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IL MITO E LA LUNA Mostra d'arte di Gabriella Celaia

14 Giugno - 15 Luglio 1986

L’associazione Culturale “Quarto di Santa Giusta”, con la mostra di Gabriella Celaia, intende continuare la propria attività passando dallo spazio chiuso della galleria allo spazio aperto della città. Si cerca cioè di dare inizio ad una serie di attività artistico culturali che stabiliscano un rapporto dialettico e dinamico con le qualità formali del centro storico; una sorta di riconciliazione tra arte e città. Crediamo sia opportuno valorizzare l’architettura della nostra città per concepirla come un grande museo aperto, un contenitore di esperienze interdisciplinari per restituirle, al di là delle mortificazioni a cui spesso è sottoposta, il prestigio culturale che merita e renderla recettiva alle esperienze dell’arte contemporanea. Occorre collegare la qualità degli antichi manufatti (cortili, piazze, palazzi) alla ricerca artistica in modo da promuovere un’attenzione ed una coscienza critica dei cittadini a ciò che loro appartiene. Bisogna sottrarre alla solitudine i nostri monumenti per poterli valorizzare e reinserire in progetti di attiva funzione. Si tratta in altre parole di promuovere una fruizione attiva della città, uno scambio di esperienze che inglobi l’architettura del centro storico alla sperimentazione dell’arte. L’inaugurazione di questa mostra avverrà infatti nello splendido cortile di Palazzo Carli Benedetti (sec.XV) in Via Accursio, per poi continuare, nei giorni successivi, nei locali dell’associazione in Via Crispomonti. Gabriella Celaia, nata a L’Aquila, si è diplomata all’Istituto Statale D’Arte. Gli oggetti esposti rappresentano la sua produzione più recente: si tratta di tre serie di gioielli, di cui una ispirata alla mitologia greca (chiusure per collane, spille a ciondoli raffiguranti Zeus, Vulcano, Giano Bifronte); un’altra rappresenta animali della giugla (pantere, giaguari, tigri, serpenti, pappagalli); l’ultima ispirata al cielo (la luna a la cometa di Haley). Tutte le opere in mostra sono realizzate  con tecniche di lavorazione artigianale tradizionale: la cera persa e lo sbalzo. La cera persa è sicuramente la tecnica più antica di lavorazione dell’oro (risale infatti alla cultura Azteca) e lo sbalzo appartiene per tradizione alla produzione regionale della lavorazione dei metalli. Ne sono esempio i gioielli di Pescocostanzo a Scanno ed anche tutta la produzione di antichi oggetti sacri, come quelli di Nicola da Guardiagrele, per non citare tutta la produzione artigianale del rame. Gabriella Celaia si inserisce dunque in una tradizione regionale pur proponendo oggetti di gusto squisitamente moderno. Durante la mostra ci saranno due intervalli musicali eseguiti da Cecilia Silveri e Simona Botta della Scuola d’Archi dell’Ist. Sinfonica Abruzzese.

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ALTERNATIVE ATTUALI Rassegna di pittura

20 Maggio 1986

UN VOLTO per Alternative Attuali. La prestigiosa rassegna di pittura che ebbe un ruolo di fondamentale importanza nel panorama culturale degli anni Sessanta, riscoperta da un paio d’ anni, tarda a decollare, oltre che per problemi di carattere finanziario, anche per una sorta di crisi di identità alla base dell’organizzazione. Se ne è parlato, presso l’ Associazione culturale “Quarto di S. Giusta”, in un incontro a cui hanno partecipato il sindaco, il presidente della Provincia, il sovrintendente, rappresentanti delle forze politiche locali, artisti e critici. Al vaglio passato, presente e futuro, in una girandola di opinioni e di idee che, all’ atto pratico, finivano per confluire nelle «trincee» di due schieramenti contrapposti. Alla base delle discussioni innanzitutto il senso da dare alla manifestazione, il problema, eventualmente, di identificarla con un nuovo nome e, soprattutto, di aprirla, anche a livello di organizzazione, a forze culturali nuove in rappresentanza di tendenze emergenti. Da un lato, quindi, una bozza di programma sostanzialmente già stilata dall’organizzatore di sempre, Crispolti, in collaborazione con il presidente dell’EPT Tomassi, in cui si prevede, nel riannodare il discorso agli anni Sessanta, una prosecuzione del discorso iniziato allora, rigorosamente svincolato dalla critica di mercato. Dall’altra parte la necessità di aprirsi alle nuove tendenze e alle realtà che si vanno affermando evitando la cristallizzazione di un passato ormai morto.
Dal punto di vista dei finanziamenti dopo un primo intervento della Regione di 50 milioni di lire se ne attende a breve un secondo sempre dello stesso Ente, di 40 milioni. Le due somme vanno unite a quanto messo a disposizione dall’EPT. Sul fronte del Comune una disponibilità formale, unita alla volontà di non rischiare da soli (si è parlato di uno sponsor privato) e alla necessità di un certo “consenso popolare”.

