E’ uno dei più significativi esponenti delle tendenze artistiche che si sono imposte in Italia alla fine degli anni Settanta. Dopo una formazione in ambito scientifico, l’artista sviluppa una ricerca che intenzionalmente si riallaccia al Rinascimento italiano, a una tradizione culturale nell’ambito della quale la filosofia e la scienza sono parte integrante del lavoro. Partecipa alla Biennale di Venezia (1982, 1986, 1997) e alla Documenta di Kassel (1982, 1992), sperimentando complesse installazioni che coinvolgono l’ambiente con il concorso di molteplici mezzi espressivi, dal disegno alla pittura, dalla stampa alla scultura. Nel corso degli anni, alimentandosi con continui studi e viaggi, ha attinto alla cultura islamica, alla poesia mistica del persiano Rumi, al Sufismo, alle dottrine dell’Induismo e del Tao, impiegandoli quali strumenti per le proprie opere.
Nel 1995 espone con una sua personale al museo Luigi Pecci di Prato.
Da ricordare l’altare realizzato tra il ’94 e il ’95 nella chiesa di S. Miniato al Monte a Firenze per volere dei Padri Benedettini.
Nel ’96 ha realizzato una installazione per la mostra “Accumulazioni 2” ideata da Rudi Fuchs nella sede di Zerynthia a Paliano.
Nel 2017 apre a Montelupo Fiorentino l’Atelier Marco Bagnoli, uno spazio multifunzionale, che l’artista concepisce nel suo insieme come un’opera d’arte totale.
Senza titolo
Fotolitografia
50 x 70 cm
1970
“In questo luogo, apriamo il triangolo A.R.S., i cui vertici suonano Arte/Religione/Scienza. Il triangolo è ora preso dalla linea di suono (M) tracciata dalla scomparsa dell’oggetto. Rispetto a questa linea i vertici assumono una diversa posizione: L’immagine dell’Arte ne emerge in forma autonoma (A1). Lo Spirituale (R)- inizio di quella traccia-, trova un’eco di risonanza con la linea d’orizzonte del Testimone (A). A: ( se da un lato offre di sé la parte invisibile allo specchio, dall’altro guarda in un occhio che non può vedere). E’ la Scienza (S) il naturale terzo estremo da cui si slanciano i vertici A e R del cono visivo. Punto cieco nel fuoco di quella stessa traccia. Si tratta ora di definire o ridefinire la posizione dei singoli punti alla luce nel loro movimento interno e dunque porre una diversa relazione”1. Il rapporto tra Arte, Scienza e Spirituale è fondamentale nella speculazione di Marco Bagnoli. Dopo gli studi in Chimica all’Università di Pisa, lascia il laboratorio per presentare a Pescara (Il Buon Luogo…, Pescara-Roma 1976- 78) e a Torino (Teatro Gobetti, 1977) le prime opere sul tema. E’ l’inizio di un lungo cammino in questa direzione. Alla fine degli anni Settanta Bagnoli è tra i fondatori della rivista Spazio x Tempo, il cui nome battezza da allora gran parte delle sue pubblicazioni e dei suoi lavori artistici. L’artista inserisce una X nella continuità spazio-temporale della teoria della relatività einsteiniana; ottiene una formula che si fa portatrice di senso profondo in Arte. Infatti lo Spazio e il Tempo sono i due fattori in cui si inscrive da sempre l’attività artistica. Inoltre le due parole contengono in sé IO x TE (Spaz(IO) x (TE)mpo), estremi del rapporto tra l’artista demiurgo e il mondo, tra uno e doppio. La X centrale è infine visualizzazione del Cono degli Eventi, schema dello scorrere fenomenologico, sorta di clessidra in cui il punto d’intersezione coincide col presente dei fatti. Il punto diventa elemento costitutivo di un’opera come Spaz(IO) x (TE)mpo, realizzata al Castello di Santa Maria Novella (Certaldo), in occasione di Dopopaesaggio 1997. L’installazione è lo schema di una piantagione a quinconcia da seminare nei terreni del Castello. La riflessione sul Quincunx2 è un altro dei momenti chiave del percorso di Marco Bagnoli. Nel 2000, l’artista ha pubblicato un libro interamente dedicato a questo concetto, in cui studia le definizioni e le infinite applicazioni della quinconcia nella storia. “Nell’antica Roma, frazione di 5/12 dell’unità”3, il quincunx si traduce in uno schema di X ripetute, definite solo dai punti estremi, in cui ogni punto esterno è anche centro di una X adiacente. L’opera Spaz(IO) x (TE)mpo è posta verticalmente su una parete interna alle mura di fortificazione del Castello di Santa Maria Novella, sopra una fonte antica. E’ una mappa colorata che ribalta la visione ed impone un’astrazione mentale. Guardare le cose dall’alto significa capirne le relazioni, i rapporti geometrici, le distanze. Implica adottare un metodo scientifico; per misurare e proiettare. Il volo impone questo cambiamento di prospettiva. Così il 4 settembre 1984, in Olanda, Marco Bagnoli ha fatto salpare una mongolfiera. Un pallone di stoffa che col proprio meccanismo investe terra, fuoco e aria. Tre dei quattro elementi, la cui interpretazione metaforica rimanda alle “coordinate di una visione interna all’anima”4. La stessa mongolfiera è riapparsa poi nei corridoi labirintici della Fortezza da Basso, a Firenze e ancora nella sala ottagonale della stessa architettura. Ha acquisito la forma di scheletro ligneo del pallone aerostatico. L’artista ha ripercorso il momento di passaggio dall’alchimia alla chimica, quando alla fine del Settecento i fratelli Mongolfier misero in moto il primo volo. Le conquiste scientifiche influenzano in modo determinante la riflessione di Bagnoli. Anche se l’arte sa vedere oltre. “L’opera è sempre un miracolo, perché essa avviene nel mondo e per il mondo. (…) Avviene nel vuoto e in questo avvenire compie, per eccesso, l’offerta di sé”5. L’artista non crea, si limita a comprendere ciò che già è. Ma lo fa in modo diverso dalla scienziato. Se l’arte è una manifestazione dell’essere, la scienza “rispetto a ciò non sa come stanno le cose. Agisce in generale. Il suo sguardo riflette la natura, un soggetto verso un oggetto”6. Con le sue partecipazioni a Documenta di Kassel (1982) e alle Biennali di Venezia (1986 e 1997); con le numerose personali che istituzioni italiane ed estere gli hanno dedicato, Marco Bagnoli trova una sua precisa collocazione nel firmamento dell’arte contemporanea. “Bagnoli realizza interventi complessi, carichi di conflittualità, di rimandi ermetici e rituali, di evocazioni magiche, creando un rapporto acuto di tensione più energetica che emotiva attraverso segni e colori, riuscendo, peraltro, a raggiungere anche una sottile, sottesa carica poetica”.