Dopo aver conseguito sia la maturità classica che artistica, nel 1944 frequenta l’Accademia delle Belle Arti di Palermo. L’anno dopo studia all’Accademia di Firenze, dove conosce il pittore Antonio Sanfilippo. Insieme si trasferiscono a Roma nel 1946. Si sposeranno tre anni dopo. Del mondo artistico romano frequentano Ugo Attardi, Pietro Consagra, Piero Dorazio, Mino Guerrini, Achille Perilli, Giulio Turcato, con i quali, spinti da una comune visione dell’arte e della società, si proclamano formalisti e marxisti e nel marzo del 1947, fondano il Gruppo Forma Uno. All’interno di questo gruppo l’Accardi svolge una ricerca sul fronte dell’arte astratta contro uno spento realismo in direzione di una produzione artistica italiana aperta alle soluzioni formali internazionali, rivendicando la valenza anche politica delle sue scelte. Si dimostra quindi sensibile al clima di rinnovamento politico-sociale che si respira in Italia in quegli anni. Partecipa con il gruppo Forma Uno a numerose collettive in Italia e all’estero: Roma, Praga, Torino, e alla XXIV Biennale di Venezia. La sua prima personale si tiene alla Galleria Numero Uno di Firenze, seguita nel 1950 da una mostra presso la Galleria Libreria Age D’Or di Roma. L’anno successivo espone alla Libreria Salto di Milano, punto d’incontro degli artisti del MAC. Dopo un periodo difficile, durante il quale riduce drasticamente la sua produzione, riprende a lavorare a pieno ritmo nel 1954, rinunciando ai colori e limitando la gamma cromatica ai soli bianco e nero (“Duello Interrotto”, 1954). Questa nuova fase la vede volgersi verso una ricerca fondata sulla poetica del segno, documentata per la prima volta in una mostra personale alla Galleria San Marco di Roma nel 1955. << Un segno da solo non vale per sé, ma esso esiste in rapporto ad altri segni dal momento che forma con essi una struttura, e diventa espressione artistica (nella struttura) allorché porta (in una continuità compatta) il suo valore simbolico e individualistico, e perdendo ciò che ha di arbitrario acquista nel tutto un magico e intelligente significato di rigorosa necessità, ma insieme di gioco imprevedibile (ambiguo).>> (Celant 1999). Questa scelta espressiva la mette in relazione con le ricerche dei maggiori artisti della poetica informale. Tra il 1954 e il 1959 il critico Michel Tapié la invita alle mostre da lui curate in Italia e all’estero, che inseriscono l’ opera della Accardi nel contesto internazionale contemporaneo. Negli stessi anni, l’artista partecipa a numerose collettive curate da Michel Seuphor, Palma Bucarelli, Giulio Carlo Argan, Lionello Venturi. A partire dalla seconda metà degli Anni Cinquanta, comincia a reintrodurre gradualmente nelle sue opere i colori (“Labirinto con settori”, 1957- “Rossoviola”, 1963 – “Verdearancio”, 1964 – “Rosaverde”, 1964). Nel 1961 aderisce al gruppo Continuità e tiene una personale alla Parma Gallery di New York e al New Vision Center di Londra. Nel 1964 è presente con una sala personale alla Biennale di Venezia, in questa occasione instaura un importante sodalizio con Carla Lonzi, che la porterà alla militanza femminista. Dopo il 1965, l’interesse per la relazione tra opera e ambiente la porta a superare i limiti della dimensione chiusa del quadro, estendendo la sua pittura allo spazio. Ne sono emblematici i lavori “Tenda” (1965) e “Triplice tenda” (1969-71), delle vere e proprie strutture leggerissime dove lo spettatore può entrare, passare, stare, che vengono esposte alla Biennale di Venezia del 1976. Dalla prima metà degli anni Settanta, lavora alla serie dei “Lenzuoli”, grandi tele dipinte con segni geometrici, presentati in una mostra personale alla Galleria Editalia di Roma nel 1974. Partecipa alla Biennale del 1978 e a retrospettive del Gruppo Forma e dell’Avanguadia degli anni Cinquanta in Italia. Negli anni Ottanta la Accardi recupera la dimensione del quadro (serie “Parentesi e Capricci”) utilizzando prevalentemente la tela grezza. E’ di nuovo presente alla Biennale del 1988 con una sala personale e partecipa alle principali rassegne storiche sull’arte italiana del XX secolo, in Italia e all’estero. Nel 1999 Germano Celant pubblica un’importante monografia sulla sua opera.Partita dal dinamismo degli elementi pittorici astratti, C. A. ha spinto le proprie composizioni verso i margini della tela, quasi a catturare l’esperienza fenomenologica dello spazio che devia e si espande. Le sua forme fluttuano nello spazio con vibrante energia, mentre il colore nelle sue interazioni cromatiche, è esaminato con piglio scientifico, nell’emozionante provocazione visiva di una luminosità intensa, o di minuscoli bagliori. (Segno-dic.1995)
Senza titolo
serigrafia 73/100
23x23cm