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ITINERARI ARMONICI Poesie per il Natale

23 Dicembre 1996

L’Associazione culturale “ITINERARI ARMONICI” ha orientato, nel tempo, la sua attività soprattutto nel campo della ricerca, legando questa finalità al progetto interattivo fra diversi linguaggi, attraverso l’uso di strumenti attuali (computervideo – sintetizzatori) oltre che tradizionali, convinta che i fenomeni complessi all’interno delle dinamiche culturali, l’introduzione dell’informatica in molti campi della vita sociale, impongano un cambiamento indispensabile nella produzione di oggi – per generare nuovi orizzonti creativi di qualità e di libertà. Poetronics è appunto un’operazione di relazione tra musica e poesia in cui l’affinità di testi poetici come inseguimento e cattura del suono della parola, prosegue e si fonde nell’elaborazione musicale elettronica. La parola è suono, musica, dilatazione di esso, tentativo estremo di cogliere la mutevolezza dell’esperienza nel suo divenire, angoscia di fissare attimi di realtà nel contenitore in cui i significanti ed i significati, sempre più profondi e complessi, s’invertono continuamente, non cristallizzati ed imbavagliati nella loro significazione. In questo lavoro poeti e musicisti in convergenza, appunto, perseguono il ribaltamento di una “codificata” visione del mondo e dunque intendono affermare la positività (la dinamicità) di una concezione sinuosa, non coerente e rettilinea del pensiero umano nelle sue valenze psichiche e nelle sue proiezioni storiche, all’interno del quale la verità cambia continuamente, si amplia, si modifica, viene riveduta o negata, si sottrae alla centralità “predeterminata” in nome di una verità ulteriore, di una conoscenza costituita da piccoli atti molecolari che si protraggono all’infinito. Principio fondamentale di questo processo è la sperimentazione delle forme estetiche, radicalmente innovative, è la coscienza critica dei limiti entro i quali lavora la scrittura poetica o musicale, è il rigetto del senso comune unito alla consapevolezza di una realtà contraddittoria. Poeti come Lunetta, Baino, Toti, Giuliani, Balestrini da tempo tentano di strappare il collante omologante e neutralistico del qualunquismo linguistico che dilaga, attraverso la trasgressione dei codici espressivi accreditati e dominanti. Su questo stesso terreno concettuale si innesta l’operazione di musicisti di talento come Di Scipio, De Amicis, Sollazzie di un compositore-poeta di livello internazionale come Otto Laske, oltre che degli attori Martellie Fracassi che danno voce, corpo e cuore all’ elaborazione musicale. Si materializzano creazioni di incredibile suggestione e di straordinaria intensità che aprono, con estremo rigore intellettuale, scenari incontaminati e possibilità inesplorate di conoscenza.

 

Anna Maria Giancarli

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VESSILLI D’AMORE Mostra personale di Sandro Visca

