15 - 31 Dicembre 2005
Se non avete del caos in voi non potrete generare una stella danzante
Nietzsche
Siamo particolarmente lieti di aver inaugurato negli spazi del MUSPAC la mostra antologica di Silvestro Cutuli, curata egregiamente dal critico d’arte Luigi Paolo Finizio, con cui già in passato abbiamo avuto occasione di collaborare. L’evento è coinciso con una serie di iniziative organizzate in occasione della ricorrenza dei 21 anni di attività e ci ha offerto l’occasione per stabilire un’ideale continuità con altre importanti esposizioni, riferibili alle correnti dell’astrattismo e dell’informale. Penso soprattutto alla mostra di Afro che abbiamo presentata nel 1997, nella antica sede del monastero di S. Maria dei Raccomandati, in cui, insieme ad alcune grafiche, venivano esposte numerose opere realizzate con la tecnica del mosaico. Quelle schegge luminose di ascendenza bizantina svelavano bagliori di luce e accensioni di colore che ritroviamo anche oggi, sotto forma di pixel e meta pixel, nell’opera di Cutuli. Alla trama analitica e preziosa del mosaico, che richiede tempi lunghi, l’artista contrappone nelle sue ultime opere il gesto del mouse o del pennello elettronico, facendoci sprofondare negli abissi dell’immagine o accompagnandoci nelle viscere della terra.
Osservando l’ampia produzione di Cutuli sono rimasto particolarmente colpito da alcune superfici plastiche degli anni ’90 in cui, con una particolare tecnica scultorea, vengono messe in rilievo delle lamiere contorte ricoperte di pittura e stucco. Con questo tipo di lavoro sulla materia, che nel periodo Informale in Italia è stata portata alle estreme conseguenze soprattutto da Burri e Fontana, l’artista dimostra di aver assimilato la lezione dei grandi maestri dell’avanguardia. In questo tipo di astrazione, sempre in bilico tra materia pittorica e forma plastica, l’arte passa dalla riflessione sulla natura e i suoi fenomeni, rappresentati con le tecniche tradizionali, alle leggi che regolano un sistema linguistico interno di auto riflessione e che sfoceranno in seguito nell’arte concettuale. Con il superamento della concezione umanistica e rinascimentale, rappresentata dalla “forma simbolica” della prospettiva centrale, cui seguiranno il policentrismo e l’illusionismo barocco, si passa da una visione del mondo tolemaica e post copernicana ad un’altra ormai priva di centro, raggiunta agli inizi del nostro secolo dai principi della relatività e dell’indeterminazione. Non a caso, nelle varie fasi di sperimentazione e ricerca Cutuli, per poter meglio comprendere le ragioni di questi cambiamenti, sembra voler avvicinare progressivamente la sua arte a tematiche scientifiche e di progresso tecnologico.
Come non tener conto infatti dei principi fisici, scientifici e filosofici che già agli inizi del Novecento avevano problematizzato la nozione di tempo. Einstein nella teoria della relatività generale aveva sostenuto che la geometria dell’universo è a quattro dimensioni, determinata dalla materia e dall’energia in esso contenute ( sappiamo poi come la quarta dimensione abbia aperto le porte ad altre dimensioni). Anche il cubismo si era già posto in relazione con lo spazio-tempo, con la quarta dimensione, concetto che sarà approfondito dai futuristi italiani quando introdurranno il dinamismo nelle loro opere. Soprattutto Boccioni, riferendosi ad Einstein, comprende che lo spazio e il tempo non preesistono in modo assoluto (né alcun punto è assolutamente immobile né alcun oggetto in movimento assoluto) perché non esiste alcun termine assoluto di riferimento: oggetto e soggetto sono, sempre, correlativamente ma discontinuamente mobili. Questa rivoluzione aveva spezzato tutte le convenzioni estetiche, rompendo il rapporto tra pittore e mondo esterno. Per questo il nostro secolo continua a subire mutamenti che rimettono continuamente in discussione la natura e l’idea stessa dell’arte.
A volte l’incertezza e l’indeterminazione sono considerate gli unici elementi in comune della nostra cultura pluralistica e relativistica. In altre circostanze scienza ed arte possono rendere visibili e comprensibili, non solo l’invisibile metafisico, ma anche l’invisibile fisico.
Poiché l’arte, come la scienza è conoscenza e progresso (quindi un processo dinamico ed evolutivo) nelle varie ricerche artistiche bisogna tener conto anche del probabilismo che si è affacciato nelle ipotesi della fisica quantistica, sia pure a dispetto di Einstein secondo cui è da escludere che Dio “giochi ai dadi’: La fisica quantistica ci ha messi di fronte a diverse nozioni nuove della materia e dell’esistenza. La sua definizione di materia in quanto “processo” sostituisce quella della materia in quanto “oggetto” della meccanica tradizionale. Silvestro Cutuli, mosso da una “interiore necessità” ha proseguito la sua ricerca in modo coerente seguendo le varie fasi di sviluppo tra l’arte e le varie discipline del sapere contemporaneo. Ha applicato poi le varie tecniche di sperimentazione sulla materia pittorica, fino a decidere di sfruttare le prospettive offerte da congegni ottici ed elettronici, che consentono nuove possibilità di riproduzione dell’immagine. Con assoluta libertà, sapendo che arte e tecnologia sono, in alcuni casi, l’una lo specchio dell’altra, sceglie di usare il computer, che gli consente di esplorare velocemente l’essenza delle forme e di imprimere nelle sue ultime opere la stessa anima, la stessa energia dei suoi precedenti lavori.
