07 Dicembre - 15 Gennaio 1996
Ricerca e sperimentazione rappresentano i fili conduttori lungo i quali si muovono le esperienze creative degli artisti presenti nel Museo d’Arte Contemporanea dell’Aquila. Dentro tale dimensione, aperta all’esplorazione e all’innovazione, si collocano le numerose mostre allestite presso tale struttura -diretta da Enrico Sconci in oltre dieci anni di attività. In continuità con i criteri appena esposti si colloca dunque la rassegna antologica Vessilli d’Amore dell’aquilano Sandro Visca, artista impegnato, dalla fine degli anni ’60, nella realizzazione di un proprio personale e originale percorso.
E appunto da quel periodo Visca parte per raccontare alcune tappe significative della sua evoluzione culturale. La prima domanda, in particolare, concerne i rapporti tra la sua produzione e quella contemporanea. “Penso che sia difficile collocarmi, definirmi come artista, anche se mi sento contemporaneo. Parlerei di distanza. Il mio modo di esistere e di essere mi ha portato a cercare e infine a trovare un alfabeto personale. Per tale tipo di scrittura non è semplice trovare riferimenti precisi dal punto di vista formale, mentre per quanto riguarda i contenuti non spetta a me dire se sono riuscito negli intenti. Non ho interesse per alcuna moda o movimento; anzi in alcuni momenti, per il voler tendere verso il mio obiettivo, sono stato escluso da alcune situazioni operative. Sono un pittore anomalo che viaggia al di fuori. Molti critici hanno usato gli aggettivi antropologico e etnico per connotare le sue produzioni. “Me ne sono andato dall’Aquila a venti anni: a quei tempi non c’era l’Accademia ma neppure una galleria, nessuna possibilità operativa; ancora oggi l’Amministrazione non offre contributi, non sostiene il settore delle arti visive e in generagli artisti in Abruzzo. Mi sono spostato di frequente: a Roma, a Torino, a Pescara dove risiedo attualmente e dove insegno. Ritornando al discorso precedente, ho bisogno di poter scegliere autonomamente, in libertà totale: per cucire, per fare un quadro, per vivere la mia avventura, anche se questo comporta talvolta l’isolamento. Certo rimango un montanaro: ritengo che tutto venga dal vissuto personale, una sorta di stratificazione culturale che segna l’appartenenza. Questa curiosità mi ha spinto a conoscere la filosofia e la letteratura del Gran Sasso, una sorta di recupero delle origini”. Sorge naturale, a tal proposito, l’associazione con due elementi: il maestro dell’informale Alberto Burri e il cortometraggio “Un cuore rosso sul Gran Sasso”.
“Ho realizzato le scene di Burri per una rappresentazione del ’69, tra le quali una traduzione del “Grande Sacco” su bozzetti dell’artista. Ero allora troppo giovane, ho digerito con ritardo l’influenza di Burri. Comunque sono stato legato, anche in seguito, da rapporti di amicizia con lui; in particolare ci accomunava la passione per la caccia. Riguardo all’esperienza cinematografica, essa rimane un incompiuto. Manca ancora il montaggio”. Oltre le inevitabili polemiche, oltre le parole, oltre le dichiarazioni di intenti, rimangono le produzioni di Sandro Visca che rientrano a pieno titolo nell’ambito pittorico, ma lo trascendono con altrettanta forza. Lavori che colpiscono, con prepotenza, sia attraverso la composita varietà dei materiali manipolati (stoffe, legno, ferro, pelle, terracotta, vetri), sia mediante la forza cromatica, sia per le dimensioni e la forma. “La scelta dei materiali dipendeva una sensibilità individuale, non va letta sul piano formale, estetico: non hanno una funzione decorativa. Nelle mie opere il rapporto uomo interno/uomo esterno viene riprodotto dalla presenza di una parte superiore ed esterna e di una parte; sotterranea, più complessa e caotica, che rimanda. C’è una parte sia interna che esterna di contenuto”. Tra le giovanili pupazze, i recenti vessilli d’amore, gli asparagi lignei, la nostra attenzione si sofferma sugli arazzi cuciti che testimoniano un periodo di attività che va dal ’75
all’85: tutte le opere comunque scandiscono l’evoluzione, la costante ricerca, la capacità di rinnovarsi di Sandro Visca, segnate dal mistero ma, anche dall’ironia. “I primi lavori sono più totemici, più magici, più pungenti, anche più cattivi -ad esempio le pupazze- poi mi sono spostato verso il favolistico. Ho capito che se le cose erano più dichiarate, più esplicite, le persone ne erano spaventate e le respingevano, mentre io voglio avvicinare le persone. Quindi mi sono orientato verso l’immaginario. Il tentativo è di prendere una persona e poi di farla riflettere. Le opere rimangono aperte, non c’è niente di compiuto: ognuno può trovarci una soluzione personale”. (L.F.)
