20 Maggio - 30 Giugno 1997
Mostra di fotografia, presentazione di Enrico Anselmi.
“NO COMMUNICATION”
Solo è l’uomo di fronte alla distruzione etica che ha perpetrato, nell’incomunicabilità dei gesti convenzionali; non vive se non come svilita immagine di se stesso che soltanto esteriormente ha conservato barlumi dell’originaria umanità. Franco Belsole riconosce, indaga, studia questa realtà; lo fa carpendo immagini senza storia, singolarmente antinarrative ma allo stesso tempo parti interconnesse, fotogrammi di una antimitologia contemporanea che all’esaltazione eroica ha sostituito la lucida visione della mancanza, della non presenza.
Secondo il processo negativo, del togliere, si profila quel poco che la sofferenza e il disagio psicologici hanno risparmiato dell’intima integrità; l’io ne esce fortemente decurtato, costretto a vivere drammatiche pantomime, farse senza vera azione, nel continuo terrore dell’epilogo imminente. Belsole coglie questa tensione, questa minaccia che persiste e si impone, dapprima subdola e latente per poi diffondersi e ammorbare l’aria quale “conclamata epidemia”. Sue vittime sono persone viste in controparte, riflesse, talvolta senza volto, isolate da barriere reali o fittizie, create dalla psiche come alibi alla non comunicazione. Le linee, ombre metalliche passanti o tangenti rispetto a sagome inanimate, sono i confini urbani implacabilmente ricercati in ogni immagine, perchè in essi si concretizzano altrettante barriere mentali. New York, metropoli del villaggio globale, è assunta quale emblematico centro, capitale cosmopolita, surreale congerie di frammenti estrapolati dal reale.
Rispetto alla totalità, tuttavia, si opera una sorta di astrazione, di cosciente visione selettiva della realtà come è giusto che sia poichè l’occhio, che per propria virtù osserva non passivo, opera una cernita di quanto gli scorre di fronte. La porzione sulla quale si sofferma è parte di un più esteso totale ma nella sua limitatezza contiene in sè una già compiuta pregnanza; nella fattispecie l’immagine fotografica va al di là degli approcci più superficiali, per isolare da tutto il resto e in tal senso è astrattizzante l’intimo dell’umana decadenza collettiva e personale poichè micro e macrocosmo sembrano combaciare.
Belsole non persegue illusive quanto distraenti sofisticazioni tecniche, l’ambito della sua ricerca tematica non ne ha bisogno, ma con maniera smaliziata pone lo strumento fotografico nella condizione di soddisfare raffinate esigenze, di raggiungere mezzicampi, piani ravvicinati dove superfici riflettenti si affermano come interlocutori visivi, che introducono, che invitano a forzare lo spazio fittizio della visione, rendendo allo stesso tempo quasi inarrivabile il soggetto ritratto, oggettivamente vicino e presente ma idealmente lontano. E misura di questa distanza, di questo rallentato flusso di vita, è lo spazio. Considerato come luogo dei fenomeni fuori dall’uomo, è teatro del compiersi di seriali consuetudini e asettica dimensione in cui ciò che è reale coincide con quanto si vede o si ricorda o semplicemente è stato immaginato, confusi nella sequenza dell’alienazione.
Enrico Anselmi