11 Dicembre 1998 - 9 Gennaio 1999
TIVOLI AMA LA CITTA’. Aniene percorsi del senso, dieci artisti contemporanei per Tivoli.
Tivoli sala Convegni Hotel Torre S.Angelo – Presentazione dell’Itinerario artistico, archeologico, storico e naturalistico L’Aniene da Ponte Lucano alla Vestale Cossinia.
Presentazione della rivista Art e tra dedicata al progetto e presentazione dell’opera editoriale Elogio alla Luce pretesto: Il sepolcro dei Plauzi – Tibur di Pino Usicco.
ARTISTI PARTECIPANTI:
MarcoVinicio Carelli – Italo Carrarini – Franco Fiorillo – Emilio Morandi – Antonio Picardi – Gian Luca Proietti – Vincenzo Rusciano – Roberto Soldati – Silvia Vendramel – Piero Viti.
IL PERCORSO DELLE MEMORIE
Continuando il nostro viaggio nei dintorni di Roma, siamo arrivati a Tivoli: la città delle delizie romane, dove natura ed arte entrano in mirabile combinazione.
Ancora una volta ci troviamo di fronte alla straordinaria bellezza di un paesaggio naturale, con i suoi elementi archetipi: la cascata del fiume Aniene, le grotte di “Nettuno” e delle “Sirene”, i ruderi delle grandiose Ville romane, il Santuario di Ercole Vincitore, i Ponti, i Templi dell’Acropoli. Tutto questo sembra immutabile: è garanzia di una stabilità delle idee e perciò si offre a quella percezione simbolica immediata, che collegata ad identità collettive ed individuali, diventa fondamento per il mito della memoria, strettamente connesso alla morfologia dell’ambiente. Ovunque si avverte una “sacralità naturale”: sono questi i luoghi privilegiati della ierofania che rimandano al simbolo di “centro del mondo”.
In questo locus amoenus si stabilisce la comunicazione con il cielo, ed è sempre possibile, sullo sfondo dell’ otium latino, trovare la proiezione di un fantastico, quanto potenziale, paradiso perduto.
Come nella descrizione di Zaira fatta da Calvino nelle sue Città Invisibili, “Tibur” contiene il suo passato come le linee di una mano. Fondata cinque secoli prima di Roma, questa “città immune” ha spinto l’immaginario di moltissimi poeti ed artisti. Quando l’aspetto di Roma divenne misero ed antiquato, qui tutti potevano rifugiarsi per sviluppare, attraverso l’arte, una nuova visione del mondo.
In questi stessi luoghi, descritti nelle “Lodi” di Orazio, il grande imperatore Augusto, negli ambulacri del famoso Tempio d’Ercole, amministrava la giustizia, mentre nel Tempio di Vesta si celebrava il culto del Sacro Fuoco.
Le Ville, costruite ed abitate da imperatori e letterati dell’antica Roma, che sono conosciute in tutto il mondo, anche per essere state soggetto di moltissime opere d’arte, accrescono lo splendore di un luogo che forse non siamo neanche degni di ereditare. Già, perché dinanzi a tanta grandezza la prima sensazione è quella di provare vergogna per tutti gli errori che dal punto di vista ambientale sono stati prodotti in questo secolo, con l’alibi del “progresso”. Gli antichi lavoravano per l’eternità, ma purtroppo non avevano calcolato la follia dei devastatori che sono riusciti a fare quello che neanche i barbari hanno avuto il coraggio di pensare.
Fortunatamente ancora molto è rimasto, tanto che avendo dinanzi agli occhi tante meraviglie sembra di rinascere; ogni volta rimettiamo in discussione le nostre idee per lavorare su nuovi progetti, con quel modus operandi proprio dell’arte che deve continuamente rinnovarsi dal di dentro per tenersi in vita.
Questo nuovo progetto collettivo “Tivoli ama la città” ci trova tutti uniti. Ciò che viene documentato in queste pagine è solo l’avvio di un programma di lavoro molto ampio, data la vastità del patrimonio monumentale che merita quotidianamente di essere conosciuto, tutelato e valorizzato e che il Comune di Tivoli, con la Regione Lazio, le Soprintendenze e tutti gli altri enti interessati, ci auguriamo possano continuare, anche in futuro, a sostenere.
