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Gigante Stefania

Giovane artista poliedrica, in continua fase di sperimentazione.

L’arte diventa ricerca personale, e il suo mondo, interiore ed esteriore, si traduce soprattutto in opere pittoriche e grafiche. Conclusi gli studi liceali, la passione per la pittura diventa la sua attività principale: si iscrive all’Accademia di Belle Arti di L’Aquila, si laurea in Grafica d’arte e si specializza in Grafica multimediale con il massimo dei voti. Vince alcuni premi partecipando a concorsi di pittura, design e fotografia, è spesso invitata a mostre pittoriche e fotografiche. Attualmente si occupa principalmente di grafica e design.

 

 

 

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8 Marzo 2007

litografia

70 x 50 cm

2007

 

Labirinto Egiziano_10-80_2009_Toni Pecoraro incisione

Pecoraro Toni

pecoraro

Nato a Favara (Agrigento) il 27 aprile 1958.
Nel 1977 si diploma all’istituto d’arte di Agrigento.
Dal 1977 al 1981 studia decorazione presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze.
Nel 1983 consegue le abilitazioni in educazione artistica e discipline pittoriche.
Nel 1985, come vincitore di una borsa di studio, frequenta la scuola di specializzazione per la grafica “il Bisonte”.
Dal 1985 al 1990 insegna tecniche dell’incisione presso l’accademia di Belle Arti di Macerata.
Attualmente insegna tecniche dell’incisione all’Accademia di Belle Arti di Bologna.

 

 

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Labirinto Egiziano_10-80_2009_Toni Pecoraro incisione

Labirinto egiziano

acqua forte, acqua tinta, acqua molle

Tiratura 10/80

2009

Bologna Meidevale_52-83_2012_Pecoraro

Bologna Medievale

acqua forte, acqua tinta, acqua molle

Tiratura 52/83

2012

Akaragas 406 a.C._acqua forte, acqua tinta, acqua molle_76-83_ 2014_Toni Pecoraro

 Akaragas 406 a.C.

acqua forte, acqua tinta, acqua molle

Tiratura 76/83

2014

 

