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CHE COS’È LA FILOSOFIA. HEIDEGGER E LA QUESTIONE TEDESCA. CONCERTO DA TAVOLO Performance di Fabio Mauri

16 Maggio - 30 Giugno 1989

Heidegger – questione tedesca.

Atto in mostra. Con la partecipazione del filosofo Giacomo Marramao.

In esposizione fino al 30 giugno tavole

su Manipulation der Kultur.

 

 

 

FABIO MAURI-CHE COS’E’ LA FILOSOFIA. HEIDEGGER E LA QUESTIONE TEDESCA

 

Comunicato stampa

 

Concerto da tavolo “Che cos’è la filosofia. Heidegger e la questione tedesca” è il titolo di un “concerto da tavolo” che Fabio Mauri ha ideato e si terrà martedi 16 maggio alle ore 19:00 nella galleria del Centro Multimediale “Quarto di Santa Giusta” a L’Aquila. Prodotto dal T.A.D.U.A. ed eseguito da dodici allievi dell’Accademia di Belle Arti, lo spettacolo da camera si avvale della violoncellista Norma Pallaroni e della presenza in scena del filosofo Giacomo Marramao. “Io non intendo fare “arte”, dice Mauri. Non ho questa intenzione. Non l’ho più!. Voglio solo “vedere” le cose che mostro. Anche il pubblico è un’immagine dello stesso tipo, già presente, assai prima di sedere qui, e altrettanto significativa ed ugualmente enigmatica”. Anche questa volta Fabio Mauri ha scelto L’Aquila, come nel 1980 con lo spettacolo “Gran Serata Futurista 1909-1930” che riscosse un grandissimo successo in tutta Italia, e fu ripetuto in nuove edizioni nel 1982 e nel 1986 a Venezia in occasione della mostra “Futurismo e Futurismi” a Palazzo Grassi. Questo “concerto da tavolo” o “atto in mostra” come lo definisce Mauri, è un esercizio sperimentale, che opera, con autorità, in uno spazio espressivo intermedio tra la pittura, il teatro, la performance e la musica. L’intervento del filosofo Giacomo Marramao non è confinato esclusivamente in un ruolo di “comparsa” o di “attore”, è un reale intervento “filosofico”. Marramao, si sa, ha studiato in Germania ed è un profondo conoscitore della lingua e della cultura filosofica tedesca. La scelta dello spazio della Galleria per questo spettacolo fa parte di una precisa logica concettuale: una stanza da esposizione per un evento folto e drammatico.

 

EIN BRUCKENPARTIZIP MUSS SCHWINGEN Un ponte quanto mai vibrante.

DAMASKUS’ ROSENDUFT/SCHLAGT AUF (…) / WIE EINE FLAMME

Il profumo delle rose di Damasco erompe verso il cielo/qual fiamma

DA SCHWEBTE UNTER VIELER GLOCKEN GEZYMBEL (…) DES LEBENS NAHRMUTTER UND

FURSPRECHERIN, UNSER ALLER SONNE, IN HEILIGER FRUHE.

Allora, fra i cembali di molte campane, la nutrice della vita, che ci persuade a vivere, il sole che è di noi tutti, sorse nell’ora sacra del mattino.

EIN PFERDCHEN STOLPERT OBER EINE DAME/EIN SAUGLING WILL EIN WEICHES WEIR

BESUCHEN

Un cavalluccio inciampa passando sopra una signora. Un poppante vuol fare una visita ad una donna soffice.

EIN ROT, EIN GRUN, EIN GRAD VORBEIGESENDET, EIN KLEINES KAUM BEGONNENES

PROFIL

Un rosso, un verde, un grigio hanno emesso, un profilo appena accennato

NICHTS

Nulla.

AUF

EINMAL IST ER TOT. WO IST SEIN LEBEN?

E d’improvviso è morto. Dove la sua vita?

MUSS SCHWEREN SCHALAF VON GRAUEN LIDERN STREIFEN

Pesante sonno deve dalle grigie palpebre detergere.

EIN KINDERWAGEN SCHREIT UND HUNDE FLUCHEN

Una carrozzella da bambini urla e cani bestemmiano.

AN EINEM FENSTER KLEBT EIN FETTER MANN

Ad una finestra è appiccicato un uomo grasso.

ICH BIN JA NOCH EIN KIND

Poichè sono ancora un bambino.

