30 Giugno 2016
Con il contributo dell’ Università de L’Aquila – fondo per il diritto allo studio. Organizzazione: circolo universitario del Cinema. Cinema – collaborazione: Centro Multimediale “Quarto di Santa Giusta” – T.A.D. U. A. Teatro Accademico dell’Università dell’Aquila (vedi programma generale).
L’Aquila Arte e attualità al centro degli “Incontri Africani”. Alla scoperta di una cultura diversa
di LUCA TORCHETTI
Terza edizione della manifestazione organizzata dal Quarto di Santa Giusta, il Tadua e il Circolo universitario del cinema.
L’AQUILA – Una setti¬mana per incontrare l’Africa. Per conoscere qual¬che faccia dell’arte prima che sia troppo tardi, che la miseria e il miraggio di culture “estranee” (quella occidentale anzitutto) facciano sparire ciò che resta d’una storia vitale e antichissima.
E’ giunta alla sua terza edizione la rassegna “Africa-Incontri”, organizzata dal Teatro accademico dell’Università dell’Aquila (Tadua), dal Centro multi¬mediale “Quarto di Santa Giusta” e dal Circolo universitario del cinema. Una settimana e quattro iniziative per tornare a parlare d’un tema che accomuna tre enti culturali. Per pro¬logo, nella serata di ieri, i tamburi e le danze del Ma¬rocco, cui seguiranno il 2 e 3 dicembre dibattiti e incontri, insieme a una mo¬stra sull’arte contemporanea (pittura e scultura) di quel grande continente.
Argomenti lontani solo in apparenza, al centro anzi dell’attualità. I cui effetti li colgono anche gli abruzzesi, interessati come gli altri al fenomeno dell’immigrazione: un avvicinamento lento e inarrestabile (seppure contraddittorio) a culture e atteggiamenti diversi dai propri. Se un pregio va segnalato della manifestazione aquilana, è quello di parlare anche dell’attualità, dei guasti prodotti da comportamenti e modelli reciprocamente errati, lì come in Italia e in Abruzzo. Due temi per tutti, trattati ambedue dalla rassegna: il rapporto tra noi e gli immigrati, in che modo ne snaturiamo l’identità e la cultura, cosa resta loro del¬la terra d’appartenenza; i problemi inoltre, i danni, causati da modelli di sviluppo incongrui da cui sarebbe illusorio (l’immigrazione appunto…) chiamarsi fuori.
Il primo dei due temi verrà trattato in un video prodotto dal Circolo universitario del cinema; un filmato il cui titolo, “Gli invisibili”, non evidenzia episodi drammatici come quelli denunciati dalla cronaca, bensì la condizione di estraneità e solitudine cui sono costretti talora anche gli studenti neri, agiati e benestanti, che studiano nel capoluogo (il 3 dicembre alle 20,45 presso il Collegio d’Abruzzo in via Camponeschi). Del secondo tratterà invece uno studioso illustre, Tito Spini, architetto e antropologo che di queste vicende si occupa in organizzazioni culturali italiane e francesi (Palazzo Carli, ore 11,30, sabato 2 dicembre). Con lui ci sarà Giovanna Antongini.
La manifestazione inoltre, aperta ieri dai tamburi e le danze rituali dei Ghnaua marocchini, una confraternita di schiavi presente in tutta l’Africa del Nord (preceduta da Ferdinando Taviani, storico del teatro, che ha presentato il libro “La storia di Bilal”, sull’incontro di quella cultura con il Mezzogiorno italiano) darà modo agli appassionati d’arte figurativa di conoscere i fermenti e le espressioni nuove degli artisti contemporanei africani. Attraverso la presentazione della più importante rivista sull’arte nera, “Revue Noire”, edita a Parigi, ma soprattutto con una mostra che riproduce in grande formato i dipinti e le sculture più significative (inaugurazione il 2 dicembre alle 20 presso il “Quarto di S. Giusta”, in via Crispomonti).
Dice sugli “Incontri” Enrico Sconci, che dirige il “Quarto di S. Giusta”: «Credo sia la prima volta che teatro, cinema, arte contemporanea e musica si cimentano all’Aquila in una iniziativa univoca. Ancor più importante è il fatto che sia organizzata da tre piccoli (quanto a mole d’investimenti, n.d.r.) enti culturali: un segna¬le nuovo per la città. Vorrei segnalare infine il costo ridotto della rassegna, appena 7 milioni, a dimostrazione che la cultura è movimento, è proporre terreni non battuti con l’occhio attento alla qualità». Ma perché l’Africa’? «L’arte, qui da noi, conosce un momento di stasi, di fermo; è necessario dunque cercare altrove, nel Terzo Mondo. Né questa operazione è soltanto abruzzese».
Il Messaggero, 27 novembre 1992
Incontri “Africa ’92”
di ANTONIO GASBARRINI
Negli “Incontri Africa ’92” in corso all’Aquila, il tema delle megalopoli-miraggio africane ed i modelli di sviluppo errati (economici e culturali) sono stati affrontati da uno dei più noti sociologi ed antropologi italiani, Tito Spini, con la concisa chiarezza di chi da oltre venti anni conduce sul posto -vivendo tra i popoli Dogon, Kassena, Danxomè- una serrata analisi sulle nuove forme di sfruttamento coloniale. I cambiamenti in atto dei modelli di riferimento culturale possono essere percepiti nella mostra di “Documenti di artisti africani” allestita al Quarto di S. Giusta fino al 15 dicembre.
A Tito Spini chiediamo: in che modo la pittura e la scultura contemporanee degli artisti africani si inseriscono nel circuito dell’arte internazionale?
«Esistono attualmente due linee ben distinte di comportamento. Innanzitutto una voluta e conclamata presenza degli artisti africani nei mercati europei, grazie ai legami instaurati per ragioni di studio con la cultura occidentale; poi, sull’altro versante, un atteggiamento più chiuso ed autoctono, quasi sempre ideologizzato, che rivendica le proprie radici più specificamente popolari».
L’arte delle avanguardie europee, ad iniziare da Les demoiselle d’Avignon di Picasso, si è spesso ispirata al primitivismo della scultura africana. Quali sono oggi gli autori o le opere che possono continuare ad influenzare gli artisti europei ed americani?
«A mio modo di vedere, la scultura cimiteriale contemporanea, è uno dei serbatoi immaginifici più originali e stimolanti dell’arte africana. Gli artisti più affermati, comunque, provengono da quelle aree della tratta degli schiavi (Brasile e Giamaica, in particolare) in cui le tradizioni originarie si sono meglio conservate. Vedere oggi in un cimitero africano gigantesche mercedes o enormi televisori scultorizzati al posto della cappella o di tristi monumenti, non deve né sconcertare né tanto meno meravigliare. Siamo solo in presenza del vudu, della sacralizzazione, cioè, dell’oggetto appartenuto nella vita e che si desidera accompagni la persona scomparsa per sempre. Va anche detto che i modelli espressivi e stilistici occidentali sono tutt’ora delle frecce “necessarie” che continuano a colpire l’arte africana. Per approfondire queste succinte indicazioni consiglio di scorrere, qui al Quarto di S. Giusta, i primi sei numeri del trimestrale Revue Noir edito dallo scorso anno a Parigi».
Il Messaggero, 10 dicembre 1992