Dalle “Pupazze” alle “Tempeste” “Vessilli”, l’arte di Visca nasce da sogni da sveglio
Situata a metà strada tra una velata ironia ed una fiaba amara dipinta o scolpita per soli adulti, l’arte soft di Sandro Visca nasce direttamente da quei sogni fatti da sveglio, in cui realtà e fantasia sono coscientemente ibridate. Non tanto per sfuggire all’inquietante scenario esistenziale che ognuno di noi deve quotidianamente affrontare, quanto per sovrapporre allo stesso una realtà “altra” impastata di gioco e di sogno, mediante una spinta e benefica manipolazione simbolica. Ed in “Vessilli d’amore” (mostra antologica 1969-1996, al Museo Sperimentale fino al 31 dicembre) gli ingredienti per confezionare una liberante e liberatoria inversione di rotta, ci sono tutti. Ad iniziare dai materiali d’uso comune come legno, stoffe, spaghi, carte, pelli, chiodi, rivitalizzati da Visca nei loro inusuali ed inusitati assemblaggi pronti a carpire da una natura in via di estinzione, l’ultimo volo di uno sgraziato uccello, il viaggio senza meta di una fragile barchetta, il tonfo di una stella o il sussulto fallico di un asparago. Se pochi sono gli ingredienti di queste strane creature oniriche di solito graficizzate nelle sagome di elementari volumetrie plastiche, sapiente è, invece il cortocircuito immaginifico scatenato da “Paesaggi” soffici come zucchero filato (ora fatati, ora con nuvole, ancora. pericolosi), da quelle inquietanti “Pupazze” degli anni Settanta, da piccole e grandi “Tempeste” pronte ad esplodere da un momento all’altro. Non c’interessano in questa sede i tanti rimandi antropologici rintracciabili tra l’altro nell’esasperata manualità impressa ad ogni singola opera, quasi che il testardo fare dell’artista- artigiano Sandro Visca consenta di esorcizzare la galoppante dematerializzazione della realtà..
Siamo invece attratti dall’incredibile energia sprigionata dalla sua coinvolgente foresta simbolica, dai tratti dichiaratamente infantili in cui l’incantesimo della meraviglia riesce a rovesciare le situazioni più difficili o scabrose. Per queste ragioni inseguiamo con partecipazione le libidinose spirali di ”Volo erotico”, con rammarico la rovinosa “Caduta di lucciole in amore” e con un pizzico di curiosità la scoperta degli innocenti segreti nascosti in questo o quel “Ripostiglio”. Riandare, come fa Visca, nella soffitta della memoria, senza alcun disincanto, ma con rinnovato stupore, significa semplicemente rinominare cose ed oggetti, storicamente deturpati da un devastante progresso tecnologico. Per cambiare il segno negativo in positivo, occorre così semplicemente riscoprire il gioioso sventolio virtuale di questi araldici “Vessilli d’amore” in cui sono magicamente cucite le disarmanti icone di un imperterrito surrealista fuori le righe.
Antonio Gasbarrini
“Il Messaggero”,10 dicembre 96