Carlotta e il giovane

CARLOTTA E IL GIOVANE WERTHER Spettacolo teatrale

07 Marzo 2019

Alla vigilia della Festa della Donna, un tuffo negli abissi del pensiero femminile per tirare giù le fragili architetture di una vita quieta solo in superficie. Dopo il debutto a Napoli e le prossime date a Bologna, Roma e San Vito Chietino, va in scena “Carlotta e il giovane Werther” al Mu.Sp.A.C. dell’Aquila.
Uno spettacolo liberamente ispirato a “I dolori del giovane Werther” di J.W. Goethe, prodotto e realizzato da Gli Artimanti, con testo e regia di Manuel Capraro, interpretato da Federica Di Cesare, Lorenzo Giovannetti e Massimo Sconci, con le scenografie di Mirco Di Virgilio, assistente alla regia Alessia Falvo.

L’evento gode del patrocinio del Comune di San Vito Chietino e rientra all’interno del progetto  “Museo Vivo della Città Territorio per la rinascita dell’Aquila”

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Carlotta e il giovane Werther è una messa a fuoco differenziata, un voluto decentramento che sposta l’asse di attenzione da Werther a Carlotta, attraverso un’analisi puntuale della sua vita, che assurge a simbolo di donna ombra, una delle tante ancora oggi vittime di una società che fatica a stare al passo con l’evoluzione dei ruoli. Una vita in apparenza tranquilla quella di Carlotta, trincerata dietro una schiera di uomini: padre, marito, fratelli. Ma al caro prezzo di una libertà violata, senza impulsi da saziare, confini da valicare. Alberto, il marito, è un uomo rude, banale, incurante e Carlotta ne prende coscienza quando incontra il giovane, affascinante Werther. La loro relazione, grazie alla profondità di un amore libero e giocoso quanto puro, che li lega vicendevolmente, determina la rottura delle convenzioni sociali. La vicenda racconta l’evoluzione di una donna, l’evasione dalla realtà e la sua dolorosa presa di coscienza.

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LA FORZA DELLA LENTEZZA Viaggiatori e contadini senza velocità

02 Marzo 2019

Il 2019 è per l’Italia l’anno del turismo lento, e come movimento ispirato alla lentezza, questa scelta non può che farci sentire particolarmente coinvolti. Il turismo lento equivale per noi ad una forma di viaggio che intende entrare in profondità nel rapporto con il territorio, fino a coglierne il senso più intimo. E chi più dei contadini può aver fatto di questa esperienza una scelta di vita? Viaggiatori e contadini costituiscono perciò i due poli di una relazione che ha al centro la terra, in un tempo che non conosce velocità, ma solo ritmo. Il nostro incontro-dibattito ci vedrà testimoni di questo incontro. Le presentazioni del volume di Andrea Ferraretto “Lentamente”, alla scoperta dell’Italia più piccola, e della mostra fotografica di Flavia Amabile sui “Contadini volanti” saranno occasione per interrogarci sulla forza della lentezza come stimolo a partire dal quale ripensare un mondo altro possibile. Un mondo senza fretta.

Oltre agli autori interverranno Martina Sconci (storica dell’arte e direttrice artistica del MUSPAC) e Giovanni Cialone (architetto e segretario della Condotta SlowFood dell’Aquila).

L’evento rientra all’interno del progetto  “Museo Vivo della Città Territorio per la rinascita dell’Aquila”.

All’incontro seguirà un aperitivo con i prodotti del Mercato Contadino dell’Aquila.

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PICCOLA FINESTRA 2003

Simonetti Giuseppe

GIUSEPPE SIMONETTI 2
 

 

Nasce a Palermo e nella stessa città ha inizio la sua formazione artistica, nel corso degli anni Settanta, in un periodo ricco di fermenti culturali e rinnovamenti del linguaggio espressivo delle Arti Visive.
Dal 1976 è docente di Discipline Pittoriche e affianca tale attività a quella artistica. Titolare della cattedra di DisciplineGrafiche e Pittoriche, fino al 2018, presso il Liceo Artistico Statale Vincenzo Ragusa e Otama Kiyohara di Palermo.
Sensibile alle tematiche emergenti nell’ambito della comunicazione e del linguaggio visivo contemporaneo, è impegnato attivamente nella ricerca artistica fin dagli anni Settanta. Con le sue opere ha partecipato, su invito, a parecchie e significative rassegne di arte visiva in Italia e all’Estero; ha realizzato inoltre numerosi progetti espositivi personali.

