29 Ottobre - 10 Novembre 1994
Come è nostra consuetudine, il Centro apre ancora una volta le porte della galleria ad un giovane artista diplomatosi all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila. Per il tipo di lavoro svolto con continuità e con scelte coerenti, condotto ormai da più di dieci anni dalla nostra associazione, non è un caso che giovani talenti come Antonello Santarelli scelgano di esporre in uno spazio inteso come una grande stanza di lavoro, un laboratorio di ricerca e sperimentazione di nuovi linguaggi. In questa stanza, dove le idee vengono esplicitate in “segni”, con Antonello abbiamo parlato a lungo del significato dell’installazione, del modo cioè di segnare uno spazio dato (in questo caso una stanza di m.7,50 x 7,50), in perfetta sintonia con alcune tendenze della ricerca artistica contemporanea. L’idea iniziale ha subito in relazione allo spazio una lenta metamorfosi, un aggiustamento e controllo che conduce ad un risultato soddisfacente, anche se, come del resto è la ricerca, mai conclusivo. Sono propenso a pensare infatti che l’arte è il tutto non la parte, ed esiste come idea che genera altra arte. E’ per queste considerazioni che sentiamo particolarmente vicini gli artisti che, come Antonello, lavorano sul significato e non sulla forma, che espongono quello che non c’è, cioè l’invisibile, tutto quello che sta a monte della forma. Ecco allora che in questa video installazione l’arte è intesa come un grande teatro dell’assenza e della presenza: un modus operandi, inteso come fatto mentale, riferito a tutta quell’arte che da Duchamp in avanti non può che essere, per sua natura, concettuale. Con tali presupposti Antonello Santarelli dimostra di sapersi muovere con grande agilità e di saper osservare, di prestare attenzione critica a quanto avviene oggi in arte. Questa attenzione non può che riferirsi ovviamente a molti artisti, a cominciare da Fabio Mauri, docente della nostra Accademia aquilana, ma anche alle installazioni di R.Wilson, a Cage, Buys, e quindi ai movimenti degli anni ’60 a 70 come Fluxus, Arte Concettuale, Arte Povera, Comportamento. Fare ora delle riflessioni critiche piu vicine al senso generale dell’installazione in questione, significa inevitabilmente essere parziali e riduttivi nei confronti della polisemia dell’opera d’arte. La scrittura infatti per forza di cose è un linguaggio altro nei confronti dell’opera: non la spiega ma le corre accanto. Azzardo tuttavia il mio parziale punto di vista. Lo spazio della galleria è sezionato virtualmente a metà: da una parte il territorio artificiale, con il polistirolo che copre la superflue della terra, e il performer Luigi Verini che fa corpo unico con il televisore (un corpo non vedente, inutile, abbandonato, condannato e incosciente), dall’altra un gigantesco arco in tensione, pronto a scoccare la freccia contro lo schermo televisivo. L’arco è un grande simbolo metafisico, è I’archetipo: possiamo riferirlo alla memoria storica, al mito classico, ma essendo posto dalla parte del pubblico che, come in una rappresentazione teatrale osserva la scena, può rappresentare anche la coscienza critica dell’uomo e dell’intera collettività. L’arco quindi appartiene ad una memoria antropologica, è posto in alto ed è strumento di difesa dell’uomo che deve concentrarsi ed individuare bene I’obiettivo per difendersi dal nemico. Ecco allora due simboli mito appartenenti a diverse epoche della storia che vengono messi a confronto ma che stanno anche per scontrarsi: una scena della storia ed una scena della quotidianità. Nella stanza si avverte una certa tensione, un certo disagio: gli oggetti parlano, sono come le persone. Scritte, oggetti, immagini, suono, rumore del televisore, luci, performer e lo stesso pubblico, che è parte integrante della mostra scena, sono un insieme di elementi che vengo metaforicamente legati gli uni agli altri, permettendo ai signiflcati di insinuarsi da un contesto all’altro. La presenza del televisore non può che farci pensare alle teorie espresse da McLuban (il medium come messaggio e come massaggio, che plasma e modella la vita sociale ed individuale), ma anche alle dichiarazioni di K.Popper recentemente scomparso “…la televisione è il diavolo”. La televisione infatti è violenta, aggressiva, è il luogo della persuasione occulta e quindi manipola il consenso sociale, politico, ed ideologico. Lo schermo è immanentemente bianco e liscio, senza più trascendenza e profondità, ed è in attesa di essere sintonizzato. Non sappiamo quale immagine, quale messaggio, quale informazione arriverà dal mondo. Siamo sospesi a un filo sottilissimo: la freccia dell’arco può partire a colpire l’immagine che comparirà nel televisore. CONCENTRATI IDENTIFICA BENE L’0BIETTIVO RISVEGLIA LA TUA MEMORIA possono essere frasi correlate in difesa della nostra coscienza, assopita e narcotizzata. Tutti allora abbiamo delle responsabilità nei confronti del presente quotidiano poichè non abbiamo più le nostre difese naturali e siamo incerti perfino della nostra esistenza. Quali immagini potranno comparire dal televisore: di pace o di guerra? di bene o di male? di vita o di morte? o forse, per il momento, non c’è niente da vedere? Ancora all’uomo ed alla sua creatività la scelta del proprio destino.
Enrico Sconci