07 Dicembre - 15 Gennaio 1996

Ricerca e sperimentazione rappresentano i fili conduttori lungo i quali si muovono le esperienze creative degli artisti presenti nel Museo d’Arte Contemporanea dell’Aquila. Dentro tale dimensione, aperta all’esplorazione e all’innovazione, si collocano le numerose mostre allestite presso tale struttura -diretta da Enrico Sconci in oltre dieci anni di attività. In continuità con i criteri appena esposti si colloca dunque la rassegna antologica Vessilli d’Amore dell’aquilano Sandro Visca, artista impegnato, dalla fine degli anni ’60, nella realizzazione di un proprio personale e originale percorso.
E appunto da quel periodo Visca parte per raccontare alcune tappe significative della sua evoluzione culturale. La prima domanda, in particolare, concerne i rapporti tra la sua produzione e quella contemporanea. “Penso che sia difficile collocarmi, definirmi come artista, anche se mi sento contemporaneo. Parlerei di distanza. Il mio modo di esistere e di essere mi ha portato a cercare e infine a trovare un alfabeto personale. Per tale tipo di scrittura non è semplice trovare riferimenti precisi dal punto di vista formale, mentre per quanto riguarda i contenuti non spetta a me dire se sono riuscito negli intenti. Non ho interesse per alcuna moda o movimento; anzi in alcuni momenti, per il voler tendere verso il mio obiettivo, sono stato escluso da alcune situazioni operative. Sono un pittore anomalo che viaggia al di fuori. Molti critici hanno usato gli aggettivi antropologico e etnico per connotare le sue produzioni. “Me ne sono andato dall’Aquila a venti anni: a quei tempi non c’era l’Accademia ma neppure una galleria, nessuna possibilità operativa; ancora oggi l’Amministrazione non offre contributi, non sostiene il settore delle arti visive e in generagli artisti in Abruzzo. Mi sono spostato di frequente: a Roma, a Torino, a Pescara dove risiedo attualmente e dove insegno. Ritornando al discorso precedente, ho bisogno di poter scegliere autonomamente, in libertà totale: per cucire, per fare un quadro, per vivere la mia avventura, anche se questo comporta talvolta l’isolamento. Certo rimango un montanaro: ritengo che tutto venga dal vissuto personale, una sorta di stratificazione culturale che segna l’appartenenza. Questa curiosità mi ha spinto a conoscere la filosofia e la letteratura del Gran Sasso, una sorta di recupero delle origini”. Sorge naturale, a tal proposito, l’associazione con due elementi: il maestro dell’informale Alberto Burri e il cortometraggio “Un cuore rosso sul Gran Sasso”.
“Ho realizzato le scene di Burri per una rappresentazione del ’69, tra le quali una traduzione del “Grande Sacco” su bozzetti dell’artista. Ero allora troppo giovane, ho digerito con ritardo l’influenza di Burri. Comunque sono stato legato, anche in seguito, da rapporti di amicizia con lui; in particolare ci accomunava la passione per la caccia. Riguardo all’esperienza cinematografica, essa rimane un incompiuto. Manca ancora il montaggio”. Oltre le inevitabili polemiche, oltre le parole, oltre le dichiarazioni di intenti, rimangono le produzioni di Sandro Visca che rientrano a pieno titolo nell’ambito pittorico, ma lo trascendono con altrettanta forza. Lavori che colpiscono, con prepotenza, sia attraverso la composita varietà dei materiali manipolati (stoffe, legno, ferro, pelle, terracotta, vetri), sia mediante la forza cromatica, sia per le dimensioni e la forma. “La scelta dei materiali dipendeva una sensibilità individuale, non va letta sul piano formale, estetico: non hanno una funzione decorativa. Nelle mie opere il rapporto uomo interno/uomo esterno viene riprodotto dalla presenza di una parte superiore ed esterna e di una parte; sotterranea, più complessa e caotica, che rimanda. C’è una parte sia interna che esterna di contenuto”. Tra le giovanili pupazze, i recenti vessilli d’amore, gli asparagi lignei, la nostra attenzione si sofferma sugli arazzi cuciti che testimoniano un periodo di attività che va dal ’75
all’85: tutte le opere comunque scandiscono l’evoluzione, la costante ricerca, la capacità di rinnovarsi di Sandro Visca, segnate dal mistero ma, anche dall’ironia. “I primi lavori sono più totemici, più magici, più pungenti, anche più cattivi -ad esempio le pupazze- poi mi sono spostato verso il favolistico. Ho capito che se le cose erano più dichiarate, più esplicite, le persone ne erano spaventate e le respingevano, mentre io voglio avvicinare le persone. Quindi mi sono orientato verso l’immaginario. Il tentativo è di prendere una persona e poi di farla riflettere. Le opere rimangono aperte, non c’è niente di compiuto: ognuno può trovarci una soluzione personale”. (L.F.)

 

 

Dalle “Pupazze” alle “Tempeste” “Vessilli”, l’arte di Visca nasce da sogni da sveglio

 

