07 Maggio - 14 Giugno 1992
Le arti belle di Sylvano Bussotti, opere in musica e dipinte recentemente o nel tempo
con il contributo del Comune dell’Aquila e della Regione Abruzzo.
Con la collaborazione dell’ A.T.A.M., del Teatro stabile dell’Aquila e della casa Ricordi.
Presentazione della cartella codici d’arti Belle stampata da Crescenzi Allendorf Editori. Conferenza del critico d’arte Laura Cherubini, del compositore Mauro Castellano, e dell’autore Sylvano Bussotti.
Ore 18.00 Centro Multimediale – Inaugurazione della mostra.
Ore 21.00 concerto in galleria con M. Castellano (piano), L. Paoloni (violino), e S. Bussotti.
Nella ex sede dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila Creazioni musicali, lettura di testi originali, installazioni drammaturgiche, proiezione di video e films nell’opera integrale d’immagine dell’artista, occasionata dal Teatro alla Scala di Milano, dalla Biennale di Venezia, dal D.A.A.D. di Berlino e dalla collezione privata dell’autore.
musica e gesto – testo di Walter Tortoreto
Sylvano Bussotti, che ha simpatie e antipatie totali come si conviene a un grande artista, ha sempre dimostrato una sua singolare pre¬dilezione per la città dell’Aquila. Alla Società Aquilana dei Concerti di Nino Carloni ha affidato in passato la prima esecuzione di alcune sue splendide pagine. All’Ensemble Barattelli, creata da Fabrizio Pezzopane e Orazio Tuccella, ha consegnato lavori da eseguire in prima e con tale complesso Bussotti ha voluto anche lavorare, come si trattasse di un laboratorio vivente, in Italia e all’estero. Anche nel nome di un suo lavoro, “Concerto all’Aquila”, rinnova questa devozione fatta di teneri ricordi per il periodo passato a insegnare nell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila (dove ha lasciato allievi entusiastici e oggi vivissimamente grati) e di speranze affidate al futuro. All’ impegno e alla presenza di Bussotti all’Aquila si deve uno dei momenti più interessanti e riusciti delle manifestazioni collegate alla Perdonanza 1987. Per Sylvano è venuta a recitare all’Aquila Piera Degli Esposti che spiccò il suo grande volo proprio con il Teatro Stabile dell’Aquila. Per Sylvano, Piera è tornata a esibirsi nelle Chansons de Bilitis e sull’ avvenimento la stampa si è pronunciata con parole di alto elogio. Proprio in margine a questo episodio aquilano di Sylvano Bussotti, mi è sembrato opportuno tracciare del musicista sommo un profilo critico lontano dagli schemi usuali e, invece, attento a cogliere alcune costanti che sono, come accade con ciò che riguarda S. Bussotti, un intreccio inscindibile di elementi psicologici, culturali, tecnici, biologici o anche aerei (volatili) e misteriosi.
Come qualche maestro del passato, tra i più grandi che la storia musicale d’Italia abbia avuto, Sylvano Bussotti ama insegnare. Viene in mente, a questo proposito, il caso dei Gabrieli, Andrea e Giovanni, compositori veneziani di formazione internazionale ai quali Bussotti può essere paragonato anche per tanti altri versi: interesse esplicito per la ricerca e la sperimentazione, ma una sperimentazione sempre vissuta nel vivo dell’attività creativa; l’attenzione al rapporto tra il suono e lo spazio; uno stile spettacolare e coloristico che costruisce un insieme sontuoso, fastoso con la più meticolosa cura dei particolari. Abituati a considerare, della musica, esclusivamente l’aspetto temporale, ne censuriamo così una dimensione essenziale. Ogni opera musicale è senza dubbio una progressione lineare nel tempo; la musica, cioè, percorre il tempo e lo misura secondo un ritmo interiore (che è quello dell’artista). Ma c’è un altro aspetto, quello spaziale, che non è meno evidente, anche se meno considerato, nella struttura complessiva dell’evento sonoro. La musica nasce dal silenzio e dal raccoglimento come un gesto carico di mistero. La musica percorre e segna lo spazio facendolo vibrare con lo stesso ritmo che occupa il tempo. La struttura del suono è fragilissima e straordinariamente fugace. L’evento sonoro, infatti, dura non più di un attimo; la sua esistenza è destinata a