Locandina anni '70

ANNI SETTANTA UNA NUOVA IDEA DELL’ARTE Mostra d’arte contemporanea

21 Dicembre 2007 - 21 Febbraio 2008

La mostra d’arte contemporanea: ANNI SETTANTA: Una nuova idea dell’arte comprende opere di artisti della collezione permanente del Museo.

Fra le principali opere segnaliamo quelle di: Joseph Beuys, Jannis Kounellis, Mario Merz, Fabio Mauri, Giulio Paolini, Gilberto Zorio, Michelangelo Pistoletto, Mario Schifano,Giuseppe Chiari, Vettor Pisani, Christo.

Alcuni artisti citati sono stati protagonisti del movimento dell’Arte Concettuale e dell’Arte Povera italiana, teorizzata da Germano Celant.

Per contestualizzare gli anni Settanta, il percorso della mostra sarà arricchito da cataloghi e proiezioni di video che ricostruiscono i principali avvenimenti di quegli anni. Allo stesso tempo, durante il periodo di svolgimento della mostra , verranno organizzati incontri, laboratori didattici e visite guidate.

 

Nella mostra verranno esposte alcune opere di Joseph Beuys, la cui ricerca ha precorso sia l’arte processuale che di comportamento, caratterizzandosi sia in senso antropologico che ideologico, come riflesso di una concezione economica e politica rivoluzionaria. Beuys, che ha svolto parte del suo lavoro in Abruzzo, ha fondato organizzazioni politiche e scuole di libera creatività (“Organizzazione per una democrazia diretta”, “Libero Istituto Internazionale per la Creatività e la Ricerca Interdisciplinare”) ed elaborato tutta una sua simbologia ( a partire dalla croce, simbolismo del Cristianesimo e della razionalità occidentale ), assumendo un ruolo profetico. Ha ripreso e precisato quella “ideologia dell’ Io” come esaltazione della creatività individuale ed energia vitale, che già avevano espresso Duchamp, Kleyn, Manzoni …..Beuys è infine l’ eroe romantico, che esalta le energie della natura ed ostenta l’atteggiamento artistico come “nuova antropologia”, “nuova ecologia” e, insieme, “ricerca e acquisizione di immortalità”.

 

 

La vastissima letteratura internazionale su questo artista, concorda nel riconoscergli un ruolo storico fondamentale per l’arte contemporanea. Il campo d’interesse dell’arte di Beuys è stato un singolare spaccato antropologico, dove l’azione artistica è stata vissuta come costante progetto esistenziale. Disponendo a “tableaux” materiale residuo di azioni, oppure l’insieme di oggetti raggruppati con una certa connessione, l’artista ha raggiunto una figuratività fortemente simbolica e mitica. E’ stato il più importante esponente dell’arte europea dei nostri giorni, in contrapposizione ad Andy Warhol (entrambi sono morti tra l’86 e l’87).

 

 

Beuys non ha mai visto l’arte come cosa fine a sé stessa: era artista, filosofo, politico ( ma non nel senso tradizionale), era soprattutto un uomo che cercava di spingere gli altri uomini a ritrovare il contatto con la natura e con lo spirito per vivere delle loro stesse forze.

Come massimo esponente dell’enviroments e dell’arte della performance ha sempre insistito sul coinvolgimento personale dell’uomo artista nella realizzazione dell’ “opera d’arte” e ha sempre usato più di un materiale e più di un mezzo espressivo.

Beuys ha utilizzato il proprio corpo, la parola scritta e parlata, gli animali, le cose della terra, della natura, tutto ciò che poteva contenere e trasmettere energia.

La natura e Beuys sono sempre stati dei buoni alleati, la terra gli ha fornito i mezzi e lui ha cercato di proteggere la natura diffondendo il suo pensiero.