Situata a metà strada tra una velata ironia ed una fiaba amara dipinta o scolpita per soli adulti, l’arte soft di Sandro Visca nasce direttamente da quei sogni fatti da sveglio, in cui realtà e fantasia sono coscientemente ibridate. Non tanto per sfuggire all’inquietante scenario esistenziale che ognuno di noi deve quotidianamente affrontare, quanto per sovrapporre allo stesso una realtà “altra” impastata di gioco e di sogno, mediante una spinta e benefica manipolazione simbolica. Ed in “Vessilli d’amore” (mostra antologica 1969-1996, al Museo Sperimentale fino al 31 dicembre) gli ingredienti per confezionare una liberante e liberatoria inversione di rotta, ci sono tutti. Ad iniziare dai materiali d’uso comune come legno, stoffe, spaghi, carte, pelli, chiodi, rivitalizzati da Visca nei loro inusuali ed inusitati assemblaggi pronti a carpire da una natura in via di estinzione, l’ultimo volo di uno sgraziato uccello, il viaggio senza meta di una fragile barchetta, il tonfo di una stella o il sussulto fallico di un asparago. Se pochi sono gli ingredienti di queste strane creature oniriche di solito graficizzate nelle sagome di elementari volumetrie plastiche, sapiente è, invece il cortocircuito immaginifico scatenato da “Paesaggi” soffici come zucchero filato (ora fatati, ora con nuvole, ancora. pericolosi), da quelle inquietanti “Pupazze” degli anni Settanta, da piccole e grandi “Tempeste” pronte ad esplodere da un momento all’altro. Non c’interessano in questa sede i tanti rimandi antropologici rintracciabili tra l’altro nell’esasperata manualità impressa ad ogni singola opera, quasi che il testardo fare dell’artista- artigiano Sandro Visca consenta di esorcizzare la galoppante dematerializzazione della realtà..
Siamo invece attratti dall’incredibile energia sprigionata dalla sua coinvolgente foresta simbolica, dai tratti dichiaratamente infantili in cui l’incantesimo della meraviglia riesce a rovesciare le situazioni più difficili o scabrose. Per queste ragioni inseguiamo con partecipazione le libidinose spirali di ”Volo erotico”, con rammarico la rovinosa “Caduta di lucciole in amore” e con un pizzico di curiosità la scoperta degli innocenti segreti nascosti in questo o quel “Ripostiglio”. Riandare, come fa Visca, nella soffitta della memoria, senza alcun disincanto, ma con rinnovato stupore, significa semplicemente rinominare cose ed oggetti, storicamente deturpati da un devastante progresso tecnologico. Per cambiare il segno negativo in positivo, occorre così semplicemente riscoprire il gioioso sventolio virtuale di questi araldici “Vessilli d’amore” in cui sono magicamente cucite le disarmanti icone di un imperterrito surrealista fuori le righe.

Antonio Gasbarrini
“Il Messaggero”,10 dicembre 96

visca
Koan

KOAN Performance teatrale di Roberto Lattanzio, Maurizio Calasso, Cesare Di Giulio

30 novembre 1996

Voi giovani! Ciò che dite
è tutto senza senso,
se non udite il suono
(applauso)
di una sola mano.

HAKUIN Ekaku

 

Come si fa a presentare uno spettacolo dove si incontrano la musica di grandi maestri contemporanei come Maderna, Scelsi, Morricone, Bettinelli, Petrassi, le liriche dei più importanti maestri Zen come Sengai, Hakuin, Sodo ecc. ecc. e di tre importanti poeti occidentali come Ungaretti, Machado e Borges? Ho perciò immaginato questo magico triangolo interpretato da tre personaggi: il musicista, l’attore ed il pittore che rappresentano l’individuo umano nella sua triplice condizione esistenziale (fisica, intellettiva e spirituale), che “esistono” in uno spazio quadrangolare simbolo del possesso di un aspetto definito nella mutevole realtà del mondo sensibile e che si compone di quattro elementi: terra, acqua, aria, fuoco. All’ interno di tutto ciò, però, troviamo la rappresentazione del cerchio, figura in cui ogni parte è inizio e fine del tutto, rappresentato dalla circolarità di quattro viaggi iniziatici.