 

 

 

Ha esposto a:

Bagheria, Bari, Berlino, Bologna, Bruxelles, Caltanissetta, Catania, Civitavecchia, Comiso, Enna, Foggia, Forlì, Forte dei Marmi, Francavilla a Mare, Gibellina, Marina di Ravenna, Mazzara del Vallo, Messina, Monreale, Monzòn, New York, Palermo, Parenzo, Parigi, Praga, Ravenna, Roma, S. Cataldo, Taormina, Tarquinia.

 

Sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero e in alcuni musei:

Collezione Internazionale di Art Kite Foundation di Osaka; Collezione Wurth, Museum Würth Künzelsau; Museo Civico d’Arte Contemporanea Gibellina; MUSEUM Osservatorio dell’Arte Contemporanea in Sicilia Bagheria; Collezione Art Hotel Atelier Sul Mare Castel di Tusa; Collezione Fondazione Mazzullo Taormina; Museo delle Trame Mediterranee, Fondazione Orestiadi, Gibellina.

 

Hanno scritto:

Elio Filippo Accrocca, Zoe Baragli, Lucio Barbera, Pialuisa Bianco, Laura Bica, Giovanni Cappuzzo, Francesco Carbone, Toti Carpentieri, Sofia Cuccia, Nicolò D’Alessandro, Gillo Dorfles, Giuseppe Frazzetto, Francesco Gallo, Aldo Gerbino, Marina Giordano, Elio Giunta, Giuseppe La Monica, Tomasa Lotti, Nicola Micieli, Paola Nicita, Aurelio Pes, Cristina Pontisso, Eduardo Rebulla, Tommaso Romano, Anna Maria Ruta, Sebastiano Saglimbeni, Rita Salis, Gemma Salvo Barcellona, Franco Solmi, Franco Spena, Sergio Troisi, Emilia Valenza.

 

 

 

GILLO DORFLES

“Non tutto l’astrattismo geometrico è destinato a scomparire”; e neppure “il naturalismo mimetico può essere del tutto sconfitto”.
Queste due frasi forse riassumono un po’ quello che ci vien fatto di pensare di fronte all’ultima serie di dipinti di Giuseppe Simonetti.
Ed è, infatti, in questa contrapposizione – e al tempo stesso confluenza – delle due tendenze che mi sembra consistere una delle ragioni dell’attualità di questa pittura. Che è decisamente indirizzata a un recupero di quella urgenza cromatica di per sé autonoma, ma tuttavia consapevole come oggi non bastino più gli esercizi e i ragionamenti attorno alla complementarità dei colori, al loro contrasto simultaneo, ai “gradienti marginali” degli stessi, tanto accuratamente studiati – a partire da Goethe fino a Itten e Albers – giacché sono ormai divenuti più che altro dominio della psicologia percettivista. Come non basta prescindere dalla imitazione della natura o da una matericità del colore per offrire una ragion d’essere alla propria iniziativa pittorica.
Simonetti, per sua fortuna, appare molto consapevole di quanto ho detto or ora; e le sue opere – tanto nelle “Camere con vista”, che nel “Frammento d’infinito”; e ancor più in queste ultime tele, dove sono più netti i contrasti tra la fase timbrica del colore e la fase naturalistica di ipotetici paesaggi – sono la testimonianza d’una duplice ricerca: quella del colore di per sé – di questa “entità” che non sarà mai abbastanza studiata ed elaborata; e quella del rapporto tra area cromatica e brandelli di “terrestrità” (con tutti i richiami atmosferici o persino narrativi); sicché il confluire e il contrapporsi dei due momenti e delle due forme espressive permette all’artista di ottenere un’immagine globale – ma al tempo stesso sufficientemente discordante – perché sia evitato ogni compiacimento di natura ornamentale. Il fatto, poi, di aver volutamente evitato ogni ricerca di strutturazione armonica, di proporzionalità aurea, di composizione simmetrica, fa sì che queste opere si differenzino totalmente da quella d’un superato geometrismo, allo stesso modo che si differenziano dal rigorismo dell’arte concreta di svizzera memoria, per la frequente presenza d’un raffinato colore tonale.
(Presentazione della mostra “Lo spazio del colore”, Galleria d’Arte Gnaccarini, ottobre 2004, Bologna).