DOCH UBER ALLEN WORTEN/VERKUND’ ICH MENSCH, WIR SIND!

Ma al di sopra di ogni altra parola ti annuncio, uomo: noi siamo.

 

Le frasi sono tratte a caso, o per motivi fonetici, da Becker, Heym, Lichtenstein, Werfel e Rilke. Non vengono dette secondo il loro senso originario.

 

FABIO MAURI

CHE COSA E’ FILOSOFIA. HEIDEGGER E LA QUESTIONE TEDESCA

Concerto da tavolo

 

Comunicato Stampa

 

 

Ho deciso di porre in atto questa scena per non perdere la mano. Sono miei temi e atti di anni che vanno dal 1970 al 1980.

“Che cosa è filosofia Heidegger e la questione tedesca” è allestito, una volta di più, con il sistema del “Museo delle cere” intrecciato a quello degli “Esercizi spirituali”. Ridare vita a figure immobili di modo che l’attualità si riprenda il suo segreto (o tema intero), e restituisca con esattezza gli “inspiegabili”. In arte, come si sa, (forse non si sa diffusamente), l’enigma è doppio, quello dell’arte racchiude in sè quello del mondo, però lo rende formalmente praticabile. Qui si sgranano e ricompongono gli elementi che formano l’ibrido di un vecchio interrogativo: cosa è la Germania? E’ l’Europa? Che significa essere Europa? Non è stata Europa la Germania del ’30 e del ’40? Io credo lo sia stata. Credo che la natura (la cultura della natura) della Germania riguardi strettamente l’identità europea. Il concerto di significati si muove sul tavolo, poco più in là del cibo. Il rito conviviale non allontana ma si fa più prossimo all’enigma.

Che cosa si sperimenta? Da che parte si situa il giudizio?

Nei giudizi stessi che vi si intravvedono? L’insieme del rito, in conclusione armonico, di una forma così unitaria d’arte, impasta e confonde le differenze? Vi prego di farmi sapere. Io per me so che i problemi irrisolti possiedono l’invisibile e irresistibile prerogativa di restare intatti. Ma, ci si chiede, spetta a l’arte di risolvere i problemi del mondo?

Io credo che l’arte non abbia contenuti propri. E nemmeno l’arte sia contenuto dell’arte, sebbene conosca il successo della tesi opposta. L’arte, se è qualcosa di teoricamente definibile, si può dire con probità che è il luogo della forma definitiva del discorso, luogo apparentemente converso in una metafora geometrica, concavo il punto o la facoltà di accoglimento di temi all’interno di una potenza libera e mimica decisiva, capace di restituirseli per intero, di nuovo, integri e in primo piano. E di venirne a capo. Qui centra l’autore, certo. Ma è come se non v’entrasse del tutto, esclusivamente lui.

Le forme fanno giustizia da sole del terra e di se stesse, comunicando l’inesperienza poco duplicabile, un lampo di luce, accostamenti impropri che rendono partecipi del loro incognito senso accostamenti altrove propri.

Sto dicendo che lei poesia dice il ‘vero’?

Credo di si, però con una cautela: la poesia ha sempre bisogno di un mondo, in questo caso, questo mondo. L’arte può dare e ascoltare cose che non possono essere dette e ascoltate altrove. Non impunemente.

Ripeto: fatemi ‘sapere’.

Fabio Mauri Una scena per Heidegger

 

Una tesi dura (…«cosa è la Germania? L’Europa? Che significa essere Europa? Non è stata Europa la Germania del ’30 e del ’40? Io credo lo sia stata»), ma travesti tra gioco scenico, scarno nella messa in opera e raffinato nelle intenzioni, di continuo alternato tra le registrazioni di un Octoberfest saltellante e sanguigno e quelle, devastanti nella traduzione flautata dell’interprete, del processo Eichmann.

