16 - 28 Febbraio 1994
Chi fotografa forse evoca e paralizza in immagini gli spettri delle cose. O forse agisce sulla presenza individuando un’assenza. La poesia sottile della Fotografia non può ridursi soltanto ad un fatto formale -la Poesia della Fotografia sta nell’intuizione di chi guarda quel che è stato guardato – spezzando la feriale cecità che ci accompagna. E’ vero che fotografare vuole anche dire la storicizzazione ambigua dell’attimo -ma forse è altrettanto vero che è soltanto quello l’attimo che dovremmo guardare. E’ qui che nasce come un disagio perché infine è la Fotografia che ci guarda seminando un dubbio dal quale è possibile sottrarsi soltanto regredendo a quello stadio “primitivo” del “me” che visita quel che l’obiettivo ha già visitato. In questo subdolo gioco-di-parole l’immagine fotografica trova forse un’identità che approda – ribadendolo – al suo doppio mistero e al segreto che accomuna labirinticamente le cose: l’indecifrabilità sostanziale del mondo e la sua comprensione.
Gilberto Centi