PROGRAMMA
Cesare Di Giulio Chitarra – Roberto Lattanzio, Maurizio Calasso Voci Recitanti – Esecuzioni per chitarra: Bruno Bettinelli Due studi (1958) Ennio Morricone Adagio (1957) Goffredo Petrassi Nunc (1971) Bruno Maderna Serenata per un satellite (1969) Giacinto Scelsi Ko-Tha (1967)
Due attori si lasciano coinvolgere in un’azione scenica dentro uno spazio delimitato che sembra essere ispirato all’idea del recinto sacro o dell'”Orto” Zen interagendo con il Musicista attraverso la ritualità stessa dell’evento scenico e la recitazione di alcune tra le più famose liriche giapponesi e brani di Machado, Borges, Ungaretti. Sostenuto dalla brillante interpretazione del M° Cesare Di Giulio dei brani musicali di Bruno Bettinelli – due studi-, Ennio Morricone -adagio-, Goffredo Petrassi -nunc-, Bruno Maderna -serenata per un satellite- e di Giacinto Scelsi -kotha-, “lo spettacolo si rapresenta in forma di viaggio iniziatico dove il recipiendario viene condotto per quattro tappe attraverso un percorso contrappuntato dall’ intensità dei più famosi Koan di Sengai (1750-1837), Daigu (1584- 1669), Sodo (1841-1920), Totsui (?-1683), Fugai (XVII secolo), Hakuin (1685-1709), Kukoku (1326􀀀1407), Karasumaru Mitsuhiro (1579 1638), Zekkai (1336-1405) ai quali viene risposto con altrettanta intensità con i versi degli “Occidentali” Ungaretti, Machado, Borges.

Testo di R.Lattanzio

Koan
Alcuni momenti della manifestazione

RICTUS VIVANTS Mostra d'Arte Contemporanea Collettiva

16 - 30 Novembre 1996

VARIUX MULTIPLEX MULTIFORMIS EVENTS

 

Un “TELAIO” chiude un vuoto: un telaio che chiude un vuoto racchiude ogni “evento” della storia.
Un telaio che chiude un vuoto non è vincolato allo spazio, ma esso è “cinetico” emendando direttrici motorie libere in ogni verso. Un siffatto “gioco”, se per un istante lo fissiamo, rischia di farci divenire fruitori umanisti di opere centriche con la tipica tentazione di opera a organico unitario. L’artista ha conoscenza degli inganni e delle illusioni che ne derivano, egli esclude superuomo e sublime classico, ma li coinvolge, anzi sembra volerli ospitare nei suoi dinamici telai, che frattando si sono aggregati moltiplicandosi, come acrobati inalberati secondo una “LOGICA” ico genetica. Il “come” è d’obbligo; la similitudine difatti riferisce l’identità logica dell’organico delle figurazioni “classiche” della FORMA, dove la creatività procedeva per vincoli fissi dello spazio nello spazio-tempo. Qui il VINCOLO è solo virtuale; l’albero generico sussiste per l’istante sublime del linguaggio precario, e il suo sussistere è la negazione del “logos”. Il gioco è aperto tra necessità e necessità disidentica. Tra i telai montati come “mobile” di una torre vandersburghiana, gli ospiti giungono
quali AFORISMI SEDOTTI dalla mano umbratile fabulatoria del regista che demonicamente li mena e dispone a scoprire l’evento sommo…quello attraverso cui la morte della luce genera luce, e la morte della storia, partorisce storia nuova. Vengono gli ospiti da ogni angolo della MEMORIA: dal cielo e dalle viscere di zarathustra piovono con grande impegno a contemplare le invenzioni delle magnanime idealità. Ognuno porta i suoi doni: dal pastore al re, l’intera storia è genuflessa. Dio! quante verità appaiono quali stelle virtuali di una storia senza tempo deflorando i diaframmi del TEMPO: con determinazione del regista si sono adagiate per libero percorso di identità soggettiva non conseguita, in attesa di una logica anti-logica, di cui l’immagine è, ora, solo simbolo e speranza dell’evento. Il regista si muove orbitando, trascolorando gli spazi: si attende una metamorfosi che non accade. La sua mano gestisce i suoni dei venti per cogliere in sintonia una fede migratoria tra i protagonisti, rapito a trattenere come foglia cadente, le fecondità dell’incertezza, o le retoriche di lucidi inganni…VARIUX MULTIPLEX MULTIFORMIS EVENTS. Ogni atto stellare gode di una personate logica compositiva: essi rabescano con SIMULTANEITA’ i cieli, si sovrappongono in un unicum di “diversi” compenetrati da mitiche implosioni verso l’ipocrisia dell’utilitario. Accade ciò che deve accadere: l’insieme delle FORME, colte nella speranza di vivere uno SPAZIO assoluto, ma non esperito, non supera la soglia del celibato, sicchè, l’evento si assenta, l’assurdo permane, e il tutto si fermenta nel cosmo della RAPPRESENTAZIONE autoescluso dal porsi atto sfuggente di “se”, nel sogno dell’antiessere…

 