L’era digitale, che ha sedotto ormai l’intero pianeta, ampliando il mondo dell’occhio ha dischiuso nuovi orizzonti alla fantasia. Si possono gestire flussi di immagini e forme all’interno di strategie creative mutevoli, praticando un’arte che non ha più a che vedere con il materiale ma con l’immateriale, il virtuale, l’invisibile, il divenire.
Con le stampe digitali su dibond prodotte da Cutuli, la materia ha perso corpo, si è assottigliata, e non possiede più le caratteristiche fisiche ed espressive delle prime opere plastiche che, in quanto realizzate manualmente, erano pezzi unici. L’effetto immediato che producono queste nuove immagini, nel momento in cui vengono stampate e fissate su un supporto rigido, è quello di sembrare fredde e inanimate. Se però vengono guardate attentamente subito riprendono vita, la nostra immaginazione le rimette subito in movimento.
Il processo di smaterializzazione operato dall’artista tramite la pittura elettronica ci trasporta nuovamente nei flussi immaginifici di un cyberspazio. Le macchie di colore, che a volte sembrano cristalli, nodi di regolarità dell’inorganico, possono essere continuamente manipolate, mobilitano intensamente la percezione dell’artista che durante la fase creativa intende rifarsi un’altra realtà e ricercare un altrove, così come Alice nel paese delle meraviglie quando si trova davanti allo specchio. L’artista per portare avanti la sua ricerca e trovare nuovi mondi, deve sfruttare anche il caso, che è stato un elemento fondamentale delle avanguardie storiche. Dall’arte astratta all’informale, dai giochi dadaisti alla scrittura automatica surrealista, da Duchamp alla musica di Cage, il caso viene posto come elemento base della creatività. Nelle ultime opere il caso, come un fiume sotterraneo sembra percorrere da cima a fondo le sue immagini. Puntare sul caso per poi controllarlo e dominarlo può significare anche saper gestire l’entropia, rendere operativo il dionisiaco e il caos che è dentro di noi per poterlo plasmare prima di raggiungere la giusta forma.
Se l’arte, come ha sostenuto Beuys, è la vera scienza della libertà, ora l’artista per dimostrare di saper gestire un reticolo di elettroni, deve riuscire a compensare pulsione improvvisa e ordine, gesti razionali ed irrazionali. Noi spettatori, che con lo sguardo partecipiamo alla definizione dell’opera, veniamo catturati e trascinati immediatamente al suo interno ed abbiamo subito consapevolezza che le felici intuizioni dei futuristi italiani su “il tempo e lo spazio morirono ieri”, mai come oggi si sono avverate. Nella produzione di queste opere viene abbattuta ogni barriera: tutti i problemi riguardanti l’immagine, la superficie, la struttura, il contesto vengono esaminati all’interno di nuove ipotesi sul tempo, lo spazio e la memoria.
L’artista, con sfolgoranti e paradisiaci squarci di materia colore, crea un metafisico mondo alla rovescia in cui non vi sono più oggetti “che nuocciono alla pittura” o immagini fisse a cui fare riferimento. Non c’è più un vuoto da riempire, perché lo spazio tradizionale, in cui inserire dei pieni, non ha più senso. Possiamo immergerci al centro di questa materia fluida senza gravità, pensare ai buchi neri dell’universo, fluttuare in una seconda realtà fatta di grafismi e pennellate e navigare, galleggiare con insostenibile leggerezza in tutte le possibili ed infinite direzioni.
Il colore è anche luce in movimento all’interno del continuum di una materia virtuale; senza limiti proseguiamo con il nostro sguardo in questo magma informe. Non esistono più centro e periferia, perché sensazioni ed emozioni rendono plastica la nostra mente, dilatandola verso territori apparentemente distanti dalla nostra cultura visiva. Del resto, nell’epoca del multiculturalismo, solo l’azione globalizzante dell’arte, accomunando tutti i popoli e tutte le culture, superando ogni confine geografico e mentale, può farci conoscere l’Umanità.
Osservando le opere di Cutuli esposte in questa mostra, ognuno quindi può fare un viaggio, un’esperienza soggettiva del vedere: visibile ed invisibile, spazio reale e spazio virtuale, realtà e sogno sono interscambiabili. Forme e immagini sembrano contenere uno spirito vivo, non sono importanti in quanto tali ma per la loro risonanza interiore.
In questa esplosione di colore artificiale, terra e cielo si incontrano: mare e sabbia, rocce antiche ed arenili, orizzonti di nuvole e cieli celesti si spalancano davanti ai nostri occhi, come quando si osservano le antiche volte dell’architettura barocca, decorate da squarci di pittura paradisiaca, che aprono lo spazio a forme dinamiche e trasmutative.
Gli opposti estremi di questi suoni e rumori della forma, che “agisce” dall’interno verso l’esterno, colpendo la nostra retina e la nostra psiche, sono i neri profondi e i colori accesi che esprimono fiamme di passione e dramma, tensione e movimento, quiete e serenità.
In questo cosmo di essenze spiritualmente attive il mondo risuona e la materia, che sembra morta, con il gesto dell’artista diventa spirito vivo, consentendoci di recuperare, di svegliare anche la nostra risonanza interiore. Come non pensare allora a Kandinskij quando sosteneva che “:..La forza che muove lo spirito umano sulla libera via che sale e procede è lo spirito astratto che naturalmente deve “farsi udire” e essere udito”.
Queste opere sembrano contenere la pacificazione di ogni interiore dissidio, posseggono un’energia vitale che non è completamente descrivibile. L’arte, come l’amore, non può essere spiegata con le parole, appartiene al divenire stesso della vita.
Lasciamoci quindi trasportare in questo viaggio, in questo labirinto dell’inconscio, per poter respirare e sognare, per poter sviluppare la nostra capacità di vedere e pensare, facendo aleggiare lo spirito intorno a noi.
Enrico Sconci Direttore del MUSPAC