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IL TEMPO È SULLA PELLE Mostra d'arte di Armando Gioia

10 Marzo 1986

La scelta del Centro Multimediale “Quarto di Santa Giusta” di esporre le opere di Armando Gioia, alla sua prima personale, segue una Iinea divulgativa che da tempo la struttura espositiva su indicata si era prefissa, e cioè seguire il lavoro espressivo delle giovani generazioni. Questa particolare produzione oggi è concentrata nell’ambito di una situazione culturale cittadina in difficoltà con il “nuovo” contemporaneo e vittima di conservatorismi molteplici in gran parte nella rinata identità produttiva dell’Accademia aquilana che cerca di garantire, attraverso le sue mille difficoltà piu che storiche, una necessaria strutturazione linguistica, possibilmente solida, alle espressioni che in essa si manifestano. L’attenzione riposta verso questo dettato primario sia dall’istituzione pubblica (Accademia) che dall’istituzione privata (galleria) dispone noi successivamente -la critica e la storiografia preposta- “docilmente” sul versante di una informazione che rivendica sempre più una caratteristica del tempi: peculiarità e necessità della testimonianza. II risultato più vero che si tocca, sostanziale direi, circoscrive, dimensiona realtà espressive in “formazione”. Poetiche dell’immagine che ricorrono all’utilizzo, anche in modo indiscriminato, dei molteplici sistemi linguistico/formali messi a loro disposizione dall’interezza della storia dell’arte didatticamente appresa e assorbita ed iconicamente rielaborata. In breve, a operare e strutturare una forma di denuncia che non sviluppi e concretizzi una dimensione solo “conclusiva” ma che invece pratichi quello che comunemente oggi viene inteso come “nomadismo” linguistico che è forma “espansiva” con un gradiente entropico molto elevato. Le opere di Armando Gioia sono “sintomi” visivi, poichè non potrebbero non essere tali di questa nuova dinamica che attraversa il sistema dell’arte. II suo è un procedere attraverso le diverse valutazioni di stile, dove anche la tecnica della pittura ad olio, riversata su una diversità di supporti (masonite, tela, carta), tende a modificare all’interno del genere praticato, la pittura , il suo indirizzo finale che, ad esempio, può essere il suo riscoprire le tentazioni più libere dell’illustrazione. Infatti, la tecnica a cui sottopone l’olio è discorsiva; essa è “indifferente”, se cosi possiamo dire, a dimensionare le sue caratteristiche più storiche relative a materialità e a luminosità. Questa pittura ad olio abbandona la sua identità di sostanza per risolvere la necessità del “disegnato” a quest’ultimo, infine, essere trama ad una “narrazione” mai negata o interrotta. In questi dipinti o, per una migliore definizione, “dispositivi” vi è il caparbio tentativo di non considerare le “gabbie” formali delle avanguardie e quelle successive delle neoavanguardie le quali avevano cristallizzato I’unità di senso e istituzionalizzato la vanificazione del suo fondamento ma, altresì, a considerare i loro assunti iconici come sistemi particolari di una grammatica ancora da costruire e giocare sul piano del possibile “nuovo” senso. Se in tal modo il dispositivo di scrittura e narrazione viene riattivato – significativo in questo caso menzionare un dipinto particolare dell’artista che porta un’intestazione indiretta ma esplicativa “II tempo è sulla pelle” – si ripristina e si moltiplica anche il dispositivo di lettura.