Nicola Di Virgilio

 

La riconquista di un luogo Con una veste grafica totalmente nuova, curata da Cristina Chiappino, riprendiamo la pubblicazione di” ART E TRA”, grazie a Marco Vinicio Carelli che ci ha dato la possibilità di documentare in questo numero i risultati di “Rictus Vivants”, una serata-evento concepita appositamente per essere realizzata nei caratteristici spazi del Museo Sperimentale d’Arte Contemporanea. Questa manifestazione, che ha visto la partecipazione di numerosi artisti,
accomunati da uno spirito di pluralità linguistica, ha avuto per me un significato del tutto particolare: mi ha dato l’opportunità di ritrovarmi con Marco Vinicio Carelli, Gino Marotta e Maurizio Mazzucco che, insieme ad altri grandi artisti e critici d’arte, ho avuto la fortuna di avere come insegnanti quando frequentavo l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila, diretta negli anni ’70 da Piero Sadun. Dopo un’attività ultradecennale, svolta con grande impegno dalla nostra associazione, in quelle stesse aule dove si è svolta “Rictus Vivants” e dove i grandi nomi dell’avanguardia artistica italiana tenevano le loro lezioni, abbiamo voluto, grazie al Comune dell’Aquila. installare il Museo Sperimentale. Agli artisti un tempo insegnanti dell’Accademia, che non a caso, per una continuità anche simbolica, nello stesso luogo sono tornati ad esporre le loro opere ed il loro pensiero, se ne aggiungono in questa occasione, altri impegnati anch’essi nella sperimentazione di nuovi linguaggi, come Cristina Chiappino, Franco Zeri, Francesca Friso, Aldo Testi, Fernando Tornisiello. Lo stesso spirito di “Rictus Vivants” si ricollega infatti ad altre importanti manifestazioni che sempre negli spazi del museo abbiamo svolto negli anni passati, fra le quali mi piace ricordare le conferenze di Ferdinando Bologna e Tito Spini, le performances di Fabio Mauri, le mostre di Joseph Beuys, Sylvano Bussotti, Giuseppe Chiari, e la più recente su Carmelo Bene. Tutte iniziative tese a stabilire una continuità ideale con quanto di importante, dal punto di vista artistico, andava accadendo negli anni ’70 in Italia, a partire anche dall’Aquila e precisamente dagli spazi della ex Accademia, dove Gino Marotta ci ha fatto rivivere, con la sua lezione su “La bagneuse de Valpinçon” di In gres, quegli anni indimenticabili di grande vivacità nel campo della ricerca e sperimentazione artistica. Lo scopo del Museo è quindi quello di dare nuovamente all’arte la possibilità di accadere, di riguadagnare uno spazio che sembrava ormai perduto e dimenticato nel tempo. Ma l’arte si sa, come ha detto M. McLuhan, è qualcosa con cui si può sempre farla franca: raccogliendo le contraddizioni e le complessità della vita ci dà la forza e l’energia per riabitare i luoghi e riempirli di significati. Le proposte innovative di artisti e designer presentate in queste pagine – alcune portate avanti con l’uso delle prorompenti tecnologie digitali, di cui in termini scientifici e propositivi ci parla Franco Zeri – ci hanno fatto scoprire nuovi orizzonti con la capacità di far aleggiare nelle stanze del Museo lo spirito di un tempo. È quanto basta per continuare ad essere in pace con tutto ciò che ha reso sacro un luogo che avevamo rischiato di perdere, ma a cui oggi speriamo di poter dare, nel rispetto e nella continuità della nostra memoria, una nuova e più duratura identità.

 

Enrico Sconci
(“ArteTra” n. 6, maggio 1997)

 

Il complesso evento d’arte multimediale “Rictus Vivants”, che nello scorso Novembre è stato protagonista di una delle più innovative e seducenti proposte del Museo Sperimentale d’Arte Contemporanea, rivive attraverso la ricca documentazione assemblata nel nuovo numero di ARTETRA. Sono lieto per l’opportunità che in tal modo viene offerta a un vasto pubblico di partecipare attivamente, anche sotto forma di riflessione critica, al processo di conoscenza meritoriamente sviluppato con la continuità e l’intelligenza del lavoro del Museo Sperimentale d’Arte Contemporanea. Sono ancor più lieto di salutare, attraverso l’iniziativa di questo numero monografico dedicato a “Rictus Vivants”, la ripresa delle pubblicazioni di ARTERA, rivista che nel passato ha saputo distinguersi per la sua spiccata e originale capacità di incidere significativamente nella dinamica culturale aquilana. Nel compiacermi per la realizzazione, auspico che il ritorno in agone di ARTETRA sia lungamente fruttifero, nell’interesse di quello sviluppo del confronto dialettico sui fondamenti della cultura della “polis” che è sostanza e ragione prima della brillantezza creativa di cui la comunità aquilana va giustamente orgogliosa.