Fabio Mauri ha messo in scena “Heidegger e la questione tedesca” ieri sera al Quarto di Santa Giusta: un concerto da tavolo, perchè su tavolo si svolge, quadrato, allargato ad occupare quasi tutta la stanza e intorno il pubblicocommensale si siede e, con qualche esitazione iniziale, mangia crauti e salsicciotti e beve birra, fra armonie di Bach (registrate) a dissonanze di Berg, Webern, Shconberg (eseguite da Norma Pallaroni al violoncello). E sul tavolo gli attori (dieci allievi dell’Accademia di Belle Arti, in cui Mauri è docente di Estetica), ripetono di continuo, circolarmente, in tedesco, sempre le stesse brevissime frasi, tratte a caso o per motivi fonetici e non nel loro senso originario, da Becker, Heym, Lichtenstein, Werfel e Rilke, e sempre circolarmente si muovono con cadenza ritmica spezzata a tratti da un valzer lento, mentre fra loro un credibilissimo Heidegger e il professor Giacomo Marramao, docente di Filosofia tedesca all’Orientale di Napoli e già apprezzato (vezzo da intellettuale) in “Cavalli si nasce” di Staino. La breve scena (un’ora appena) è prodotta dal Teatro accademico dell’Universita dell’Aquila, che si conferma unico approdo possibile della sperimentazione.

 

da IL MESSAGGERO 17 Maggio

Roberto Laneri esegue un suo brano al Muspac

ROBERTO LANERI Corso di canto armonico

15 - 22 - 29 Marzo 1989
La pratica dell’Overtone Singing (letteralmente: “cantare armonici” o “cantare in armonici”), che in italiano si può tradurre Canto Armonico è un corpus di tecniche vocali che consentono l’emissione e il controllo di un suono fondamentale e di una parte dei suoi armonici; Alcune di queste tecniche sono molto antiche e sono state usate in diverse culture per scopi di trasformazione personale e magico‑religiosi, soprattutto nelle tradizioni indiana (mantra), sciamanico‑mongola (xoomi) e tantrico‑tibetana.

 

 

Ha studiato filosofia all’Università di Roma, si è diplomato in clarinetto al Conservatorio e si è laureato in Composizione all’Università di New York. Concertista, compositore di colonne sonore per cinema e danza, ha fondato il gruppo Prima Materia con il quale ha dato concerti e tenuto seminari in tutta Europa.

 

 

IL POTERE MAGICO DEL SUONO. Potere del suono e non della musica.. Ciò perché suono e musica sono fenomeni di natura diversa, anche se molto spesso interagenti. La musica sappiamo tutti di che si tratta. Un fenomeno creato da esseri umani, la cui intenzionalità ( estetica, funzionale, sociale, rituale) può essere più o meno consapevole. Recenti sviluppi nella storia della musica non hanno finora capovolto il dato di fatto che la musica, in una parola, è cultura.

Il suono, invece, è fenomeno allo stesso tempo fisico e metafisico, realtà primordiale che appare nei miti di creazione di tutta l’umanità. Il “Nada Brama” dell’India e “in principio era il Verbo” dell’Occidente non solo hanno lo stesso “suono”, ma rimandano ad un’identità metaculturale di suono e di coscienza.

In India la dicotomia suono/musica è uno dei tanti sensi dell’espressione “anahata/ahata”, che letteralmente significa (suono) “originario/originato”.

E’ proprio in un momento come l’attuale, in cui la richiesta di soluzioni terapeutiche alternative appare sempre legittima, ma a volte disordinata e quasi affannosa che è necessario indagare sul suono ed isolarne l qualità primarie per meglio capirne gli effetti sinergici.

Vorrei quindi riferire e commentare due episodi, alla luce delle considerazioni precedenti e della mia esperienza di musicista, che proprio in questi giorni compie quattordici anni, di “overtone singer”.

Como, 1973. Il mio gruppo vocale, Prima materia, è invitato al Festival Autunno Musicale. E’ il nostro primo concerto in una situazione non underground né sperimentale, il che significa che per la maggioranza del pubblico sarà un’esperienza, letteralmente, inaudita. Dopo il concerto si avvicina una donna, all’apparenza del tutto normale, tra i cinquanta e i sessant’anni. E’ in uno stato di grande commozione e quasi agitazione, in lacrime ma senza disperazione si direbbe in modo liberatorio. La sua domanda è se uno o più membri del gruppo abbiano mai assistito o partecipato alla cerimonia di iniziazione di un certo ordine monacale. Chiaramente una domanda così è fatta per provocarne altre, e in breve emerge la seguente storia: la donna era entrata in monastero molto giovane e contro la sua volontà, giungendo fino ad un certo grado di ordinazione(con relativa cerimonia). In seguito era fuggita dal monastero ed aveva deposto l’abito in circostanze avventurose e drammatiche. In seguito si era sposata ed aveva avuto figli, attraversando però lunghi periodi di amnesia e disturbi mentali. Nella nostra musica aveva creduto di riconoscere i suoni di quella lontana cerimonia, rivivendo così esperienze profonde e traumatiche, più o meno rimosse ma forse mai accettate completamente. Ora si sentiva liberata da un gran peso.