zorio

Zorio Gilberto

Zorio_ritratto

La sua prima esposizione è del 1963, nella Piccola Galleria d’arte moderna di Torino. Dal 1967 si attesta come uno dei primi esponenti dell’arte povera. La sua prima personale è del 1969, a Parigi presso la Galleria Ileana Sonnabend. 1973 Galleria Gian Enzo Sperone. Sempre nel 1973 partecipa alla decima Quadriennale di Roma. Kunstmuseum di Lucerna nel 1976. Stedelijk Museum di Amsterdam 1979, sempre nel 1979 Galleria Christian Stein. Partecipa alle Biennali di Venezia del 1978, 1980 nel 1986 sempre alla Biennale di Venezia con sala personale.Dokumenta IX di Kassel nel 1992. Collezione Solomon R. Guggenheim Museum New York. Autore di sculture geometriche, in particolare di forma stellare, negli anni ottanta introduce nelle sue opere una ricerca sulla luce e sull’energia, tramite fonti di illuminazione e reazioni chimiche in corso. Numerose sono state le esposizioni monografiche di cui è stato oggetto, tra cui quella al Centre Georges Pompidou (1986), al Museo dell’arte di Tel Aviv (1987), alle università di Filadelfia (1988) e di Berkeley (1992). 2000 Galerie Guy Bärtschi, Ginevra. 2001 Dia Art Foundation: Chelsea, New York, NY, Tate Modern, Londra (Inghilterra). 2002 Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, Washington, DC; Walker Art Center Minneapolis MN; Museum of Contemporary Art Sydney NSW; MOCA THE GEFFEN CONTEMPORARY Los Angeles CA. 2005ZKM | Museum für Neue Kunst & Medienmuseum, Karlsruhe, Fondazione Arnaldo Pomodoro Milano, sempre nel 2005 alla Kunst und Ausstellungshalle der Bundesrepubilk Deutschland Bonn.Zero to Infinity: Arte Povera 1962-1972 Tate Modern, London, al MAMbo di Bologna (2009). 2011 una grande mostra – evento per raccontare l’Arte Povera a cura di Germano Celant che a partire da settembre si svolgerà contemporaneamente, fino ad aprile 2012, in diverse e importanti istituzioni museali e culturali italiane, a Bari, Bologna, Milano, Napoli, Roma, Torino. A partire dal 7 ottobre 2011 fino all’8 gennaio 2012 il MAXXI presenta Omaggio all’Arte Povera con due grandi installazioni di Jannis Kounellis e di Gilberto Zorio. Nel 2013 partecipa alla LV Biennale di Venezia, le sue opere sono esposte nel Padiglione della Repubblica di Cuba insieme a quelle di H.H. Lim, Francesca Leone, Hermann Nitsch, nella mostra “La perversione della Classicità: anarchia delle narrazioni”.
Elementi ricorrenti delle sue opere sono le stelle, le lance, le pelli di animale. Filo incandescente (1970), giavellotto (1971), raggio laser (1975) sono i vettori d’energia che costruiscono di volta in volta la forma stellare. Vasi, bacinelle e crogioli, come Alambicchi di vetro e di piombo costituiscono alchemici processi di trasformazione. Non c’è però mai metafora, il rimando a qualcos’altro (nonostante le valenze d’archetipo e le risonanze di significato che in generale la stella possiede): a Zorio dell’immagine interessa la forza, non il valore simbolico, dei materiali, anche i più comuni, la possibilità di combinazione che genera positive conflittualità ed energetiche tensioni.
Guggenheim Museum, New York City; Castello di Rivoli Museum of Contemporary Art, Torino, Italy; Dia: Chelsea, New York City; GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino; Museo di Arte Moderna e Contemporanea, Trento, Italy; Museum of Contemporary Art, Los Angeles; Museum of Contemporary Art, Sydney, Australia; S.M.A.K. (Stedelijk Museum voor Actuele Kunst), Ghent, Belgium.

 

 

 

Info da Wikipedia

 


zorio

Vulcano

litografia con interventi manuali e sabbia, tirata su carta Graphia

Tiratura 30 numeri arabi, 5 prove. Serigrafia e polvere di vulcano

44 x 60 cm

1998

 

Venditelli

Vendittelli Salvatore

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Nato a Roma nel 1927, Vendittelli è pittore, scultore, scenografo. Dal 1955 partecipa alle più importanti attività artistiche e culturali del momento e la sua attività si alterna tra teatro, cinema e mostre d’arte.

In contrasto col gruppo della Scuola Romana di Piazza del Popolo.