 

Antonio Centi
Sindaco de L’Aquila
(“ArteTra” n. 6, maggio 1997)

 

 

Rictus vivans
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AD USUM FABRICAE Mostra d'Arte Contemporanea Collettiva

18 Ottobre – 15 Novembre 1996


Sabato 23 novembre, all’interno della manifestazione “Ad Usum Fabricae”, presso il Museo Sperimentale d’Arte Contemporanea, sono state proiettati, in occasione del 50esimo anniversario della morte di Lazlo Moholy- Nagy, alcuni cortometraggi dell’artista, realizzati dal 1926 al 1937 ed inediti in Italia. Laszlo Moholy-Nagy nato a Borsod (Ungheria) nel 1895, morto a Chicago nel 1946. Pittore, grafico, scenografo e fotografo, dal 1923 al 1928 lavoro al Bauhaus. Realizzò lavori d’avanguardia nel Campo del fotomontaggio. Trasferitosi in America, continuò coerentemente al Bauhaus di Chicago il lavoro avviato a Dessau. Genesi di un artista totale. Durante la manifestazione ha avuto luogo un incontro-dibattito con gli scrittori e poeti Daniele Pieroni e Daniela Attanasio, che hanno riflettuto sul rapporto tra architettura e poesia e sull’esperienza di una conseguente “fabbrica” dello scrivere. Daniela Attanasio, poeta e critico letterario della rivista “Leggere” e del “Manifesto, è anche redattrice della rivista “Galleria”. Daniele Pieroni, già direttore della rivista “Ritmica” è autore di diversi saggi e pubblicazioni in versi. La seconda edizione della Mostra “AD USUM FABRICAE” è stata inaugurata con il patrocinio della Regione Abruzzo, della Provincia dell’Aquila e del Comune dell’Aquila il 18 Ottobre. La Mostra sarà articolata negli spazi della Chiesa di San Domenico, del Museo Sperimentale di Arte Contemporanea e del complesso monumentale di Collemaggio. La decisione di utilizzare tali spazi è nata dalla consapevolezza che gli edifici in questione possano confermarsi come veri luoghi urbani, in quanto suscettibili di mantenere una riconoscibilità culturale che gli deriva dal ruolo storico che hanno indubbiamente svolto fino ad ora, senza più memoria e senza più futuro. Muovendo da tali considerazioni preliminari, la Mostra “AD USUM FABRICAE” ha raccolto le opere di artisti nelle quali è stato espresso il rapporto Arte/Architettura, nelle varianti e variabili sotto le quali tale rapporto può comunque manifestarsi: ossia nell’ampio ventaglio che può andare dalla rappresentazione dell’architettura fino alla rappresentazione in quanto architettura. Più precisamente e in generale, la mostra ha inteso configurarsi come una selezione di opere che permangono sulla soglia dei due termini messi in gioco e che potrebbe anche definirsi come quella del “progetto”, inteso però più estesamente quale epifania di un’idea determinata dello spazio e del tempo. Opere e interventi di: l. Barlafante, T. Catalano, T. Francescone, J. Kounellis, M. Mariani, F. Mauri, S. Nannicola, L. Palmieri, G. Paolini, R. Pacquée, M. Pistoletto, O. Raschiatore, F. Rizzo, E. Spalletti, E. Soskic, Croce Taravella, J. Thompson, Uffici per l’Immaginazione Preventiva. Per il 50° Anniversario della morte sono stati proiettati i cortometraggi di Làzlò Moholy-Nagy, realizzati dal 1926 al 1937, inediti in Italia.

 

Gianni Fileccia

 

 

Composition #19, László Moholy-Nagy, 1921; Busch-Reisinger Museum, Cambridge