Rolando Alfonso

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NERO PARADISO Mostra personale di Lea Contestabile

14 Dicembre 1985

Nero Paradiso: mostra d’arte contemporanea.

Presentazione di R. Alfonso

 

“ La follia è l’assenza d’opera”

M.FOUCAULT

 

L’operazione di riferimento che può, successivamente, coniugarsi in una attribuzione di parentela genealogia rassicurante e conclusiva che, il più delle volte, risolve nel corteggiamento dello stile il troppo ovvio tecnico di lettura è la caratteristica che decide in primis, quasi a configurare la natura vera di un pregiudizio, la lettura di qualsiasi manufatto umano. Da questo iniziale aggiustamento ottico dipenderà il suo valore anzi, per meglio dire, quest’ultimo si costruirà, si dimensionerà. Gli ultimi lavori di Lea Contestabile non sfuggono a tale procedura e osservando con rispetto il portato di una tradizione a loro propria che è storia individuale, scrittura, messa in opera del soggetto che li determina individuano ed indicano con determinazione i due punti di riferimento le due “icone” differenziate nella propria origine di una storia dell’immagine. Giardini visivi che sperimetano la loro “necessità” nell’attuale.

La prima di esse, ancestrale e prefigurazione del riferimento prima della Storia, è il “cielo”. Generate traduzione ottico/spaziale, per eccellenza, del pensiero/sguardo che è portato dinamicamente a deliziarsi o a peccare nella trascendenza. La seconda è il “monocromo” delle avanguardie storiche (Malevic, Rodtchenko). ll portato della figurazione “ultimata” e “disperata”, declinazione ossessiva della congenita trascendenza nella sua “mondanizzazione”. Questi due nodi/immagini epocali sono assunti, accettati, come accadimenti “compiuti”, risolti sulla grafia della loro storicità. Presenze continue che delimitano il “luogo” di una scrittura dell’umano che è simultaneamente “cancellazione”, sottrazione, riduzione ai minimi termini di una struttura che è portata facilmente a trascendere. Il risultato ottenuto è la risposta attenta, allarmata, il “codice” di una scrittura che è perpetuamente minacciata dall’ideologia degli estremi.

 

Alfonso Rolando

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INCONTRO CON BEUYS Mostra e presentazione del libro

8 Novembre - 13 Dicembre 1985

Mostra e presentazione del libro Incontro con Beuys

di Lucrezia De Domizio , Buby Durini , Italo Tomassoni

 

 

 

comunicato stampa

 

Si inaugura al Centro multimediale “Quarto di Santa Giusta” la nuova stagione artistica con la mostra di Joseph Beuys, uno dei più grandi maestri dell’arte contemporanea. All’ inaugurazione che si è tenuta venerdì 8 novembre, è stato presentato il libro “Incontro con Beuys” di Lucrezia De Domizio, Buby Durini, ed Italo Tomassoni. E’ merito di Lucrezia De Domizio, una fra le più grandi galleriste italiane, affermata anche a livello internazionale per le sue precise scelte culturali, quello di aver portato più volte Beuys in Italia diffondendone la sua opera ed il suo pensiero. Nella voluminosa pubblicazione, arricchita dalle bellissime foto di Buby Durini (tutte rigorosamente inedite), Beuys è visto sotto varie angolature. Beuys nel privato e nel rapporto con il pubblico, quindi Beuys pittore scultore, artista, visivo, ecologista, politico, biolologo, agronomo, antropologo, ma principalmente uomo e artista che si fondono. Il libro si compone di tre parti essenziali: la prima parte (ouverture) è una analisi e verifica storica del suo pensiero ed è rivolta a coloro che già ne conoscono il lavoro. La seconda parte contiene esperienze, dati, lavori, diari e documenti politici.