Locandina anni '70
Pierre-Huyghe-Untilled-Liegender-Frauenakt-2012-courtesy-MoMA-New-York

BEE THE CHANGE api e cambiamento climatico

13 Aprile 2019

Come sottolineato anche dall’ultimo rapporto dello IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change) delle Nazioni Unite, l’importanza di intervenire con azioni decise sulle conseguenze dell’aumento medio della temperatura globale diventa di fondamentale importanza, sia per gli effetti diretti che il clima determina sulla vita dell’uomo, modificando intere aree geografiche, sia per gli effetti indiretti che tali cambiamenti impongono ai sofisticati equilibri della Natura. Uno dei danni già provocati all’ambiente naturale da parte dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale è la drammatica diminuzione delle api. L’attuale innalzamento di 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali rappresenta uno dei principali pericoli per la sopravvivenza di questi insetti e degli altri impollinatori. I segnali che destano preoccupazione sono immediatamente visibili: subito dopo l’uso intensivo dei pesticidi, i cambiamenti climatici rappresentano una delle maggiori minacce per gli impollinatori, da cui dipende la gran parte della produzione agricola destinata alla nostra alimentazione, quindi la sopravvivenza della specie umana. L’informazione capillare e continua resta l’unica strada percorribile per il cambiamento verso un futuro climatico più in linea con le condizioni di vivibilità.
Per questa ragione, anche SlowFood ha fatto rimbalzare il grido a livello internazionale, lanciando la campagna #FoodforChange. Lo sta facendo per una doppia ragione, perché, se è vero che l’agricoltura sarà il primo settore a risentire in modo più critico del cambiamento climatico – con effetti negativi che si ripercuoteranno su tutte le colture del mondo, sugli agricoltori e sui consumi alimentari – è altrettanto vero che il modello di agricoltura industrializzata adottato negli ultimi 70 anni è tra i fattori più direttamente impattanti sul clima. Per arginare questi rischi, l’associazione sta promuovendo un modello alternativo di produzione e di consumo di cibo fondato sul rispetto della biodiversità, sul riciclo dei nutrienti, sulla sinergia e sulla interazione tra colture, allevamento, suolo e mondo naturale. Un uso più sostenibile delle risorse, la riduzione nell’impiego di energie fossili, il divieto nell’uso dei pesticidi, sono i prerequisiti necessari per garantire il nostro futuro. Consumare un cibo prodotto secondo questi principi piuttosto che in modo industriale può segnare il passo del cambiamento, attraverso scelte quotidiane e pratiche che da individuali divengono orientamento di massa. Affinché tutto ciò sia perseguito, però, è di fondamentale importanza che la conoscenza scientifica sia adeguatamente divulgata attraverso tutti i linguaggi possibili. Per poter rispondere a questa impellente urgenza, come Condotta SlowFood dell’Aquila abbiamo deciso di tenere sempre alto il dibattito facendo incontrare intorno ad un unico tema discipline apparentemente molto distanti tra loro come la climatologia, l’arte, la letteratura, la gastronomia. Facendo seguito agli appuntamenti già avvenuti nei mesi scorsi, abbiamo deciso di dedicare un momento di riflessione proprio alle api, come infallibili indicatori biologici. Parteciperanno all’incontro Klaide de Sanctis (fisico e apicoltore, responsabile modellistica atmosferica della HIMET, spin-off del Centro di Eccellenza CETEMPS dell’Università dell’Aquila); Martina Sconci (storica dell’arte, direttrice artistica del MU.SP.A.C. e docente di Storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila); modererà Quirino Crosta (membro del comitato direttivo di Condotta). L’artista Gianmaria de Lisio presenterà la sua opera dal titolo “Bortrait” e seguirà una degustazione di mieli monoflorali, e in particolare di quelli legati al Presìdio SlowFood “Mieli dell’Appennino aquilano”, a cura di Vittoriano Ciaccia di Apicoltura Ciaccia (apicoltore iscritto all’albo nazionale degli assaggiatori di miele e referente del Presìdio).

L’evento rientra all’interno del progetto  “Museo Vivo della Città Territorio per la rinascita dell’Aquila”
INFO: www.muspac.com – slowfood.condottalaquila@gmail.com

mde

L’AQUILA NUOVA spettacolo teatrale di Massimo Sconci

29-30-31 Marzo 2019

A dieci anni dal sisma che nell’Aprile 2009 sconvolse la città dell’Aquila, l’Abruzzo e l’Italia intera, torna in scena in versione aggiornata e più che mai attuale lo spettacolo interamente scritto, diretto e interpretato da Massimo Sconci, finalista nella sezione Teatro della Biennale MArteLive 2018.