Escludendo per cominciare l’ipotesi, assai improbabile, che la nostra musica fosse effettivamente eguale o molto simile a quella della cerimonia originale, bisogna pensare piuttosto che gli elementi di somiglianza siano da ricercare nei suoni e nelle particolari tecniche vocali che usavamo. In effetti queste tecniche amplificavano drammaticamente quell’effetto di risonanza e di lunga eco già tipica di luoghi rituali e di culto. La maggior parte di tali ambienti mette in rilievo la struttura del suono, che sembra sciogliersi in una miriade di componenti non caotiche né casuali, ma in possesso di una struttura interna simile alle iridescenze delle sfaccettature di un cristallo. Spesso l’architettura del luogo rispecchia una struttura armonica: è il caso cattedrali gotiche, delle abbazie cistercensi nel sud della Francia.

Ebbene quali sono gli elementi incantatori del suono, e perché la stessa struttura armonica, quando ci si rivela mediante tecniche particolari (es. canto Tantrico tibetano, “xoomi”, mongolo, ecc.) o particolari condizioni d’ascolto (stati di trance, meditazione, viaggio psichedelico ecc.) ha il potere di sospendere il flusso del pensiero cosciente e di calmare il dialogo interno? Qualsiasi suono si rivela composto di una frequenza di base più immediatamente audibile, che chiamiamo suono fondamentale, e di un numero (che può essere anche infinito) di frequenze che possono essere descritte come onde sinusoidali pure, chiamate armoniche o suoni armonici.

Tali frequenze formano rispettivamente alla fondamentale una serie di intervalli – per l’appunto la serie di armonici – che si dispongono secondo una progressione armonica: 1/1,1/2,1/3,1/4,1/5,1/6…

Il parametro musicale del timbro, che ad es. ci permettere di riconoscere un violino da una tromba, è controllato dalle interazioni tra il suono fondamentale ed armonici di varia intensità e durata.

Abbiamo qui la controparte sonora del fenomeno visivo dell’arcobaleno:anche la serie degli armonici si pone come fenomeno primario, vera e propria Prima Materia, punto d’incontro tra microcosmo e macrocosmo, terminale di computer universale. Per cui acquisire tecniche vocali che rendano possibile udire chiaramente una parte dello spettro armonico, nonché di assumerne controllo cosciente, selezionando con precisione entro un certo ambito di frequenze, significa acquisire uno strumento molto potente di trasformazione della coscienza.

Il nostro suono fondamentale, che corrisponde alla voce quotidiana, è prodotto e specchio fedele della nostra individualità. La nostra voce è come un’impronta digitale psichica, il calco fedele del nostro ego, di proiezioni, illusione, passioni, gioie e dolori, desideri e speranza. Invece gli armonici prodotti con tecniche vocali adeguate sono teoricamente indistinguibili da una persona all’altra, recando in sé informazione estremamente pura, non colorata od offuscata dalle nostre proiezioni e concrezioni mentali. Di qui l’effetto tipico di essere trasportati al di fuori del proprio ego, pur senza annullarlo e continuando rispettarne i diritti e l’esistenza.

