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UN MUSEO VIVENTE PER PRATA Mostra

Agosto 1997

Collaborazione del Museo Sperimentale con il Comune di Prata d’Ansidonia. Intervento a cura di Rita, Silvia e Renata Salvatore, nella mostra Omaggio alle donne di Prata.

Prata D’Ansidonia è un antichissimo borgo di circa 550 abitanti situato sull’altopiano d’Ansidonia, lungo la vallata dell’Aterno, quasi a metà strada tra l’area del Parco Nazionale del Gran Sasso-Monti della Laga e il comprensorio del Parco Regionale Sirente-Velino.

Il paese sorse sulle rovine dell’antica Peltuinum e in epoca augustea fu Municipio, Colonia e Prefettura Romana. Gli fu attribuito il nome di Prata in virtù degli enormi prati presenti nella zona.

Nella duecentesca chiesa parrocchiale di S. Nicola di Bari è custodito un pregevole ambone del 1240 proveniente dalla suggestiva chiesa di S. Paolo di Peltuinum (XII sec.), che sorge ai margini del sito archeologico di Peltuinum. A qualche chilometro dai resti della città romana si trova lo scenografico Castelcamponeschi (o castello di Prata), imponente borgo fortificato edificato intorno al XII secolo.

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NO COMMUNICATION Mostra fotografica di Franco Belsole

20 Maggio - 30 Giugno 1997

Mostra di fotografia, presentazione di Enrico Anselmi.

 

“NO COMMUNICATION”

Solo è l’uomo di fronte alla distruzione etica che ha perpetrato, nell’incomunicabilità dei gesti convenzionali; non vive se non come svilita immagine di se stesso che soltanto esteriormente ha conservato barlumi dell’originaria umanità. Franco Belsole riconosce, indaga, studia questa realtà; lo fa carpendo immagini senza storia, singolarmente antinarrative ma allo stesso tempo parti interconnesse, fotogrammi di una antimitologia contemporanea che all’esaltazione eroica ha sostituito la lucida visione della mancanza, della non presenza.
Secondo il processo negativo, del togliere, si profila quel poco che la sofferenza e il disagio psicologici hanno risparmiato dell’intima integrità; l’io ne esce fortemente decurtato, costretto a vivere drammatiche pantomime, farse senza vera azione, nel continuo terrore dell’epilogo imminente. Belsole coglie questa tensione, questa minaccia che persiste e si impone, dapprima subdola e latente per poi diffondersi e ammorbare l’aria quale “conclamata epidemia”. Sue vittime sono persone viste in controparte, riflesse, talvolta senza volto, isolate da barriere reali o fittizie, create dalla psiche come alibi alla non comunicazione. Le linee, ombre metalliche passanti o tangenti rispetto a sagome inanimate, sono i confini urbani implacabilmente ricercati in ogni immagine, perchè in essi si concretizzano altrettante barriere mentali. New York, metropoli del villaggio globale, è assunta quale emblematico centro, capitale cosmopolita, surreale congerie di frammenti estrapolati dal reale.
Rispetto alla totalità, tuttavia, si opera una sorta di astrazione, di cosciente visione selettiva della realtà come è giusto che sia poichè l’occhio, che per propria virtù osserva non passivo, opera una cernita di quanto gli scorre di fronte. La porzione sulla quale si sofferma è parte di un più esteso totale ma nella sua limitatezza contiene in sè una già compiuta pregnanza; nella fattispecie l’immagine fotografica va al di là degli approcci più superficiali, per isolare da tutto il resto e in tal senso è astrattizzante l’intimo dell’umana decadenza collettiva e personale poichè micro e macrocosmo sembrano combaciare.
Belsole non persegue illusive quanto distraenti sofisticazioni tecniche, l’ambito della sua ricerca tematica non ne ha bisogno, ma con maniera smaliziata pone lo strumento fotografico nella condizione di soddisfare raffinate esigenze, di raggiungere mezzicampi, piani ravvicinati dove superfici riflettenti si affermano come interlocutori visivi, che introducono, che invitano a forzare lo spazio fittizio della visione, rendendo allo stesso tempo quasi inarrivabile il soggetto ritratto, oggettivamente vicino e presente ma idealmente lontano. E misura di questa distanza, di questo rallentato flusso di vita, è lo spazio. Considerato come luogo dei fenomeni fuori dall’uomo, è teatro del compiersi di seriali consuetudini e asettica dimensione in cui ciò che è reale coincide con quanto si vede o si ricorda o semplicemente è stato immaginato, confusi nella sequenza dell’alienazione.

Enrico Anselmi

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DISTANZE EMOZIONALI E CROMATICHE Piero Mottola presenta i risultati degli incontri dei seminari musicali tenuti presso il Museo Sperimentale

7 Maggio 1997

“Distanze emozionali e cromatiche” è un sistema a dieci emozioni – paura, angoscia, collera, agitazione, tristezza, eccitazione, stupore, piacere, calma, gioia – costruito misurando l’attivazione emozionale di ognuno dei rumori del campionario. Per ognuno degli stimoli acustici fissata l’emozione che riceve più voti si ottiene la distanza dalle altre nove emozioni osservando la differenza di preferenze. La somma di informazioni accumulata per ogni stimolo permette di costruire uno spazio unidimensionale dove collocare le dieci emozioni secondo le distanze:

1= massima vicinanza emozionale;

9= massimo contrasto emozionale.

La croma caratterizzante ognuna delle dieci emozioni è il risultato dell’osservazione dell’attivazione emozionale di ognuno dei duecentosedici colori del campionario cromatico associati alle emozioni. Ognuna delle dieci emozioni diventa un attrattore di una o più zone cromatiche del campionario. Una media pesata ha permesso di individuare i toni maggiormente significativi per ognuna di esse.

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POESIA / RIGORE Anni settanta Mostra d’arte contemporanea

21 Aprile - 15 Maggio 1997

Mostra d’arte contemporanea con opere di Beuys, Calzolari, Ceroli, Chiari, Christo, De Dominicis, Kounellis, Maura, Merz, Paolini, Pisani, Pistoletto, Schifano. Presentazione di Mariano Apa.

 

Fermando il rumore può darsi che salga il Silenzio: si potrebbero interrompere le corse delle ferraglie, le puzze delle gomme, si può forse pulire il selciato davanti casa dei cocci di bottiglia caduti dal muro (…). .
E forse potremo ricominciare a volere interrogare l’ombra su l’invisibile Montaliano <> (…).
Si respira un desiderio, un bisogno, un sapore di primavera dal di dentro di questo inverno, c’e l’odore come di una tiepida e serena Domenica che faccia giustizia di tutti i calendari effimeri e indaffarati (…)… già Seurat ha descritto una «domenica pomeriggio a l’isola della Grande Jatte», e poi Merz «recentemente» ha scritto la sua « una domenica lunghissima dura approssimativamente dal 1966 e ora siamo al 1976».
La domenica è il tempo del riposo, del ringraziamento, dell’ozio, dei pensieri puliti nel vuoto pneumatico del tempo curvo in cui «tutto ritorna»; perchè, come «espose» Cintoli: «i nodi vengono al pettine» (…).
E questa mostra è un piccolo frammento di un grande desiderio: che possa riproporsi il tempo della capacità di stupirsi, di meravigliarsi ‑ anche soltanto per un paesaggio da treno ‑ ;
ristabilendo il valore della responsabilità nel <> che è « io forte», che è Luogo/Spazio dove la pratica artistica si costituisce equivalente di una epica coralità.

Mariano Apa

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