07 Febbraio 2019
L’ultima Conferenza mondiale sul clima (COP24) che si è svolta a Katowice (Polonia) lo scorso dicembre ha reso noto che, nonostante gli importati accordi raggiunti a Kyoto prima (1997) e a Parigi poi (2015), il livello di allarme da parte dei climatologi di tutto il modo rimane ancora altissimo. L’ultimo rapporto dello IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change) delle Nazioni Unite infatti ha confermato che un aumento medio della temperatura globale di almeno 1,5°C sui livelli pre-industriali è ormai pressoché inevitabile. Affinché questa soglia non venga superata, però, è assolutamente necessario tagliare le emissioni di anidride carbonica del 45% entro il 2020, cioè entro domani. In mancanza di azioni drastiche e di cambiamenti radicali, la temperatura media aumenterà oltre i 2 °C, portando a eventi climatici più estremi e cambiando il clima di intere aree geografiche, con conseguenze prossime alla catastrofe per milioni di persone. Allineare la nostra vita quotidiana sulla traiettoria di un aumento massimo di 1,5 °C è perciò un must. Per questa ragione, anche SlowFood ha fatto rimbalzare il grido a livello internazionale, lanciando la campagna #FoodforChange. Lo sta facendo per una doppia ragione, perché, se è vero che l’agricoltura sarà il primo settore a risentire in modo più critico del cambiamento climatico – con effetti negativi che si ripercuoteranno su tutte le colture del mondo, sugli agricoltori e sui consumi alimentari – è altrettanto vero che il modello di agricoltura industrializzata adottato negli ultimi 70 anni è tra i fattori più direttamente impattanti sul clima. Per arginare questi rischi, il più grande movimento mondiale per il cibo buono, pulito e giusto sta promuovendo un modello alternativo di produzione e di consumo di cibo fondato sul rispetto della biodiversità agricola, sul riciclo dei nutrienti, sulla sinergia e sulla interazione tra colture, allevamento e suolo. Un uso più efficiente dell’acqua, la riduzione nell’impiego di energie fossili, la tutela di un ricco e differenziato patrimonio genetico, la valorizzazione dei saperi agricoli tradizionali e pre-industriali, sono i prerequisiti necessari per garantire l’adattamento ai diversi climi e territori, riducendo non solo gli impatti sul clima ma anche prevenendo fenomeni di abbandono delle terre e di migrazione. Consumare un cibo prodotto secondo questi principi piuttosto che in modo industriale può segnare il passo del cambiamento, attraverso scelte quotidiane e pratiche che da individuali divengono orientamento di massa. Affinché tutto ciò sia perseguito, però, è di fondamentale importanza che la conoscenza scientifica sia adeguatamente divulgata attraverso tutti i linguaggi possibili. L’umanità non può più permettersi gap comunicativi e tutti dobbiamo conoscere i rischi che stiamo correndo. Per poter rispondere a questa impellente urgenza, come Condotta SlowFood dell’Aquila abbiamo deciso di far incontrare intorno ad un unico tema discipline apparentemente molto distanti tra loro come la climatologia, l’arte e la letteratura.
L’evento rientra all’interno del progetto “Museo Vivo della Città Territorio per la rinascita dell’Aquila”
PROGRAMMA
Parteciperanno all’incontro Gianluca Redaelli (climatologo e docente di Fisica dell’atmosfera e dell’oceano presso l’Università dell’Aquila); Martina Sconci (storica dell’arte, direttrice artistica del MU.SP.A.C. e docente di Storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila); Stefano Redaelli (fisico ed umanista, docente di letteratura presso la Università di Varsavia), moderati da Rita Salvatore (sociologa dell’ambiente, docente di Turismo enogastronomico e sviluppo rurale presso l’Università di Teramo e fiduciaria della condotta SlowFood dell’Aquila).