Punto cruciale dell’intero spettacolo è l’individuo. Un cittadino aquilano qualunque, che tenta con difficoltà di relazionarsi con qualcosa di imprevedibile come il terremoto. La sua ironia, tenerezza e fragilità può avere come reazione una inevitabile depressione oppure una necessaria resistenza. Il risultato è una narrazione che vorrebbe essere lineare, ma che inevitabilmente si frammenta in più capitoli differenti.
Il capoluogo d’Abruzzo, come l’intera regione, da troppo tempo, e soprattutto negli ultimi anni, sta vivendo una condizione di durissima crisi. Ma forse, su un palcoscenico, assieme al pubblico, c’è la possibilità di cominciare a immaginare una città diversa, migliore. Di certo non perfetta, ma sicuramente Nuova!
In scena un attore con una sedia e senza microfono, due paia di occhiali, un orsacchiotto di peluche e una valigia, per un allestimento scarno ed essenziale. Cornice di un racconto evocativo fatto di tante piccole storie, del passato, del presente e del futuro della città. Racconti vissuti oppure mai accaduti, intrecciati attorno all’abilità evocativa del narratore.

“Ho scelto personalmente lo stile del teatro di narrazione che, assieme al corpo, all’energia e alla voce del protagonista, è per me il miglior elemento rappresentativo per esprimere ciò che desidero raccontare. In tutto il suo minimalismo il Teatro è la forma di comunicazione più adeguata per trasmettere al pubblico le ironiche emozioni di un’esperienza vissuta in prima persona.
Per la mia città, dove sono nato e cresciuto, spero possa trasmettere un nuovo modo di vivere e raccontare il passato e il presente, con l’intento di ricostruire una memoria collettiva attorno alla quale recuperare il concetto e la forza di una comunità.” (Massimo Sconci)

L’evento rientra all’interno del progetto  “Museo Vivo della Città Territorio per la rinascita dell’Aquila”

invito l'aquila nuova
Invito mostra fluire

FLUIRE Mostra personale di Bruna Bontempo

26 Marzo - 01 Aprile 2019

Il MU.SP.A.C. Museo Sperimentale d’Arte Contemporanea ha inaugurato martedì 26 marzo 2019 alle 18,30, la mostra di Bruna Bontempo dal titolo “fluire”.

Come spiega l’artista, il progetto nasce dall’esigenza di voler collegare metaforicamente il Gran Sasso alla storia della città dell’Aquila, creando connessioni emozionali tra viaggio, movimento, visione, mente, corpo e sensi. Fluire rappresenta dunque un movimento fluido, una simbiosi metaforica che determina, per dirla come la scrittrice Giuliana Bruno, una “narrazione geografica emozionale”. Allontanandosi dai primi lavori più legati ad una matericità della pittura, per questa mostra Bontempo sente la necessità di esprimersi in nuove forme, esponendo una serie di opere realizzate nell’arco degli ultimi anni, in cui il tema del paesaggio è analizzato e restituito attraverso un linguaggio più astratto, fatto di linee, segni, tracce, percorsi. La varietà delle cromie si riduce a un campionario di tinte preferite e le forme si fanno sempre più semplificate e minimali. L’artista riflette sul suo rapporto con la natura del territorio in cui è nata e in cui vive, un rapporto pacifico, sentimentale, come quello che i pittori romantici inglesi dell’800 avevano con il paesaggio. Il Gran Sasso è al centro dei suoi pensieri e del suo universo poetico, tanto da riprodurlo in varie dimensioni e da renderlo oggetto tascabile. Un’ossessione, come quella di Paul Cezanne per la montagna Sainte-Victoire. Nel tentativo di catturarne ogni piccola insenatura, il Gran Sasso perde i suoi connotati reali, ci sembra irriconoscibile, diventa qualcosa di astratto, in continuo mutamento, risvegliando un paesaggio interiore di amore e spiritualità.

