Christo e Jeanne-Claude, o più spesso solo Christo, è il nome d’arte con cui è conosciuta l’opera comune di Christo Javacheff, nato nel 1935 a Gabrovo in Bulgaria, e di Jeanne-Claude Denat de Guillebon 1935 Casablanca, Marocco; due artisti unici che attraverso la loro opera “svelano nascondendo”. Christo e Jeanne-Claude intervengono indifferentemente su un territorio, un oggetto, un monumento od un edificio per trasformarlo, tenendo sempre conto delle regole compositive date dalla storia dell’arte. Evidenziare nascondendo, proporre una percezione della realtà prima mai avuta, è questa in sintesi la loro Arte.
Nel 1958 Christo arriva a Parigi, dove conosce la sua futura moglie e collaboratrice Jeanne Claude de Guillebon. Nascono i primi “wrapped objects” cioè oggetti impacchettati con i quali si fanno conoscere; tra gli oggetti vi sono: lattine, sedie, bottiglie e scatole avvolte da tessuto cerato e spago. Christo lavora sulla modificazione percettiva degli oggetti e dei luoghi, che sotto le sue mani cambiano natura, ma anche il modo di essere guardati. Un po’ il rovescio dell’operazione che ha fatto Duchamp con il ready-made quando innalzò l’oggetto d’uso, l’orinatoio, ad opera artistica. Christo fa il contrario: se in partenza ha un’opera d’arte (come le Mura Aureliane) questa è reinventata come un bizzarro oggetto d’uso. Se è un elemento naturale o un manufatto, si trasforma in opera artistica. E tutte comunque diventano indimenticabili perché protagoniste di una nuova estetica.
Nel 1961 si tiene la sua prima mostra personale con il testo critico di Pierre Restany alla galleria Haro Lauhus a Colonia. Christo, che nelle sue opere prende ispirazione da “L’enigma di Isidore Ducasse” (dove una macchina per cucire è avvolta in una coperta con dello spago) di Man Ray, oggi viene considerato uno dei precursori della cosiddetta Land art, cioè arte del territorio. Le vaste realizzazioni nascono per essere temporanee e non modificano durevolmente il paesaggio. La sua opera è un intervento che richiede una forte progettualità e uno studio accurato del territorio, delle scelte artistiche adatte al luogo, ma è un operare che non entra in conflitto con questo, è anzi un’azione che sottolinea e cambia l’ambiente per attirare l’attenzione.
Già durante la sua breve adesione al gruppo dei Nouveau Réalistes, Christo abbandona la sua pratica di ritrattista per creare azioni ambientali, il suo impacchettare rende il contenuto al tempo stesso misterioso e valorizzato. Spesso le sue coperture hanno suscitato uno scandalo pubblico, perchè vissute come un insulto ai luoghi prescelti invece che, come nelle intenzioni dell’artista, un omaggio. Nel periodo di durata del progetto, siti, oggetti ed edifici diventano totalmente altro da sé, assumono l’aspetto della scultura e diventano, anche in caso di manufatti noti o di isolate porzioni di natura, prodotto estetico autonomo, altra cosa rispetto a quello che sta sotto o dietro.
Tra i lavori più importanti si ricodano: 1971, il “Valley Curtain” dispiega su 394 metri di larghezza, una tenda di polyamide arancione che sbarra il fondo di una vallata in Colorado tra due fianchi rocciosi; nel 1975 a Roma impacchetta le Mura Aureliane, “The wall”; a Newport Rhode Island realizza “Ocean Front”,13940 metri quadri di tessuto di polipropilene che galleggiano sul mare; nel 1977 mette in opera progetto ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi, di accatastamento di 390.500 bidoni di petrolio: “Abu Dhabi Mastaba, Project for United Arab Emirates”; nel 1985 esegue il progetto “The Umbrellas, project for Japan and Western U.S.A.”, con lo scopo di collegare tra di loro Giappone ed ovest degli Stati Uniti in una linea ideale formata da 3000 ombrelli di forma ottagonale, talora raggruppati, talora distanziati gli uni dagli altri, disposti seguendo l’andamento del terreno.
Impacchettamento di Porta Pinciana
installazione urbana
fotografia 50/150
50 x 70 cm
1973
L‘Impacchettamento di Porta Pincina, datato 1973, si riferisce alla mostra Contemporanea di Roma, in cui l’artista realizza un intervento indimenticabile per la città: “impacchetta” le mura aureliane.
La sua è una provocazione molto forte, un modo inconsueto di portare l’arte nella città. Ma soprattutto, è il luogo a fare l’opera: Roma, città sacra e culla dell’arte classica, viene investita di contemporaneità.
Christo vuole richiamare l’attenzione su un processo di metamorfosi, sulla realtà e sul mistero dell’oggetto, che il mondo di oggi non consente più di vedere.
Il suo intervento amplia il pubblico dell’arte coinvolgendo chiunque, sia quelli che lavorano al progetto, sia quelli che vi passano accanto. In questo modo egli permette all’uomo di leggere la realtà in una diversa modalità, svelando ciò che non si vede o ciò che non si sa di vedere.
Le sue opere sono negazioni: impacchettando esclude alla vista, ma contemporaneamente enfatizza un oggetto paesaggistico o un monumento, sottolineando il consueto (ormai reso invisibile dall’abitudine) dandogli un nuovo significato, restituendogli una dignità che l’uso improprio della società gli aveva negato.
Il suo metodo tocca diverse problematiche riguardanti il modo di concepire l’arte: è difficile dire quale sia l’opera, il risultato finito o tutto il processo di progettazione che lo ha determinato.
Il carattere temporaneo della sua opera è importante: la concezione dell’eternità dell’arte è, per Christo, antistorica e antidialettica, è un’espressione della società capitalistica.
Ecco allora che sotto la sue mani e con il rivestimento che aggiunge, le storiche Mura Aureliane cambiano natura, ma anche il modo di essere guardate.
Presso la sede del Muspac, è possibile visionare anche un video riguardante la realizzazione dello storico evento.
Martina Sconci