E’ un lavoro costruito insieme ad artisti, architetti, associazioni di base, liberi professionisti ed amanti dell’arte, con la corale adesione di molte istituzioni e con collaborazioni che continuano ad arrivare, prime fra tutte quelle del mondo scolastico.
Tutto questo non può che riempirci di orgoglio: significa che c’è grande amore e consapevolezza per quello che si rischia di perdere. Piani urbanistici, leggi e normative evidentemente da soli non bastano, occorre ritrovare valori materiali e spirituali su cui fondare una nuova cultura, per salvare il patrimonio inestimabile della nostra nazione, che tutto il mondo ci invidia.
La stessa “Tibur” non colpisce tanto per la natura o i suoi monumenti, quantunque esemplari, ma per la potenza che questi rivelano ed emanano. Dove infatti nascono templi o luoghi sacri c’è sempre stata prima una potenza che è centro di vita, a garanzia del gruppo che in tale luogo si insedia. E’ quindi uno spazio proiettivo che offre la forza per superare le difficoltà dell’esistenza, una mappa mentale che tutti i cittadini di Tivoli hanno, per primi, la responsabilità di custodire e difendere.
Per difendere il territorio bisogna però armarsi di quella stessa sensibilità spirituale ed artistica che possedevano gli antichi, così come, per comprendere il significato profondo di questi luoghi, bisogna avvicinarsi il più possibile a quella sacralità propria dell’arte che li ha resi unici. Solo allora potremo evitare gli errori che sono stati commessi in passato, superare “quell’inverno dello spirito”, di cui parlava Adriano e ricostruire quell’unità culturale e spirituale che rischia di disperdersi o frantumarsi. Dobbiamo continuare questa specie di percorso iniziatico che già da tempo abbiamo intrapreso, proprio alla ricerca di una nuova conoscenza meditativa e critica allo stesso tempo, accostandoci al passato e sviluppando una sorta di “filosofia del ritorno”, idealmente riferito a quello stesso ritorno di Adriano nella sua Villa, dove raccolse le sue memorie.
Per comprendere lo spirito di Villa Adriana credo si debba rileggere con cura lo stupendo libro di Marguerite Yourcenar “Memorie di Adriano”. In queste pagine, ho trovato il senso di quello che ritengo debba essere il nostro lavoro all’interno della società.
Nella sua Villa Adriano aveva creato una città in scala ridotta: aveva raccolto e riprodotto le meravigliose opere dell’antichità che aveva incontrato nei suoi viaggi. In questo microcosmo aveva incluso i posti che simboleggiavano gli immortali Campi Elisi con giardini ed edifici maestosi. Rievocò ciò che aveva ammirato in Egitto, ma rimase meravigliato soprattutto dalle acropoli della Grecia, che con il germe del suo pensiero aveva fecondato il mondo.
Costruire, significava per lui “collaborare con la terra, imprimere il segno dell’uomo su un paesaggio che ne resterà modificato per sempre”, così come ricostruire significa “…collaborare con il tempo nel suo aspetto di “passato“,coglierne lo spirito o modificarlo, protenderlo quasi, verso un più lungo avvenire; significa scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti”.
La sua Villa era “…la tomba dei viaggi, l’ultimo accampamento del nomade. Ogni pietra era l’espressione di una volontà, d’una memoria o di una sfida. Ogni edificio sorgeva sulla pianta di un sogno per cercare di vivere il più possibile tra le melodie della forma.”
Adriano contava disperatamente sull’eternità della pietra, ma si battè per evitare che Roma divenisse una città pietrificata. Il suo ideale era racchiuso nella bellezza delle città che aveva fatto costruire, per lui l’arte smise di essere un lusso e diventò una risorsa, la sentì come una forma di soccorso e si sentiva responsabile della bellezza del mondo. Voleva che le sue città fossero splendide, “piene di luce, irrigate d’acque limpide, popolate da esseri umani il cui corpo non fosse deturpato né dal marchio della miseria o della schiavitù, né dal turgore d’una ricchezza volgare…” voleva “…che l’immensa maestà della pace romana si estendesse a tutti, insensibile e presente come la musica del firmamento nel suo moto; che il viaggiatore più umile potesse errare da un paese, da un continente all’altro, senza formalità vessatorie, senza pericoli, sicuro di trovare ovunque un minimo di legalità e di cultura; che i soldati continuassero la loro eterna danza pirrica alle frontiere; che ogni cosa funzionasse senza inciampi, l’officina come il tempio; che il mare fosse solcato da belle navi e le strade percorse da vetture frequenti; che, in un mondo ben ordinato, i filosofi avessero il loro posto e i danzatori il proprio. A questo ideale, in fin dei conti modesto, ci si avvicinerebbe abbastanza spesso se gli uomini vi applicassero una parte di quell’energia che van dissipando in opere stupide o feroci”.