Ma che tipo di “informazione” ci offre la serie degli armonici, una volta percepita e condotta parzialmente sotto controllo cosciente, mediante processi di biofeedback e di training della muscolatura involontaria? Tale informazione ha caratteristiche di purezza, ma anche di grande complessità: essa ci porta nel cuore dell’antica dottrina delle qualità psichiche, di cui rende possibili eventuali verifiche. Secondo tale dottrina, che costituisce il sostrato di molte “tecnologie interiori” (Arguelles), quali mantra, kaballah, sufismo, ogni lettera dell’alfabeto rispecchia e riproduce sul piano microcosmico un aspetto essenziale dell’universo o macrocosmo. Sarebbe riduttivo pertanto parlare di funzione simbolica del suono, per esempio, delle vocali, in quanto si tratta invece di una vera e propria ricreazione dell’universo. L’uso consapevole di suoni particolari e delle loro combinazioni ci permette pertanto di entrare in contatto con le qualità psichiche cosmiche, archetipiche, primarie. E se mi si consente un opinione personale, ritengo che il campo armonico (overtone singing) possa costituire un salto qualitativo di coscienza rispetto al livello del mantra, che oltretutto appare come l’espressione della vecchia spiritualità. Si può supporre che i mantra tradizionali siano stati elaborati collettivamente da grandi iniziati al fine di poter comunicare a chiunque l’esperienza degli armonici senza dirlo esplicitamente. Ma oggi che la coscienza planetaria è entrata in fase di accelerazione acquariana, l’antica esortazione a “diventare i propri maestri” non è più una vaga aspirazione ma concreta possibilità fatta di tecniche spirituali ben precise. Ovviamente, gli effetti del suono sulla coscienza non solo no escludono modificazioni della materia, ma in ultima analisi finiscono per dimostrare che tra “materia” e “spirito” le differenze possono essere di “densità” e mai comunque di qualità. Mi riferisco agli esperimenti di Ernst Chladni, il fisico viennese nato l’anno della nascita di Mozart (1756) e morto quello della morte di Beethoven (1827), proseguiti più tardi, in modo assai più articolato e consequenziale da Hans Jenny, che coniò anche il termine Kymatica, o scienza della vibrazione (kyma = onda). Rhladni fu il primo a scoprire ( forse a riscoprire) che particelle di sabbia o limature di ferro, sparse a caso su una superficie piatta, qualora vengono sottoposte ad una vibrazione (= frequenza) di intensità e lunghezza sufficiente si dispongono secondo schemi che sono quelli classici del mandala. Le figure di Chladni non solo sono eleganti ed esteticamente gradevoli, ma, sapendole leggere, ci dicono molte cose sulla natura del suono che fedelmente rappresentano secondo diverse costellazioni armoniche. Ricordiamo la definizione di mandala come mappa di coscienza, e viene da pensare che il suono creatore originario dei Veda e del Vangelo di Giovanni non sia da intendere come metafora cosmogonia, ma proprio in senso letterale. Il fatto che determinati suoni e non altri, abbiano il potere di far cambiare alla coscienza di stato (così come gli elettroni “saltano” di orbita se sottoposti ad un’energia) sufficiente, deve far supporre che tra suono e coscienza debbano esservi elementi comuni, in quanto entità totalmente dissimili avrebbero codici diversi e non potrebbero quindi comunicare. Se la trascendenza è attributo tradizionale della coscienza, e questa può essere così fortemente influenzata da certi suoni, gli stessi suoni avranno una struttura intrinsecamente trascendente (isomorfismo). Rimando ancora una volta alla serie dei suoni armonici che, tra l’altro, è infinita per definizione ed ha come limiti quelli della percezione e degli apparecchi di misura. Vale la pena di far notare un altro isomorfismo tra i suoni armonici, che si susseguono secondo intervalli progressivamente più piccoli, e la distribuzione dell’energia secondo il modello della meccanica quantistica, in cui l’energia si presenta in “pacchetti” (quanta). Secondo questo modello(e secondo l’esperienza auditiva) la continuità dell’universo sarebbe una delle tante illusioni della percezione.

Un fisico contemporaneo di cui non ricordo il nome ha scritto”Reality blinks on and off” ( la realtà è in continua oscillazione). Altri hanno detto che la realtà è un’allucinazione collettiva fondata sul consenso delle coscienze. Se si pensa che nel modello classico, “planetario”, dell’atomo le distanze tra le varie particelle sono proporzionalmente dell’ordine di grandezza delle distanze interplanetarie, per cui il nucleo di un atomo corrisponde ad un granello di polvere sospeso al centro del duomo di Milano, e l’elettrone più vicino copre un’ orbita che ne tocca il perimetro esterno, anche il nostro piccolo universo quotidiano appare improvvisamente vuoto. Avevo promesso una precisazione finale. Forse qualcuno si sta ancora chiedendo il senso di quel “magico” del titolo, anche se spero che per la maggior parte dei lettori la cosa non abbia più molta importanza. In realtà tutto è magia e nulla è magia.