Salvatore Vendittelli afferma, dipinge, scrive, grida due sole parole: “NO” e “PLAGIO”, un avverbio e un sostantivo. Ininterrottamente, con forza e con ostinazione. Non solo esaurisce con queste parole il suo contratto discorso verbale, ma conclude anche la sua composizione figurativa, l’intero spazio della tela, fino a traboccare o a sprofondare in essa. Il fatto singolare è che Venditeli prende di nuovo pubblicamente parola e impiega di nuovo il pennello con l’assolutezza del pittore, venendo fuori da un lungo periodo di silenzio, non affatto vuoto ma colmo di altre opere, nel corso del quale ha preso attivamente parte in qualità di scenografo al “glorioso”, spericolato e sperimentale teatro confinato nella marginalità delle cantine romane, nel decennio 1961 – 71.
Ha lavorato per ben undici movimentate stagioni fianco a fianco a Carmelo Bene in spettacoli che hanno provocato scandalo, ma che hanno fatto anche data, come la prima edizione di “Pinocchio” nel 1963 e la “Salomè” nel 1964. in seguito, quasi risalendo dall’oscurità, è stato scenografo “sotto le stelle” negli spettacoli allestiti all’aperto a San Miniato in Toscana. Che appartengono anch’essi alla storia teatrale dell’ultimo trentennio. E se non bastasse, ha insegnato scenografia all’Accademia di Belle Arti, prima a Venezia, poi a L’Aquila e infine a Roma, con dedizione, talento didattico, invidiabile prestigio guadagnato su scolaresche molto spesso sbandate e recalcitranti ma sempre egualmente aperte e disponibili come è la giovinezza.
Vendittelli ci mette ora di fronte al “NO” e al “PLAGIO”. Con bruschezza e senza mezzi termini. Direi che la stessa biografia, non meno della scrittura visiva, scoglie l’enigma di queste sorprendenti tele. Il secco “NO” ripetuto in sequenze ordinate oppure esploso in successioni trasversali che si accavallano, fuggono verso i margini oppure sfocano, come a suggerire il grido e la sua eco, questo “NO” non appartiene alla trita e corrente cultura della negatività, che è quella dello spiccio, facile nichilismo di massa in cui siamo tutti invischiati e da cui veniamo umiliati. Nietzche aveva insegnato a dire “si” con coraggio e con grande generosità e non possiamo confonderlo con l’odierno prèt-à-porter nichilistico. Come non vi appartiene nemmeno il “NO” di Vendittelli. Esso discende da un nucleo intricato fatto d’insofferenza, di generosità e di speranze andate deluse e offese.
In una stagione di conformismo e di acquiescenza ad ogni livello, Vendittelli fa la sua bella libertà e la dignità della protesta. Il “NO” che siamo portati a considerare una caratteristica esclusiva dell’adolescenza –dico pur con dolore “no” al padre o ai padri per dire “si” a me stesso- diventa un prerogativa dell’esperienza accumulata negli anni e affinata nella consapevolezza. 
“Ripennes is all”, poche volte questa dura affermazione risulta vera come nel secolo che si sta chiudendo e che ha speculato a lungo e criminosamente sul mito della gioventù.
Ma non voglio adoperare la biografia fino all’abuso dell’uomo per trovare la chiave di lettura di queste composizioni. Lo stile di Vendittelli è secco come il suo “NO”e, al pari del suo “NO”, maturo e ben stratificato.
Vi scorgo una radice lontana nella grafica di Sironi fra il futurismo, l’espressionismo e la compattezza del ritorno all’ordine. E una radice vicina a farsi interna ancora in quella grande area che prende di nuovo nome dall’espressionismo, comprese le sue manifestazioni gestuali.
Ma è un espressionismo, quello di Vendittelli, tanto personale che traccia lettere tipografiche, le fa urtare, le sovrappone, le lancia verso la periferia oppure le lascia sprofondare. La scrittura della sua ripetizione è quella di oggi, ma non appare fredda e rivolta solo a sé stessa come nelle opere concettuali. E’ piuttosto di tipo mentale, compromessa con la riflessione e con una coscienza che si riferisce al mondo, alla condizione odierna dell’uomo e della società.
Poi c’è la parola “PLAGIO”, pesante come un’argomentata accusa, apparsa sulle tele dopo una lunga insistenza sulla negazione, a chiarire in maniera risolutiva il significato del “NO” di Vendittelli. La negazione è qui negazione del “PLAGIO”. Se consultiamo un dizionario etimologico possiamo imbatterci in sorprendenti chiarificazioni. “PLAGIO”, che ha affinità con “obliquo” e “scaltro”, deriva da “plagiare”, e “plagiare” vuol dire “rubare”, precisamente “rubare schiavi”. Per rubare occorrono scaltrezza e obliquità. Con penetrazione creativa, Vendittelli fa galleggiare la parola “PLAGIO” su un sfondo astratto-espressionista clonato, composto di un colore fascinatorio e “obliquo” come è l’arancione. Secondo Vendittelli siamo dunque tutti plagiati. Plagiati da chi, e poi, di che cosa? Chi ci deruba di noi stessi?
Mentre mi pongo questi interrogativi è scesa la sera. Dalla finestra scorgo, schermata da una magnolia grandiflora, l’azzurro respingente e instabile di uno schermo televisivo.
Dopo tutto, ha ragione Marshall McLuhan, ma non il pubblico sognatore dei suoi fortunati libri, ma l’uomo dubbioso e tormentato sul futuro degli strumenti comunicativi che appare con nostra sorpresa dalla sua corrispondenza privata. Il tanto atteso “villaggio planetario” si è trasformato nella cella –che non ha nulla da spartire con quella del monaco- di un single “plagiato”.