Queste riflessioni, come la sua Villa, sono un grande monumento.
I viaggi che abbiamo fatto a Tivoli per preparare questo lavoro, anche per noi hanno rappresentato idealmente, come per i viaggiatori del “Grand Tour”, dei “viaggi della memoria”. Tutte le persone che hanno visitato questi luoghi credo abbiano provato la sensazione di essere spinti indietro nel passato, immaginando la presenza di guerrieri o imperatori. Questo già sapeva Adriano quando faceva puntellare le mura dei suoi grandiosi templi “ancora calde del contatto dei corpi scomparsi; mani che non esistevano ancora avrebbero accarezzato i fusti di quelle colonne”.
L’idea del grandioso colpì particolarmente Goethe nel suo “Viaggio in Italia” , punto di passaggio obbligato tra l’epoca che vide la fine del Grand Tour e l’apertura dell’età del turismo laico e di massa , “…I resti del grandioso acquedotto impongono rispetto. Che bello e grande scopo quello di dissetare un popolo per mezzo d’una così colossale costruzione” e poi dinanzi al Colosseo “…Quando si vede questo monumento, tutto il resto sembra piccolo. E’ così immenso che la mente non può ritenere l’immagine della sua grandiosa vastità. Si finisce per ricordarlo più piccolo e, quando ci si ritorna, si ritrova nuovamente più grande.”
La vastità monumentale delle sacre rovine romane meravigliò anche l’ateo Stendhal, che voleva inginocchiarsi in atteggiamento di preghiera per leggere le epigrafi come un testo sacro. Allo stesso modo Charles Dickens sosteneva che i ruderi vanno contemplati in silenzio e in solitudine come un altare sacro. Un rapporto quindi di contemplazione estatica e di abbandono che avevano tutti i viaggiatori del “Gran Tour” dinanzi alle grandiose vestigia romane: una dimensione sconfinata e incommensurabile, che oltrepassa il reale e diventa metafisica.
Tutto ciò possiamo avvertirlo anche a Villa d’Este che, costruita nel 1544 per il Cardinale Ippolito d’Este da Pirro Ligorio, esprime compiutamente l’ideale rinascimentale del giardino all’italiana. Nei meravigliosi “giardini segreti” la natura viene plasmata e diventa docile serva dell’opera umana. Quando furono inaugurati “si levò melodica la voce delle canne” della Fontana dell’Organo, l’ultima trovata del secolo. Oggi in tutti questi luoghi il silenzio regna sovrano, tutto è ridotto all’ essenzialità, tutto l’ambiente si offre nel pieno splendore della sua verità, perché in esso troviamo l’essere stesso.
Per carpire queste sensazioni dobbiamo ancora una volta entrare nella stessa sfera in cui agirono le Muse che non a caso furono create da Zeus, bisogna sintonizzarsi con il loro canto che celebra soprattutto il mondo degli Dei. In esse dimora e nasce il linguaggio. Perciò tutto quello che è originario è misterioso, sacro.
Negli uomini che hanno creato queste opere grandiose doveva esserci un dialogo continuo con gli Dei, per questo le loro statue facevano sempre riferimento a delle divinità. Senza spiritualità tutto in realtà sarebbe impensabile.
Possiamo scorgere le bellezze del mondo solo se queste si trovano nel nostro animo, nel nostro orecchio interiore. Risuonano ancora le parole di Goethe: se non vivesse in noi la forza propria del dio, Come potrebbe il divino incantarci?
Solo se siamo in grado di ascoltare, possiamo avere la capacità di parlare e creare, con originaria purezza.
Enrico Sconci