana» ed «humana», soprattutto in relazione ad un nuovo modo di concepire i rapporti ambientali. E su questi temi si soffermerà appunto Albert Mayr al «Quarto Santa Giusta» nell’incontro organizzato proprio per analizzare le caratteristiche della musica inudibile… lncontro, dall’emblematico sottotitolo «annotazioni per una ecologia del tempo». di ISOLINA SCARSELLA da Il

Messaggero 12 Marzo 1987


Albert Mayr_Calendario Armonico_multiplo in 600 copie_edizioni supergruppo multipli_(1)_hi

Calendario armonico

Multiplo in 600 copie

Edizioni Supergruppo Multipli

Fabio Mauri_Ideologia e Natura_fotografia di E. Catalano_1973

Mauri Fabio

Fabio_Mauri

Fabio Mauri è uno dei maestri dell’avanguardia italiana del secondo dopoguerra.

Vive tra Bologna e Milano fino al ‘57, poi si trasferisce a Roma.

Nel 1942 fonda con Pier Paolo Pasolini la rivista Il Setaccio. 
Ha insegnato per 20 anni Estetica della sperimentazione all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila.

È stato invitato alla Biennale di Venezia nel 1954, 1974, 1978, 1993 e 2003….

Per maggiori informazioni SITO WEB


Fabio Mauri_Ideologia e Natura_fotografia di E. Catalano_1973_hi

Ideologia e Natura

foto by Elisabetta Catalano (particolari)

13 x 366 cm

1974

Fabio Mauri, Gran Serata Futurista

Senza Titolo

Disegno, olio e carboncino su carta

30 x 20 cm

1980

Gran Serata Futurista

Foto dello spettacolo

1980

Celestino V – Una storia moderna

2000

89×70 cm

n°3 fogli d’acquerello con passe-partout dipinti ad olio, incisi a secco con alcune frasi tratte dai Vangeli e dalla Bibbia.

L’universo, come l’infinito, lo vediamo a pezzi

Zerbino

2009

Partitura per Percussione e basso, da gran serata futurista 1909.1930

30/07/1980, Roma

Fabio Mauri, un artista, un intellettuale

 