disperdersi immediatamente dopo quel suo attimo di vita. Ma quell’attimo basta a definire uno spazio, e talvolta anche un destino. La musica è uno dei doni piu alti che l’uomo abbia fatto a se stesso per esprimere, senza mediazioni, il suo cuore e il suo spirito. Ma esiste anche una musica, nell’universo, che l’uomo non crea e che scopre indagando sullo spazio e imparando a conoscere ciò che è intorno a lui. Secondo la maggior parte delle credenze, l’inizio del mondo è stato un evento sonoro. Anche la parola della Bibbia fu all’inizio un suono. E questo conserva in sè qualcosa di eterno, qualcosa che supera i confini del tempo storicamente definito, e qualcosa d’indefinito poichè rompe i confini del nostro spazio geografico. Nella musica di Bussotti sono presenti queste intuizioni perchè egli ha dedicato tanta parte delle sue riflessioni al gesto. E la musica è gesto non soltanto nel senso brutale che ci si deve muovere per produrre un suono vocale o strumentale, ma anche nel senso piu elevato che senza gesto, senza occupazione dello spazio, non ci sarebbe musica. E il gesto esterno, il gesto per così dire meccanico è soltanto l’apparenza, la buccia di una sostanza alla quale di continuo l’arte di Bussotti tende e rinvia. Attraverso certi movimenti della mano (pensiamo un attimo al soave verso dantesco “coi dossi della man facendo insegna”), o in rapidi gesti del capo, o in attitudini del corpo, sempre Bussotti esprime un moto dell’animo, un pensiero segreto, un sentimento oppure un desiderio che può essere anche presentimento al quale l’atteggiamento dell’artista dà nobile efficacia ed espressività. Mi pare che Leon Battista Alberti abbia usato l’espressione piu adatta a dipingere le intenzioni di Bussotti: “udire il gesto”. Non è questo il momento piu idoneo a indagare sulle gestualità (al plurale) di Bussotti musicista (ben piu agevole è farlo sul Bussotti regista e interprete della sua scrittura musicale disegnata perchè sia evidente che per lui si tratta di un’attività creativa e artistica; e in quanto artistica, tale attività è frutto di un artigianato che è insieme lavoro, tecnica ed emozione. Anche nella finzione, come nella danza o sulla scena operistica, quando si rappresenta o esegue la musica di Bussotti (perchè egli è sempre ed esclusivamente musicista, anche quando sembra occupato in attività non direttamente musicali), vediamo emergere con evidenza corposa due elementi: la sovversione e la scoperta. Bussotti è, come tutti gli artisti (ricordiamo le tesi di Marx su Balzac?), un progressista; il suo sguardo va al futuro e perciò egli sa che la lingua dell’arte ama soprattutto la trasgressione. La ripetizione delle regole produce esempi grammaticali non opere d’arte. Nella gestualità della musica di Bussotti, le forme ordinarie del linguaggio, e quindi del potere, sono chiarite fino a diventare trasparenti. Gli elementi rimossi dall’ordinata coscienza collettiva tornano a galla e s’impongono come s’impone l’inconscio malgrado i tabù, proprio con lo stesso meccanismo con cui viene pensato ciò che a una società si vieta di pensare. Tra l’altro, in una società in cui si parla tanto e il bla bla imperversa dappertutto, il gesto ha l’efficacia dell’inedito. La scoperta d’altro canto è di tipo rousseauiano, ossia è il bisogno di tornare alla semplicità e alla natura. Viene in mente Althusser: “sebbene ciò possa apparire paradossale, possiamo ipotizzare che, nella storia della cultura umana, la nostra epoca rischia di sembrare un giomo segnata dalla prova piu drammatica e faticosa che vi sia: la scoperta e l’apprendimento dei gesti piu semplici, vedere, ascoltare parlare, leggere, quei gesti che pongono gli uomini in rapporto con le loro opere”. E’ quindi una scoperta e un restauro (v. Althusser e Balibar, Lire le Capital, Paris 1965). Il gesto è l’aspetto sociale e socializzante della musica. A differenza dell’ascolto solitario del disco (oppure della visione, che è sempre privata, di un film musicale, per esempio La Traviata di Zeffirelli o la Carmen di Rosi), il concerto e il teatro danno il gusto dell’evento