 

 

 

Sito web: http://www.giuseppesimonetti.com 

 


PICCOLA FINESTRA 2003

Piccola Finestra

Acrilico e pastello su tela

60 X 60 cm

 2003

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CAMBIAMENTO CLIMATICO dialogo tra scienza, arte e letteratura

07 Febbraio 2019

L’ultima Conferenza mondiale sul clima (COP24) che si è svolta a Katowice (Polonia) lo scorso dicembre ha reso noto che, nonostante gli importati accordi raggiunti a Kyoto prima (1997) e a Parigi poi (2015), il livello di allarme da parte dei climatologi di tutto il modo rimane ancora altissimo. L’ultimo rapporto dello IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change) delle Nazioni Unite infatti ha confermato che un aumento medio della temperatura globale di almeno 1,5°C sui livelli pre-industriali è ormai pressoché inevitabile. Affinché questa soglia non venga superata, però, è assolutamente necessario tagliare le emissioni di anidride carbonica del 45% entro il 2020, cioè entro domani. In mancanza di azioni drastiche e di cambiamenti radicali, la temperatura media aumenterà oltre i 2 °C, portando a eventi climatici più estremi e cambiando il clima di intere aree geografiche, con conseguenze prossime alla catastrofe per milioni di persone. Allineare la nostra vita quotidiana sulla traiettoria di un aumento massimo di 1,5 °C è perciò un must. Per questa ragione, anche SlowFood ha fatto rimbalzare il grido a livello internazionale, lanciando la campagna #FoodforChange. Lo sta facendo per una doppia ragione, perché, se è vero che l’agricoltura sarà il primo settore a risentire in modo più critico del cambiamento climatico – con effetti negativi che si ripercuoteranno su tutte le colture del mondo, sugli agricoltori e sui consumi alimentari – è altrettanto vero che il modello di agricoltura industrializzata adottato negli ultimi 70 anni è tra i fattori più direttamente impattanti sul clima. Per arginare questi rischi, il più grande movimento mondiale per il cibo buono, pulito e giusto sta promuovendo un modello alternativo di produzione e di consumo di cibo fondato sul rispetto della biodiversità agricola, sul riciclo dei nutrienti, sulla sinergia e sulla interazione tra colture, allevamento e suolo. Un uso più efficiente dell’acqua, la riduzione nell’impiego di energie fossili, la tutela di un ricco e differenziato patrimonio genetico, la valorizzazione dei saperi agricoli tradizionali e pre-industriali, sono i prerequisiti necessari per garantire l’adattamento ai diversi climi e territori, riducendo non solo gli impatti sul clima ma anche prevenendo fenomeni di abbandono delle terre e di migrazione. Consumare un cibo prodotto secondo questi principi piuttosto che in modo industriale può segnare il passo del cambiamento, attraverso scelte quotidiane e pratiche che da individuali divengono orientamento di massa. Affinché tutto ciò sia perseguito, però, è di fondamentale importanza che la conoscenza scientifica sia adeguatamente divulgata attraverso tutti i linguaggi possibili. L’umanità non può più permettersi gap comunicativi e tutti dobbiamo conoscere i rischi che stiamo correndo. Per poter rispondere a questa impellente urgenza, come Condotta SlowFood dell’Aquila abbiamo deciso di far incontrare intorno ad un unico tema discipline apparentemente molto distanti tra loro come la climatologia, l’arte e la letteratura.

L’evento rientra all’interno del progetto  “Museo Vivo della Città Territorio per la rinascita dell’Aquila”

PROGRAMMA
Parteciperanno all’incontro Gianluca Redaelli (climatologo e docente di Fisica dell’atmosfera e dell’oceano presso l’Università dell’Aquila); Martina Sconci (storica dell’arte, direttrice artistica del MU.SP.A.C. e docente di Storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila); Stefano Redaelli (fisico ed umanista, docente di letteratura presso la Università di Varsavia), moderati da Rita Salvatore (sociologa dell’ambiente, docente di Turismo enogastronomico e sviluppo rurale presso l’Università di Teramo e fiduciaria della condotta SlowFood dell’Aquila).

 

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