Da poco scomparso, Fabio Mauri ha avuto un’intensa collaborazione con la città dell’Aquila, in particolare con l’Accademia di Belle Arti (dove è stato per diversi anni docente della cattedra di Estetica) e con il MU.SP.A.C. con cui sono stati organizzati numerosi eventi. Ho avuto la fortuna di conoscerlo e di ascoltare molte delle sue conversazioni. Ricordo l’ultima. Eravamo a cena dopo l’inaugurazione della sua ultima mostra al MU.SP.A.C. in occasione della Perdonanza del 2007. Mauri discuteva di arte e di vita. La sua voce così profonda catturava l’attenzione di tutti. Raccontava di una vita fuori dal comune: gli anni della guerra e l’avvento del fascismo, la pazzia, il matrimonio con l’attrice Adriana Asti, l’amicizia fraterna con Pasolini, con cui nel 1942 fondò la rivista “Il Setaccio”, l’incontro con le opere di Burri che rivoluzionarono completamente la sua visione dell’arte. Parlava di “vocazione”, l’unico motivo che costringe un uomo a prendere una strada al posto di un’altra, “è la spinta per andare avanti, ci aiuta a scoprire il rapporto tra noi e la vita. Io non mi sono ancora abituato all’esistenza, per me rimane un mistero”.
Oltre ad essere un grande artista, Fabio Mauri era un intellettuale. Negli anni ’60 aveva fatto parte del gruppo degli artisti di Piazza del Popolo. Poi con la Biennale d’Arte del 1964 ci fu la rivelazione della Pop Art in Italia. Fu in questa occasione che prese una diversa direzione. Gli Americani riflettevano sul consumismo, avevano la coca-cola. Mauri capì che per essere davvero forte, l’arte italiana doveva riferirsi alla sua storia, parlare della guerra, del fascismo, del freddo, della fame e della paura. Il vero oggetto dell’Italia e dell’Europa era l’ideologia.
Ecco allora che nel 1971, presso gli Stabilimenti Safa Palatino di Roma, realizza “Che cosa è il fascismo”, prima performance ideologica di cui il MU.SP.A.C. possiede il progetto grafico per l’allestimento. Realizzata in un vasto ambiente con al centro un grande tappeto recante il simbolo della svastica nazista e alle spalle un grande schermo bianco con la scritta “The End” in caratteri d’epoca, l’azione ricostruisce ciò che l’artista aveva visto e vissuto: il raduno a Firenze, nel 1939, della Gioventù Italiana del Littorio (G.I.L.) e della Hitlerjugend (giovani hitleriani). Gli allievi dell’Accademia “Silvio d’Amico” simularono una cerimonia di “ludi juveniles” d’epoca fascista davanti ad un pubblico fatto sistemare in sei tribune nere. Mauri ricostruisce una realtà di memoria, un vissuto personale che si allarga al vissuto di tutti noi. Ci invita ad una riflessione critica del periodo fascista realizzando una sorta di “ready-made” della storia.
“Ideologia e natura” è invece il titolo di una performance realizzata la prima volta nel 1973: una ragazza vestita con una divisa fascista si spoglia e si riveste molte volte. Il corpo in costume segna il passaggio dal significante al significato: la natura si veste e si sveste di ideologia. Della performance rimane la sequenza fotografica (eseguita da Elisabetta Catalano) che fa parte della collezione permanente del MU.SP.A.C.
Nel Teatro Comunale dell’Aquila venne realizzato nel 1980 il celebre spettacolo “Gran serata futurista 1909-1930”, interpretato dagli allievi dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. Basato su testi originali, fu il primo tentativo di restituire un’ampia e intrecciata antologia del Teatro Sintetico e Simultaneo, della Letteratura Parolibera, della Poesia Pentagrammata, della nuova Musica degli Intonarumori, della Scultura e della Pittura Dinamica. Gli eventi si succedevano senza soluzione di continuità, la scena era il luogo di un accumulo in cui avvenivano visualizzazioni di manifesti letterari, quadri, poesie, concerti e di tutti i momenti intensamente creativi attraversati dal Futurismo. Così come Boccioni aveva dichiarato di voler portare lo spettatore all’interno del quadro, Mauri coinvolse direttamente il pubblico rendendolo protagonista della sua performance. Confondere arte e vita è stata la principale tensione del Futurismo, che ha trovato un logico sbocco nella dimensione teatrale mediante la realizzazione di uno spettacolo globale. Interessante in questo caso, oltre alle varie opere fotografiche che documentano la performance, è l’opera, presente nella collezione del MU.SP.A.C., Disegno che rappresenta un famoso manifesto di una serata futurista, ridisegnato a carboncino e dipinto ad olio dall’artista.
Nel 1989 per la prima volta al Centro Multimediale Quarto di Santa Giusta (l’associazione da cui è nato il MU.SP.A.C.) Mauri realizza “Che cosa è la filosofia. Heiddeger e la questione tedesca. Concerto da tavolo”. La performance consiste nella simulazione di una festa privata dove il pubblico, mescolandosi agli attori, partecipa ad un vero e proprio banchetto. Personaggio centrale dell’azione è il filosofo Giacomo Marramao che ricopre il ruolo di Heidegger: rappresenta la cultura e la lingua tedesca a confronto con il resto del mondo all’avvento del nazismo.
Mauri torna ancora all’Aquila nel 2000 per la grande mostra “Annuale d’Arte 2000. Lo scandalo dello spirito”, organizzata dal MU.SP.A.C. nei sotterranei del Castello cinquecentesco. In quell’occasione realizza l’installazione dal titolo “Celestino V. Una storia moderna”, entrata a far parte della collezione permanente del museo.

 

 

 

Martina Sconci, 2009

SISTEMA DELL’ARTE

Tavola rotonda

09 Gennaio 1987

VEDI EVENTO

CHE COS’È LA FILOSOFIA. HEIDEGGER E LA QUESTIONE TEDESCA.

CONCERTO DA TAVOLO

 