 

CORSO DI CANTO ARMONICO

La pratica dell’Overtone Singing (letteralmente: “cantare armonici” o “cantare in armonici”), che in italiano si può tradurre Canto Armonico è un corpus di tecniche vocali che consentono l’emissione e il controllo di un suono fondamentale e di una parte dei suoi armonici; Alcune di queste tecniche sono molto antiche e sono state usate in diverse culture per scopi di trasformazione personale e magico religiosi, soprattutto nelle tradizioni indiana (mantra), sciamanico mongola (xoomi)e tantrico tibetana.Le lezioni (per il momento ne sono previste 3 nei giorni 15 22 29 marzo alle ore 20.30) saranno tenute da: Roberto Laneri, uno dei primi musicisti contemporanei che da solo e con il gruppo Prima Materia ha contribuito alla riscoperta del Centro Armonico nell’Occidente fin dai primi anni Settanta, facendone particolare oggetto di ricerca.


Jannis Kounellis, "un capitano di quindici anni - i viaggi straordinari", 1980

BIANCO-NERO/FREDDO-CALDO Mostra d'arte contemporanea di Jannis Kounellis

1 Dicembre 1988 - 20 Marzo 1989

L’Angolo del Muspac a cura di Martina Sconci

Partendo dalle opere di Jannis Kounellis, presenti nella collezione del Muspac, possiamo stendere un piccolo profilo sull’artista e sulla sua ideologia. Protagonista dell’ Arte Povera, nasce nel 1936 al Pireo (Atene). Nel 1956 si trasferisce a Roma, dove vive attualmente, per studiare all’Accademia di Belle Arti ed entrare a contatto con il vivace ambiente artistico e culturale della capitale, che gli permette nel 1960 di esporre alla galleria “La Tartaruga” dove ricordiamo i suoi primi grandi quadri con lettere e segni urbani a smalto nero. In seguito, le sue opere rappresenteranno il faticoso tentativo di mantenere raccolto ed unito un linguaggio comune sconvolto dall’impatto della produzione di massa che si andava diffondendo nella Pop Art. “Artista del comportamento” (A.B.O.), Kounellis lavora sul recupero del poetico nel mito servendosi di materiali naturali ed elementi primari che riconducono alle nostre origini, che fanno parte della nostra terra. Fuoco, legno, ferro, carbone, caffè, denotano realisticamente un legame con la natura e con la storia. Oggetti che ci fanno pensare a preziosi reperti affiorati da lontane civiltà.Le sue opere sprigionano energia, odori, rumori: la vita e il divenire entrano materialmente nel lavoro dell’artista.Come scrive Germano Celant, fondatore dell’arte povera, Kounellis ha sempre praticato “l’Arte come urto e come urlo che cerca nei fatti il punto di frattura e di confine, dove la furia del singolo trapassa nella storia e nel sociale, come opposizione e critica al mostruoso universo del conformismo”. Tutte le sue installazioni e performances tendono a sottolineare l’impiego diverso della sensibilità, tesa ad una visione del mondo in cui la cultura si ricongiunge alla natura.Ma per Kounellis, “una cosa è avere un’idea del mondo e una cosa è viverlo. Lo scambio del dare e avere quotidiano crea le prospettive culturali, ma anche la storia. Dunque, oltre a scoprire il mondo, bisogna imparare a viverlo.” Pochi artisti dell’arte contemporanea possono vantare una carriera altrettanto lunga e completa quanto quella di Kounellis. Questo artista, greco di nascita ma italiano di adozione, può essere considerato come uno dei maggiori artisti di rilievo internazionale.

albert-mayr

TEMPI RAPPRESENTATI – STRUMENTI PER UNA DIDATTICA ESTETICA DEL TEMPO Mostra d'arte contemporanea di Albert Mayr