L’evento rientra all’interno del progetto  “Museo Vivo della Città Territorio per la rinascita dell’Aquila”.

Di seguito i testi critici che hanno accompagnato l’esposizione.

 

La Montagna Sacra di Martina Sconci

Respiro, libertà, poesia e vibrazione emotiva sono solo alcuni dei tratti salienti di questo nuovo ciclo di lavori di Bruna Bontempo che hanno come comune denominatore il Gran Sasso, “la bella addormentata” – come la chiamano gli abitanti di questo territorio – perché il suo profilo, arrivando dall’autostrada, assomiglia a quello di una donna che dorme, sospesa tra la terra e il cielo. Richiamando ricordi infantili, Bruna si interroga sulle profondità naturali, ritrovando la propria identità nella sua terra, per conoscere a fondo, attraverso la trascrizione pittorica, ciò che l’atto della visione le suggerisce. La montagna diventa per lei un’ossessione, come quella di Paul Cezanne per la montagna Sainte-Victoire. Nel desiderio spasmodico di possederla, la riproduce in infinite forme e dimensioni, la rende oggetto tascabile. Nel tentativo di catturarne ogni piccola insenatura, le fa perdere i suoi connotati reali, rendendola irriconoscibile, trasformandola in qualcosa di astratto, in continuo mutamento, rivelatrice di un paesaggio interiore. Ricordandoci che lo spazio è dotato di un sentire e di una sensibilità che spesso si contrappone a quella dell’uomo, Bruna diventa la nostra guida spirituale, ci conduce nei suoi viaggi sentimentali in cima alla “montagna sacra” (fantomatica e misteriosa montagna, raccontata da Alejandro Jodorowsky sulla cima della quale, secondo l’Alchimista, si trovano nove immortali custodi del segreto riguardo la verità del mondo e della vita), la offre al nostro sguardo, per condividere con noi le sue visioni e intuizioni, svelandoci la freschezza e l’inesauribile curiosità del suo spirito di ricerca. Ciò che le interessa non è descrivere il paesaggio ma le sensazioni che evoca. Idee e sentimenti personali prendono forma attraverso accordi armoniosi di linee, colori, luci che riempiono lo spazio di bellezza. L’allontanamento dalla quotidianità frenetica del contemporaneo e la riappropriazione dell’interiorità si ritrova attraverso un rapporto approfondito e intenso con il luogo e si manifesta nei lavori di Bruna con una scrittura della natura fatta di tracce di colore e segni minimali, che sembrano richiamare stati emotivi inconsci. Sono i percorsi attorno alla “grande montagna”, ripresi dagli itinerari e sentieri di Stefano Ardito, che risvegliano un paesaggio di solitudine, amore e dolore, ridando vita a preziosi frammenti della vita dell’artista. Svolto con grande passione e determinazione, il lavoro di Bruna trasmette però non solo un ritorno nostalgico al tempo vissuto, ma un cambiamento diretto verso livelli di comprensione più ampi ed elevati. L’oro, presente nel grande dipinto del Gran Sasso, si fonde con il bianco bagliore della neve, richiamando sia il mondo materiale sia quello spirituale. Non a caso, nella tradizione alchemica, l’oro viene abbinato alla luce del sole, rappresenta l’ideale di perfezione ed è simile allo spirito. Nel corso delle stagioni, la montagna si trasforma, assumendo diverse tonalità di colori e bagliori di luce che ritroviamo nel grande lavoro composto da cento tavolette. Al contatto con il cielo sembra comunicarci una certa sacralità, espandendo la nostra percezione e concezione del mondo. I segni e le forme della montagna diventano nelle opere di Bruna attori di un’infinita, incomparabile poesia del pensiero e del sogno. Il Fluire rappresenta una sorta di vagabondare tra le linee della natura, tra l’immobilità del paesaggio e la fredda aria del cielo, senza meta, ansiosi di provare emozioni intense e di essere testimoni privilegiati di una realtà che, per essere osservata e interpretata, esige che ci si abbandoni ad essa. Attraverso pratiche artistiche e materiali differenti, in questa mostra Bruna sa concentrare meravigliosamente le “mille voci che cantano in lei”, riscoprendo una poetica dell’intimità, della quiete e del silenzio, manifestando la capacità tutta femminile di desiderare qualcosa e farla, spostando i propri confini sempre leggermente in avanti. Ci ricorda che l’esercizio dell’arte, la sua pratica, il suo enigma, rappresentano qualcosa di fondamentale, per noi stessi, per il nostro inconscio, per il mondo. Forse per questo Bruna trasforma la montagna in un simbolo, in un segno – scultura, o semplice oggetto, da portare in tasca per sentirci protetti, come fosse una reliquia: un piccolo dono divino della montagna sacra.