 

 

La terza parte del libro spiega in maniera semplice e comprensibile buona parte delle opere di Beuys, il suo pensiero, il suo essere uomo ed artista. Joseph Beuys è senza ombra di dubbio uno dei più grandi artisti di questo secolo. Nato a Kleve (Germania) nel 1921 , è emerso durante gli anni ’60 come la più significativa figura dell’arte contemporanea europea, sia per il carattere della sua arte, il cui filone è contrapposto a quello americano con la figura emblematica di Andy Warhol, sia per la natura delle sue idee. Per Beuys creatività e vita sociale sono profondamente legate e quindi lo sono anche arte e politica. Con la sua arte, attraverso studi di natura filosofica, arriva a teorizzare anche dei principi politico-economici. E’ stato lui il maggiore esponente all’enviroments e delle performances. Nel percorso di queste forme espressive c’è l’idea di energia umana, naturale e primordiale, ovvero il flusso della vita e della creatività. Per questo tutti i materiali usati sono sempre stati organici: grasso, feltro, zolfo, ferro, rame, sangue di lepre, cera di api, il proprio corpo e la propria voce.

 

 

 

 

 

 

Lucrezia De Domizio, Enrico Sconci, Buby Durini

 

Al centro dell’arte di Beuys sta l ’elemento antropologico, quindi l’uomo in rapporto con una società in crisi, l’uomo che è alienato dalla coscienza di se stesso, dal mondo naturale che lo circonda e dalle sue energie. Per Beuys l’unico mezzo rivoluzionario a disposizione dell’uomo è un concetto globale di arte, da cui nasca anche un nuovo concetto di scienza. Il destino filosofico dell’arte è la liberazione dell’uomo che deve potersi autodeterminare per estrinsecare le sue qualità innate. Quando Beuys parla, dell’uomo, parla anche di tutte le forze che hanno una relazione con lui, collegandolo verso il basso con gli animali, le piante, la natura, e verso l’alto con gli angeli o gli spiriti in modo che possa costruirsi il mondo direttamente con le proprie forze, senza l’intermediazione di nessun sommo sacerdote. Questa, sarà la vera, grande opera dell’arte moderna: la scultura sociale. Nel lavoro di Beuys, sono famosissime le lavagne, dove realizza una serie progressiva di segni, una sorta di diagramma, corrispondente al suo discorso. Anche quando fa delle conferenze, su dei fogli traccia delle “partiture” realizzate con dei disegni o dei simboli che non valgono tanto per la loro carica visiva, quanto come indizio di una sua poetica globale. Un quadratino di pelle di lepre, all’altezza del cuore, connota il principio del movimento, di rinascita, di reincarnazione. Beuys traccia schemi insiemi e piani di trasformazione della politica e della società sulla lavagna, strumento caratterizzante l’attività del “maestro”. Questi “theorema ta.” (spettacolo teoria; arti e scienze) sono accompagnati da discorsi, dibattiti, dialoghi poichè è la voce (il logos) che cerca, la comunione di tutti gli abitanti elementari del mondo, animali a umani.

 

 

 

Joseph Beuys, foto di Buby Durini

 

Essa in una prima fase, privilegia suoni minimi e segni fonici per promovere una comunicazione fra tutti gli esseri, contro il potere politico, contro il sistema, contro i mass-media ai quali bisogna opporre l’urgenza “di farsi l’informazione da soli”. Quando nel novembre del 1979 J. Beuys è a New York per la grande mostra al Gugghenheim Museum, batte tutti i record di affluenza. Nessun pittore europeo della generazione del dopoguerra aveva avuto una consacrazione tale. Buby Durini gli scatta delle foto che vengono disposte su due tele. La mostra si inaugura alle ore 18. Alle ore 16 dello stesso giorno B. vuole inaugurare una sua personale da R. Feldmann con alcune tracce della sua prima mostra americana, quando rimase alcuni giorni all’interno di una gabbia a “West Broadway con un cojote per impartirgli lezioni di storia dell’arte. Beuys era diventato l’eroe che conquista lo spazio del museo e della storia, piegandolo alle esigenze della rappresentazione e dell’apparizione dell’arte.