Nato a L’Aquila.
Vive e lavora a Roma.
“Il grande nemico dell’arte è il buon gusto”
M. Duchamp
Artista alla continua ricerca di nuove forme espressive, Daniele Breccia sperimenta diversi tipi di linguaggio: servendosi di vari mezzi quali la pittura, la scultura e l’installazione, destabilizza i vari generi artistici, creando delle opere che divertono, sorprendono, ma allo stesso tempo invitano a riflettere.
Dialogando in maniera sottile con alcuni capisaldi della storia dell’arte, egli li interpreta, li sbeffeggia e li celebra allo stesso tempo, mettendo in questione la natura stessa dell’arte.
Il suo intento non è quello di turbare, bensì di andare oltre le convenzioni figurative e rappresentative, creando dei cortocircuiti formali e concettuali, per scardinare le abitudini visive più radicate.
Fondamentali in tutti i suoi lavori sono i titoli che, citando spesso nomi di canzoni famose, non svelano ciò che lo spettatore attende di scoprire, ma aggiungono significati.
In lavori come Love Devotion Surrender Breccia attua un processo che ha le sue radici negli scambi inter semiotici di Magritte, fino a sfociare nelle opere tautologiche e metalinguistiche di artisti concettuali come Joseph Kosuth: ciò che vediamo è ciò che realmente è. In tal modo si rende evidente il rapporto che esiste tra realtà e sua rappresentazione: l’oggetto si auto presenta senza delegare ad altri il compito di farlo. L’immagine che ne viene fuori – al contrario di quanto accadeva con le opere dei suoi predecessori – oltre a manifestare un senso di spaesamento – ha in questo caso un riferimento ad alcune tematiche esistenziali quali la religione, la morte e la vita. La statuetta della Vergine Maria rappresenta il contatto simbolico tra noi e un ipotetico aldilà; il teschio è simbolo di morte, già interpretato da vari artisti (ricordiamo il teschio di diamanti di Damien Hirst); la roccia è il legame con la vita e con la nostra natura di esseri terreni.
In A love supreme un piccione, nell’impossibilità di raggiungere un suono negato, si schianta contro la parte superiore della struttura del Grande Vetro di Marcel Duchamp, come a manifestare l’eccessiva sacralità e monumentalità concettuale dell’opera d’arte. Altri tre piccioni, che sembrano simboleggiare la trinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, assistono indifferenti alla tragedia. Come nell’opera duchampiana, il lavoro di Breccia si presta a diversi piani di lettura: le due parti di vetro, divise da una linea di orizzonte, rappresentano la netta la divisione tra il mondo celeste e quello terreno. Il piccione suicida, attratto da qualcosa di “divino” di là dal vetro, lascia i suoi simili e s’innalza nella speranza di abbandonare l’imperfezione terrena, per raggiungere una perfezione sublime. Incontrerà invece un triste destino. Un “amore supremo”, il suo, idilliaco e spirituale, come quello che molti di noi credono di raggiungere, spesso senza trovare risposte.
Come nelle più importanti sculture minimaliste di Donald Judd, Robert Morris o Carl Andre, Double Elvis manifesta la stessa assenza di simbolismo e la medesima rigorosità. Un approccio basato su un freddo distacco, in grado però di aprire una profonda riflessione sulla percezione dello spazio. Modificando il rapporto tra l’opera d’arte e il contesto della sua esposizione, l’opera non rimanda ad altro che a se stessa, esterna la sua tridimensionalità e il suo peso nello spazio circostante. Ad alleggerire questa freddezza ancora una volta, il titolo, che Breccia usa con la stessa ironia con cui Duchamp titolava i suoi ready made.
InLullaby – dipinto di chiara matrice iperrealista – la perizia tecnica desta meraviglia per la capacità descrittiva. L’immagine, creata partendo da una fotografia, non mira a una mera rappresentazione della realtà ma vuole superarla, ricreando un vero più vero del vero, mettendosi nel solco dell’antica competizione tra pittura e fotografia. Il risultato è un insieme di sensazioni in grado di destare una certa solitudine e malinconia, tipica di quei luoghi abbandonati a se stessi, tanto descritti dal pittore Edward Hopper.
Il mondo effimero della moda e della pubblicità è rappresentato in Romance, opera di chiaro riferimento New Dada e Pop in cui, tramite la tecnica del “trasfer”, l’artista trasferisce su tela immagini di modelle tratte dai mass-media. Il risultato è una serie di Marylin contemporanee, sbiadite come quelle di Andy Warhol, consumate dai nostri reiterati sguardi passivi e abbandonate allo scorrere del tempo. Con un humor più leggero, ma senza abbandonare una critica sottile, l’artista affronta ancora il tema della pubblicità in Self-portrait like Prada’s advertising, sostituendo la sua immagine dipinta a quella di uno dei tanti modelli di Prada.
Con questa mostra Daniele Breccia abbraccia l’idea che l’arte non è mai di natura consolatoria, è qualcosa che scuote, ci mette a disagio perché scardina i nostri meccanismi di percezione della realtà, invita alla riflessione, richiede un impegno, ci insegna un nuovo modo di guardare il mondo.
Martina Sconci
Good Luck
Fotografia
50 x 75 cm
2014
DANIELE BRECCIA
Mostra Personale
17 – 24 Maggio 2014