Alberto Boatto

 

 


Venditelli

Senza titolo

pittura su tela

150 x 150 cm

1997

 

Vendittelli risoluz.alta

Senza titolo

pittura su tela

218 x 140 cm

1997

 

NON

Mostra personale di Salvatore Vendittelli

3 – 30 Giugno 1999

VEDI EVENTO
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Vasarely Victor

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Vasarely trascorre l’infanzia nel suo paese natale,Pécs e a 12 anni manifesta le sue precoci tendenze artistiche con il quadro Bergère, un paesaggio. Nel 1925 si diploma, e incitato dal padre, studia all’università prima medicina, poi lettere. Nel 1927 compie il passo definitivo iscrivendosi all’Accademia artistica privata Podolini-Wolkmann. Lui aveva già un’ottima predisposizione al disegno, e la formazione artistica tradizionale (va detto che la interpretava già a modo suo) perfezionò la sua abilità. Quando termina l’istruzione artistica, il giovane Vasarely crea manifesti pubblicitari, numerosi studi di prossimi quadri (poi realizzati) e piccoli dipinti.

Nel 1929 Vasarely si trasferisce al M?hely, una scuola da lui definita “il Bauhaus ungherese”, fondata nel 1927 da Sándor Bortnyik, un ex professore di quest’ultima. Potremmo dire che Bortnyik “ha scoperto” Vasarely. Qui al pittore viene descritta l’arte senza bisogno di forma, senza bisogno di qualche aggancio con la realtà, ma che si propone di figurare ciò che non può essere rappresentato normalmente. In questo periodo riconosciamo un cambiamento nell’arte di Vasarely: fa molta più attenzione alla composizione geometrica dell’opera.Nel 1930, dopo aver transitato per breve tempo attorno al De Stijl, si trasferisce a Parigi, il centro dell’arte di quell’epoca. Lì si sposò con Claire, conosciuta al Mühely. Nel 1931 nasce il suo primo figlio André, e pensa di fondare una scuola simile al Bauhaus. Nel nasce il figlio Jean-Pierre, noto poi come Yvaral. Fino la 1939 si dedica completamente al suo lavoro di artista pubblicitario. Intanto continua (senza né esporre né mostrare i suoi quadri) a studiare, sperimentando gli effetti ottici nella grafica, creando singolari rappresentazioni di zebre ed altri animali con contrasti tra il bianco e il nero. Vasarely, nel 1940 aveva conosciuto Denis René, un altro artista. In quell’anno muore Paul Klee. Negli anni tra il 1942 e il 1944 crea opere ispirandosi a lui e ad altri pittori suoi amici. Nel 1944 la galleria Denis René dedica una grande personale a Vasarely.

Il 1947 fu un anno particolare per Vasarely: cambiò infatti stile di pittura, iniziando con l’analisi degli astrattismi geometrici (le “forme nelle forme”): sassi, cerchi, quadrati, etc. Dal 1950 si sviluppa la Optical art, detta Op-Art, e Vasarely si dichiara appartenente a quel movimento, avendo praticato altri studi sulla cinetica del bianco e del nero. Verso la fine degli anni ’40 Vasarely acquista una cascinetta a Gordes. I quadri e le opere di questo periodo sono classificate sotto il periodo Gordes-Cristal, caratterizzato da forme semplificate e pochi colori, soprattutto giallo, verde e nero. Il quadro Pamir (1950) rende questa idea: il quadrato nero in primo piano e gli angoli esposti alle curve del soggetto centrale danno l’effetto che ci siano più piani spaziali sovrapposti in movimento. Il periodo si conclude con il ciclo di opere Hommage à Malevi? (realizzati tra il 1952 e il 1958), che appaiono come quadrati, rettangoli e rombi che ruotano su degli assi e sono simmetrici. Quest’opera ebbe due ruoli fondamentali: fu la rappresentazione del linguaggio figurativo svincolato dalla realtà naturale, e divenne un punto di riferimento per gli artisti che partivano dall’osservazione naturale per giungere a1955 Victor Vasarely espone alcuni quadri alla galleria Denise René con una tendenza al cinetismo subalpino insieme a Yaacov Agam, Nicolas Schõffer, Pol Bury, Jesús Rafael Soto, Jean Tinguely, Marcel Duchamp e Alexander Calder. Questa mostra divenne il primo accenno dell’Op Art, e prese il nome de: “Le Mouvement” (“Il Movimento”). Quel ciclo di quadri che lo rese famoso a livello internazionale era caratterizzato da un innato senso del movimento, quasi insolito negli altri movimenti pittorici della prima metà dell’Ottocento. Alcuni critici d’arte dell’epoca hanno definito il Mouvement una contrapposizione alla Pop Art di Andy Warhol. Infatti l’Optical Art è una concezione figurativa che affonda le radici in una tradizione di almeno mezzo secolo il cui tratto peculiare è la sempre maggiore aggressività nei confronti dell’occhio dell’osservatore. Seurat e Delaunay ispirarono Vasarely su questa teoria, soprattutto grazie agli studi chimici del Pointillisme. Da questo ha origine la Op Art vera e propria.

