8 - 22 Marzo 1997
Parlare dell’opera di César Gala, un europeo spagnolo, come ama definirsi, è, per colui che pensa la critica non in termini strutturalistici o logici, ma bensì motivazionali, sia nel senso storico (non storicistico) di formazione delle immagini e sia nel senso analitico di elucidazione della motivazione personale, esemplare.
Esemplare come paradigma didascalico e teoretico: che i suoi quadri rendono ragione di alcuni punti critici che senza di essi rimarrebbero mere chimere. Punti sui quali ci piace indugiare perchè vivificano la morta critica. Ci piace per esempio vagare con la mente e la fantasia sulla biografia di Gala: spagnolo, madrileno, avviato agli studi della legge, laureatosi, abbandona la carriera civile, si trasferisce a Roma e qui dà inizio alla sua vera vita d’immaginazione, di luce, di fantasia ed anche di crescita, approfondimento personale e lotta col demone di sè stesso.
Sembrerebbe la descrizione biografica di un eroe romantico e gotico del secolo scorso, ma così non può essere, poiché rispetto a quell’eroe César Gala possiede una virtù teologale in più, non inserita nei moderni catechismi, ma indubbiamente molto vicina al Dio dei moderni più che al Dio degli antichi: l’ironia. Ironia, ovvero interrogare e dire facendo in modo che ogni dissimulazione cada e che irrompa la viva luce dell’occhio ridente del demone primario.
Ed allora l’ironia è la lysis che scioglie il sogno ed il quadro, l’architettura che trasforma la galleria in un caffè ed il caffè nell’antro di Museo, dove Mnemosyne sorride ascoltando il sottile rumore di pezzi di seta lacerati agognando il ritorno.
L’ironia del nuovo organo pittorico: l’occhio liberato, che sulla tela edifica, illumina, proietta, colora affetto e visione. L’ironia del nuovo mondo che rinasce dall’antico millennio, che è finito e bisogna che non torni. Poichè a questo siamo di fronte: ad un artista che appartiene di già al prossimo evo, in virtù del possesso di un organo: l’occhio, tuttaffatto capace di forme di esplorazione dello spazio-tempo che non appartengono più all’eone passato. Si osservi “Il Palazzo Famese” il quale è abitato solo dall’occhio, infatti il movimento plastico sembra essere creato dallo stesso organo visivo che agita, colora e fa scintillare tutto il palazzo; è appunto un occhio che si è liberato dall’angoscia dei già scorsi moderni, è un raggio che abolisce la geometria euclidea e cubista insieme al modo di percepire espressionista e si proietta nel saeculum novum con forza cinetica e potenza rigeneratrice, con la fantasia di chi immagina nuovi mondi e poi li scopre veramente. Si tratta infatti qui, non più di osservare la realtà nelle sue strutture fisiche, ma trascendentali, di una trascendenza paradossalmente sensuale, composta di fili di luce e laghi d’ombra che il pittore compone con occhio liberato. L’artista ha infatti scelto la spettacolarizzazione della propria differenza, ha dato forma strabiliante a Roma, dove l’elemento visivo vuole diventare recupero e allo stesso tempo una nuova identità e utilizzazione della città. Gala ci mostra “La sua Roma” differente ed originale.