sociale. Andare al concerto significa vedersi sentire la musica assieme agli altri, partecipare a un rito che ha del sacro, respirare l’aria che vibra satura di misteriosi e festosi richiami, e insieme significa godere di un processo di comunicazione che avviene per il solo fatto che si sta li insieme. Mi pare che nella produzione di Bussotti questo elemento sia essenziale perchè egli cerca di ricreare, suscitando emozioni inedite, quel processo smarrito di reciproca comunicazione tra palco e platea e, nella platea, tra tutti i presenti. E’ questo, uno dei valori semantici più vistosi della musica di Bussotti e, in genere, della sua poliedrica attività. In ciò, credo, l’artista toscano ha, oltre all’esempio del grandi maestri ai quali ama riferirsi nelle sue conversazioni o negli scritti, un maestro sommo, la natura che è sempre stata la stessa. E forse proprio per questo egli privilegia l’aspetto gestuale, perchè si tratta di un aspetto universale come è universale lo stesso linguaggio della musica, che non ha bisogno d’interpreti (ma questo porre il problema della polisemia della musica in termini un pò semplicistici non deve significare che non si tengano presenti le questioni legate alla comunicabili lo della musica). Qui si tocca un altro aspetto dell’attività di Bussotti che arricchisce in modo speciale la città dell’Aquila. Come accennavo in apertura, da sempre i migliori maestri hanno pensato all’attività didattica. Non c’e musicista del passato che non abbia avuto i suoi allievi preferiti e, in ogni modo, un’attività didattica più o meno intensa. L’Europa si è riempita di allievi di Frescobaldi, di Andrea e Giovanni Gabrieli, di Corelli, di Pasquini, di Porpora.
Oggi i maestri si defilano. A parte qualche caso isolato, i compositori di bel nome e i grandi virtuosi non sembrano intenzionati a formare le nuove schiere di musicisti. In genere nel Novecento, e in particolare dopo l’ultima guerra (ove si escluda il fatto clamoroso di Darmstadt, clamoroso anche per la sua stessa esistenza), l’aspetto didattico si è illanguidito nel catalogo, diventato amplissimo, delle attività dei maggiori musicisti, compositori in testo. Eppure proprio le caratteristiche della nuova musica esigerebbero un impegno maggiore sul versante didattico. Non che si debba, o si possa, insegnare la creatività; ma certamente il problema di una nuova didattica e uno dei più seri, oggi, nel mondo dell’organizzazione musicale, giacchè è posto dall’attività stessa dei musicisti che scelgono pratiche più o meno sperimentali alle quali i Conservatori rimangono tenacemente chiusi o ostili, benchè non manchino casi di felice eccezione. Al contrario, la cura di Bussotti verso i giovani (lo ricordiamo all’Accademia di Belle Arti dell’Aquila; lo abbiamo visto con commozione nel lavoro con l’Ensemble Barattelli, ne conosciamo l’intenso impegno a Genazzano e a Fiesole) è amorevole e ammirevole, ed è la trepida premura del vero artista per il futuro di un’arte di natura così fugace ma pure cosi resistente e dura e perfino prepotente, da poter cambiare destini umani… Tutto questo è riflessione suggerita dagli splendidi spettacoli che Sylvano Bussotti ha preparato negli ultimi tempi per L’Aquila, una città oggi sospesa tra nostalgia e bisogno, avventura e paura. Avendo scritto altrove su “L’orecchio di Dioniso”, aggiungerò che ‘Le Chansons de Bilitis” mi hanno affascinato perchè nella realizzazione scenica studiata da Bussotti e da Rocco c’era un intreccio indissolubile di sonorità datate ma anche sospese (impressione di timbri antichi con l’imbarazzo di esserlo), c’era il sentimento di un continente recuperato (una Grecia tradotta dall’egiziano), c’era una psicologia finemente modellata benchè suggerita per tramiti sottili e indizi o lievi evocazioni e c’era il teatro creato con una parsimonia di mezzi che m’induceva a pensare alle prime rappresentazioni medievali organizzate da improbabili cluniacensi. Una bella lezione di stile e di moralità. Ma soprattutto c’era l’emozione che coglie senza scampo, quando si assiste agli spettacoli di Sylvano Bussotti.