 

Breve nota su un paesaggio di Cecilia Canziani

Davanti a me, posato sulla scrivania, ho un piccolo oggetto che guardo spesso. È una delle sculture che Bruna Buontempo ha realizzato lo scorso anno, una riproduzione in scala del Gran Sasso, che ha realizzato in diverse misure e colori. Quella che ora guardo è rosa. Una piccola montagna rosa, perfetta nello spazio di qualche centimetro, con avvallamenti, salite, picchi, e percorsa da linee che sono certamente quelle conferite dalla stampa in 3D, ma che rappresentano anche le quote altimetriche della montagna, restituendola come una serie di linee. Insomma, ho una montagna che sta in una mano, una scultura da passeggio, di un colore che è quello che a volte il tramonto o l’alba conferiscono al paesaggio. Se sposto lo sguardo di qualche decina di centimetri incontro un’altra montagna: una piccola fotografia del Monte Grappa, scattata da mia nonna nel secondo dopoguerra, che a me sembra inscrivere la storia della mia famiglia nella Storia del mio paese. (Mi stupisce sempre il fatto che le foto di una volta fossero così piccole, che più che riconoscere visi e luoghi li si debba indovinare). La vicinanza tra questi due oggetti del tutto diversi è casuale, eppure oggi a pensarci mi sembra che non sia pretestuosa, e che chiarisca in un colpo d’occhio quanto complessa sia – sempre – ogni immagine e ogni indagine sul paesaggio, proprio perché esso condensa tante diverse possibili letture e accezioni. Quando Bruna Buontempo stava iniziando a lavorare al suo progetto, mi ricordo che mi aveva detto di avere realizzato un Gran Sasso in miniatura per poterlo portare sempre con sé: mi aveva colpito questo trasformare un sentimento – il senso di un luogo – in un gesto. Il paesaggio è un genere longevo nella storia dell’arte, e in tempi più recenti è stato declinato anche attraverso la pratica dei luoghi, o restituito in forma di prelievo diretto dalla natura, ma la versione di Bruna mi aveva fatto pensare a una cosa più domestica e intima, come la necessità di tradurre una visione in qualcosa che può stare in tasca, che si può cercare con le dita, e da cui trarre forza e felicità. Trasformare un genere in un gesto mi sembra ancora adesso un’operazione potente, nella sua semplicità. La piccola scultura che guardo, fatta di colore e di linee, mi sembra condensare in fondo tutta la ricerca dell’artista: l’appartenenza a un luogo che è sia immagine, sia spazio praticato (attraverso la memoria, con il corpo, attraverso il racconto, attraverso gli archivi); il paesaggio come motivo, ma anche la scelta di un paesaggio specifico che intreccia una storia individuale alle storie di altri; l’essere dentro quel paesaggio come registrazione di un tempo personale e di un tempo che non ci appartiene, un tempo geologico che fa a meno di noi; infine la necessità di registrare questo luogo attraverso la pittura e la scultura, la linea e il volume. Così in forma di frammento, attraverso una miniatura, penso di poter immaginare la mostra che l’artista sta componendo e che conclude una lunga fase di ricerca e di lavoro sull’idea di luogo e su un luogo specifico, al quale continua a guardare.

 

Invito mostra fluire Brunba Bontempo