15 - 30 Novembre 1988

Il 15 novembre, presso il CENTRO MULTIMEDIALE QUARTO DI SANTA GIUSTA dell’Aquila, si inaugurerà la mostra TEMPI RAPPRESENTATI. Strumenti per una didattica estetica del tempo a cura del gruppo ‘the music of times and tides’ con la partecipazione del Comitato per 1’Avanzamento e la Promozione Internazionale della Ricerca Educativa (CAPIRE). La mostra, che resterà aperta fino al 30 novembre, riunisce materiali grafici, registrazioni sonore e video,testi, e si prefigge di fornire spunti di riflessione teorica e strumenti pratici per esplorare, in una nuova chiave, una dimensione del nostro vivere che abbiamo in larga misura disimparato a “rappresentarci”, cioè il nostro soggettivo tempo quotidiano.La mostra non ha la pretesa di presentare una panoramica esauriente dei possibili approcci ad una tematica così vasta ma vuole focaliz-zare quegli aspetti che possano portarci a fare (di nuovo) della ge-stione del tempo quotidiano un campo d’intervento per la fantasia creativa. Della “Indagine interdisciplinare sui codici analogici soggettivi per la rappresentazione dell’esperienza e della progettazione temporale individuale e di gruppo”, condotta, con un finanziamento del Consiglio Nazionale delle Ricerche, da A. Mayr, E. Pessa, G. Di Bartolo, A. Colimberti e G. Montagano, sono esposti tracciati grafici, registrazioni video e audio relativi ad una prova in cui soggetti adulti dovevano rappresentare i loro cicli interiori nell’ hic et nunc, e delle graficizzazioni delle forme spaziali soggettive di unità temporali come un giorno e un anno. Vicini a questo tema, ma diversi per il maggiore ricorso all’iconicità, sono i disegni di alunni di IV e V elementare relativi alla “Ricerca sulla nozione di anno, secolo, storia nell’eta scolare” condotta dalla psicologa Paola Reale e analizzati nella pubblicazione Ricerche sperimentali sulla nozione di tempo (Patron, Bologna 1984).
Nel caso dei grafici elaborati dagli studenti della Facoltà di Architettura di Firenze che hanno partecipato al “Seminario di analisi spaziotemporale” condotto da Giorgio Pizziolo, Marcello Archetti e Albert Mayr, si tratta invece di “partiture” dei movimenti (afflussi, permanenze, deflussi) osservati in punti scelti attraverso determinate “finestre” spaziali e temporali. Parallelamente sono state svolte indagini mediante questionari sulle abitudini spazio temporali nella stessa zona.
Accanto a questi materiali che hanno a che fare con le temporalità umane, il videotape “Le reazioni periodiche oscillanti” a cura di Paolo Manzelli, chimico e pioniere della ricerca educativa, aprono una parentesi sulle temporalità materiche, confrontandoci con 1’aspetto ritmico dell’auto organizzazione della materia. Con le partiture verbali e grafiche dei compositors R.I.P. Hayman, Albert Mayr, Christian Wolff, del media/performance artist Dan Graham, dell’artista visiva Morgan O’Hara sono presenti alcuni esempi significativi dell’approccio alla percezione e all’organizzazione del tempo nelle arti temporali e spaziali sperimentali, esempi che, oltre a collegarsi con la componente estetica o protoestetica degli altri materiali,possono servire anche da spunto per un lavoro in classe.
Lucia Innamorati contribuisce immagini temporali a livello di personalissime formulazioni verbali a di progettazione di segnatempo, mentre il lavoro di Antonella Baldi compie il passo dalla didattica del tempo al tempo della didattica con una proposta di articolazione temporale (e non solo) della scuola dell’obbligo.

Materiali da: “Indagine interdisciplinare sui codici analogici soggettivi per la rappresentazione dell’esperienza e della progettazione temporale individuale e di gruppo” (A. Mayr, E. Pessa, G. Di Bartolo, A. Colimberti, G. Montagano);
“Ricerca sulla nozione di anno, secolo, storia nell’età scolare” (P. Reale);
“Seminario di analisi spazio temporale” (M. Archetti, A. Mayr, G. Pizziolo);
“Le reazioni periodiche oscillanti” (P. Manzelli). Contributi di: Antonella Baldi, Dan Graham, R.I.P. Hayman, Lucia Innamorati, Albert Mayr, Morgan O’Hara, Christian Wolff.

I materiali di questa mostra, pur nella loro diversità e nella diversità degli intenti e delle occasioni che hanno portato alla loro produzione, hanno questo in comune: sono esempi di come si possa recuperare un immaginario temporale analogico, che si manifesti dunque in configurazioni visuali, sonore, gestuali, che superi la scissione tra componente funzionale e componente estetica e arrivi a sottrarre il tempo vissuto all’attuale gestione, concettuale e operativa, pesantemente alfanumericalquantitativa. L’impostazione della mostra che giustappone materiali di ricerca scientifica e artistica e materiali che si collocano nell’interfaccia tra i due campi è didattica nell’accezione lata del termine, vuole fomire strumenti metodologici e operativi per le più diverse occasioni formative, tra cui anche la scuola dell’obbligo e superiore.