Performance di Fabio Mauri

16 Maggio – 30 Giugno 1989

VEDI EVENTI

ANNUALE D’ARTE 2000

Lo scandalo dello spirito

27 Agosto 2000

VEDI EVENTI
Mattiacci

Mattiacci Eliseo

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Eliseo Mattiacci è nato a Cagli (Pesaro-Urbino) nel 1940. Al 1961 risale la sua prima mostra, una collettiva dedicata ai giovani artisti della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, in occasione della quale vince il primo premio per la scultura con l’opera Uomo meccanico. Nel 1964 si stabilisce a Roma. Del 1967 è la sua prima mostra personale: Mattiacci invade la galleria La Tartaruga di Roma con un tubo snodabile di ferro nichelato, lungo 150 metri, smaltato di “giallo agip”, che ha trasportato per le strade della città insieme ad un corteo di persone. Il Tubo, modificato in relazione ai diversi contesti, è presentato lo stesso anno nelle mostre collettive svoltesi a Foligno, a Parigi, alla Galleria La Bertesca di Genova, nella mostra “Mattiacci – Pascali” alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Nel 1968 a L’Attico di Roma, presentato da Vittorio Rubiu, Mattiacci espone opere realizzate con oggetti d’uso o materiali industriali manipolati, che provocano insolite esperienze tattili o esaltano visivamente forza di gravità, peso, magnetismo. La stessa dinamica compare in Tensione con pietra, esposto nella rassegna “Prospekt 69” a Düsseldorf e in Contrasti di peso e Calamita e trucioli, presentati da Alexadre Iolas a Parigi nel 1969. Nel catalogo della mostra, la prima di una lunga serie di esposizioni che Mattiacci tiene presso le gallerie di Iolas, l’artista scrive: “Amo esserci fisicamente nelle cose: poggiarci le mani, analizzarle e comprimerle, attraversarle: perché esistono. Per questo i materiali che uso sono vari: mi interessa vedere come reagiscono, come si piegano. Mi piace vedere una materia compressa da un peso, osservata in trasparenza, assistere a come si muove e varia nell’aria, nel sole, nella pioggia. Le dune di sabbia formate dal vento, oppure trattenute da membrane trasparenti; quel che galleggia, si arrotola, si srotola. E le azioni improvvise e instabili, l’incontro fortuito”. Dal 1968 si intensificano le opere di Mattiacci concepite nei termini di un’azione, in alcune delle quali lo spettatore viene coinvolto nel processo creativo. Risale a quell’anno “Lavori in corso”, realizzata al Circo Massimo a Roma insieme agli allievi dell’Istituto d’Arte; seguono nel 1969 “Percorso” a L’Attico e “Zatteronmarante” compiuta nell’ambito della mostra “Al di là della pittura” a San Benedetto del Tronto. Nel 1971 Mattiacci espone se stesso a L’Attico con le braccia ed il busto ingessati; nel 1972 con l’ausilio del pubblico mette in scena le azioni Sostituirsi con una parte dell’artista alla galleria Schema di Firenze e Senza titolo agli Incontri Internazionali d’Arte di Roma; nel 1973 presenta Rifarsi e Pensare il pensiero alla galleria Iolas di Milano; nel 1976 installa Essere – respirare alla galleria La Salita di Roma, dove gli spettatori affermano la loro presenza imprimendo la parola “Essere” su una lastra di piombo. Nel 1970 alla mostra “Processi di pensiero visualizzati – Junge italienische Avantgarde” al Kunstmuseum di Lucerna, Mattiacci espone Assistere intensamente al processo di crescita: un quadrato di terra nel quale, l’erba cresce, giorno dopo giorno, delineando la sagoma dell’artista. Anche in Radiografia ossea del proprio corpo, presentata per la prima volta nella galleria Franco Toselli di Milano nel 1971, come in altre opere dello stesso periodo, compare una rappresentazione del corpo dell’artista. Comunicazione, interesse esistenziale ed antropologico per l’altro da sé, costituiscono gli ambiti di riflessione di molti lavori realizzati da Mattiacci nell’arco degli anni Settanta: Alfabeti primari, Cultura mummificata, Planisfero con fusi orari e Progetto totale, tutti esposti nel 1972 nella sala personale alla Biennale di Venezia.


Mattiacci

Senza titolo

litografia

50 x 70 cm

Liberatore Pasquale_Una montagna di ricordi_serigrafia_50 x 70 cm_hi_2

Liberatore Pasquale

foto

Alcuni artisti potrebbero essere ovunque ed essere influenzati poco dai luoghi particolari in cui vivono; solo i luoghi dell’infanzia, formativi per chiunque, protraggono i loro effetti negli anni. Invece per Pasquale Liberatore è fondamentale vivere e lavorare comunque tra le sue montagne. Credo che il paesaggio montano dell’Abruzzo per lui sia fonte di suggestione e forza continue. Per Liberatore il legame con la terra, la presenza di grandi volumi tra la superficie ed il cielo, un rapporto con la natura senza grandi interferenze e disturbi, sono imprescindibili da quello che inventa giorno dopo giorno. Così privilegiare come materiale la pietra è un’urgenza del profondo. E’ molto naturale abbandonarsi ai suggerimenti della materia stessa ,assecondarla e reagire alle sue forme. Liberatore anche quando usa la materia come supporto piatto interviene con un segno e una figura che denotano un rapporto antico con essa: la leggera incisione della linea, il graffito costituisce un’immagine essenziale, che evoca le espressioni figurative dei primitivi nelle caverne. Quindi tutto si basa sulle relazioni ancestrali tra quest’uomo e la sua terra. Questo però non deve indurre a credere che il lavoro di Liberatore sia limitato negli esiti ad un luogo preciso, perché proprio in quanto artista egli trasforma dei rapporti particolari, locali, in linguaggio universale che esprime legami archetipi tra l’uomo e la terra, autentici e validi dappertutto. Inoltre egli è un uomo attento a quello che succede nel mondo e pronto ad appropriarsi di ci che lo arricchisce nella pratica artistica. Questo è dovuto ad una sua volontà precisa ma anche alle possibilità oggettive che ci offre la vita dei mass-media, la fitta rete di correnti d’informazione che copre il globo sostanzialmente annulla le distinzioni fra centri e periferie, capitali e province. Non a caso la verginità della materia di Liberatore si è lasciata coprire dalla velocità del colore spray e nella trama naturale dei suoi arazzi sono entrati dei luccichii artificiali.

Giulio Ciavoliello


LIBERATORE

Senza titolo

70 x 100

Liberatore Pasquale_Una montagna di ricordi_serigrafia_50 x 70 cm_hi_2

Una montagna di ricordi

serigrafia

50 x 70

liberatore pasquale_hi

Senza titolo