Gennaio - Dicembre 2001
Caro Tullio,
mi sembra ancora di sentire la tua voce al telefono e ti vedo dall’alto di quella vetrata costruita nel soppalco della galleria
di via Crispomonti, che mi serviva da “spioncino” per controllare l’ingresso. “Sono Tullio…” dicevi con la tua voce fioca
e un po’stridula, così come amava imitarla il tuo caro amico Ivan Barlafante, che come tanti affezionati studenti, oggi è
divenuto un bravissimo artista. A L’Aquila, in questa città pigra ed ottusamente chiusa alle novità dell’arte contemporanea,
hai avuto tanti amici e proseliti, riuscendo a lasciare un’importante memoria della tua breve ma intensa e singolare esistenza.
Ricordo con piacere quando passavi a trovarmi nelle gelide stanze della . galleria del Centro Multimediale “Quarto
di Santa Giusta”, sul cui nome abbiamo spesso scherzato, soprattutto quando un giorno due suorine, che passavano sempre
per quella via prima di rientrare al convento, avendo più volte visto sul portone la scritta multimediale e una tenda
nera, che serviva a non far entrare il freddo, mi dissero timidamente e un po’ scandalizzate: “ma qui che fate delle sedute
spiritiche?”. Dovetti rassicurarle, ma in effetti, se non proprio di sedute spiritiche, si trattava di conferenze ed incontri con
diversi spiriti di artisti nomadi come il tuo. Ne abbiamo organizzate molte, tutte vissute intensamente.
Ed il tuo spirito è stato per me di grande aiuto, soprattutto quando con studenti e studentesse più “aficionados” si parlava
d’arte e dei tuoi “Uffici per l’immaginazione preventiva”. Si faceva tesoro della tua esperienza artistica e del tuo grande
senso dell’humor di duchampiana memoria, che mi manca molto perché faceva stare tutti di buon umore.
Quando tornavi da Roma potevo essere aggiornato sui nuovi eventi, soprattutto sulle ultime mostre romane, che spesso
arricchivamo con qualche sano e piacevole pettegolezzo.
Conservo gelosamente nell’archivio del Museo alcuni tuoi rari cataloghi, ma soprattutto il giornale “Aut.Trib.17139”, che
avevi fondato in collaborazione con Carmelo Romeo. I numeri che mi hai regalato e che generosamente donavi anche
agli studenti più interessati, li espongo spesso insieme ad altri “cimeli”: quando li sfoglio sento ancora quel buon odore di
muffa che mi porta indietro nel tempo, agli anni della contestazione, dell’università, delle speranze e delle utopie.
La grafica, gli artisti, i saggi erano belli “tosti”, con grandi riflessioni critiche: parlavate di arte concettuale, quindi della
natura dell’arte e di linguistica ma anche di quell’ ”Arte Ideologica”, di quella pittura di idee che aveva fortemeente caratterizzato
gli anni ’60 e ’70 di cui tu, con grande lucidità, sei stato uno dei principali protagonisti. Ho ritrovato anche le
bozze dei testi che scrivesti per i primi numeri della rivista “Art E TrA”. Mentre li rileggo vedo anche le foto della mostra
“Histoire d’oeil- Glaucomi” che con Carmelo Romeo avete realizzato nel 1988 nella galleria di via Crispomonti. Riconosco
i volti di tutti gli studenti che hanno attraversato quello spazio, anche per le performance che venivano ideate da Fabio
Mauri. Li incontro spesso nelle varie mostre, alcuni di loro sono divenuti artisti: tutti ti ricordano con grande rimpianto.
Ora molti brani della tua esistenza sono mirabilmente testimoniati nel catalogo e nelle bellissime mostre che Gabriele Di
ha organizzato per te.
La tua amicizia mi ha aiutato molto nel lavoro: nei primi anni mi sei stato di grande sostegno psicologico e morale, soprattutto
quando con Gianni Fileccia e Laura Cherubini decideste di organizzare, nel mese di settembre del ’95, la manifestazione
“Ad Usum Fabricae” negli spazi del Museo che con l’associazione avevamo appena aperto nella ex sede
dell’Accademia di Belle Arti.
Fu quella per me una grandissima occasione, perché tutte le stanze si riempirono di artisti di livello internazionale come
Luciano Fabro o Enrico Castellani, che aveva insegnato nei primi anni ’70 proprio in quelle stesse aule dell’Accademia.
L’installazione dell’opera di Kounellis diede molto rilievo alla mostra, così come le opere di Nunzio, Accardi, Baruchello
ed altri ancora. Tutti artisti che accettarono il tuo invito perché avevano una grande stima del tuo lavoro e del tuo talento.
Ho sempre invidiato poi il rapporto che eri riuscito ad avere con gli studenti, molti erano talmente attratti dalle tue idee
da seguirti anche nel comportamento, nel tuo modo di esistere.
A volte eri ipercritico nei confronti dell’arte e della società; eri sempre lucido, ironico e distaccato dai quei problemi giornalieri
che normalmente attanagliano tutti. Affrontavi le giornate con un certo disincanto e sembravi guidato da una folle
saggezza: da quella “libertà d’indifferenza” che rimane dopo la conoscenza. Quella sorta di “leggerezza dell’essere”, quel
tuo vivere alla giornata, che capisco solo ora, faceva parte di una visione più ampia del mondo che appartiene solo ai
grandi artisti.
Ho letto lettere e ricordi stupendi nel catalogo che ti è stato dedicato, con tutti sei riuscito ad avere rapporti umani molto
intensi e vissuti in profondità, come con il tuo caro amico Marcello Mariani, da cui ti recavi spesso e che fino alla fine ti
è stato sempre vicino.
Quando in Accademia dividevamo l’aula, parlavi spesso con grande competenza di Warhol e Duchamp, di cui citavi spesso
la famosa frase: “non c’è soluzione perché non esiste problema”. Negli ultimi tempi ti vedevo un po’ preoccupato ed
infastidito dal dover portare il telefonino perché dovevano chiamarti da Bologna per l’operazione.
Ti trovavi indubbiamente meglio con la tua piccola agenda piena di appunti, con numeri di telefono giganti e scarabocchi:
era un autentico capolavoro perché somigliava molto ai tuoi quadri. La dimenticavi ovunque, nei bar, a casa di amici,
più di una volta in galleria.
Ricordo che in una fredda giornata aquilana tornasti a prenderla: dopo essere stati per lungo tempo insieme, ti avviasti
velocemente lungo gli sdruccioli di via Crispomonti. Era tardi, ti recavi dai tuoi amici studenti che con grande calore ti
ospitavano, facendoti sentire “a casa”.
Da allora è passato molto tempo, ma sono certo che la memoria di te, della tua arte e della tua vita, durerà ancora a
lungo.
Enrico Sconci
(L’Aquila, 4 dicembre 2000)