Vasarely, per la mostra del 1955, scrisse Il Manifesto Giallo, nel quale espone le sue idee riguardanti l’invenzione di un linguaggio cinetico figurativo, basato sulla disposizione e la riproduzione in serie di figure geometriche con colori complementari diversi. Il filosofo francese Jean-Paul Sartre disse che Vasarely era “un artiste engagé”, cioè un artista molto attivo sia dal punto di vista creativo che dal punto di vista morale e sociale. La serie di quadri dipinti utilizzando solo il bianco e nero, denominati “Noir et Blanc” si rifanno alla sua teoria esposta nel Manifesto Giallo. Il principio dell’unità plastica è l’inserimento di forme una dentro l’altra con colori e sfumature diverse, come per dare un senso di movimento unilaterale alla figura. Nel 1959 ebbe quindi origine il tanto agognato alfabeto plastico, presentato ufficialmente nel 1963, con la serie “Folklore planetario”. Le opere si questa serie di quadri sono caratterizzate da una scarsa gamma di sfumature; come composizione Vasarely utilizzò l’allineamento di cromatismi, cioè l’uso di forme incrociate perpendicolarmente di colore dalla più chiara alla più scura (nel caso specifico anche bianco e nero). In alcune opere, questa nuova concezione dell’alfabeto plastico dà l’impressione che ci siano pezzi a incastro che vengono resi chiari o scuri a seconda della luce su di essi proiettata. La teoria di Vasarely sull’alfabeto plastico derivava in parte anche dal fondamento dell’arte astratta, cioè che la bellezza pura e universale è raggiungibile solo con l’armonia delle forme e dei colori elementari.Addirittura si giunse a sostenere (come alcuni quadri di Vasarely davano anche a credere, tra l’altro) che i quadri di Vasarely costruiti secondo le leggi dell’alfabeto plastico potessero essere una verosimile rappresentazione dello spazio (i più gettonati erano le serie di quadri CTAVonal e Vega), cosa che alcuni nomi futuristici dei quadri stessi (intitolati a stelle, es. Cassiopea, o con nomi astronomici) e determinate situazioni dell’epoca non hanno fatto altro che ingrossare. Gli anni sessanta e settanta sono stati il periodo più produttivo di Vasarely dal punto di vista artistico e culturale. Le due mostre, la prima nel 1965 al MOMA (Museum Of Modern Art) di New York intitolata ” The Responsive Eye ” e la seconda nel 1967, al Musée del’Art Moderne de la Ville de Paris, con il titolo di “Lumière et Mouvement”, non hanno fatto che accrescere la sua fama, conferendogli l’immagine di artista enigmatico, da scoprire fino all’ultima “trasposizione geometrica”, come le definiva lui.

 

 

info da Wikipedia

 


Victor Vasarely_Senza titolo_serigrafia_50x50_hi

Senza titolo

Serigrafia

50 x 50 cm