27 Agosto – 25 Settembre 2000
ANNUALE D’ARTE 2000 – Lo scandalo dello spirito
Mostra d’arte contemporanea a cura di Enrico Sconci . Sedi espositive: Muspac – Castello Cinquecentesco –
– Patrocinio del Ministero dei Beni e attività culturali – Soprintendenza ai BAAAS d’Abruzzo – Regione Abruzzo –
Comune dell’Aquila
COMUNICATO STAMPA
L’Associazione Culturale Centro Multimediale “Quarto di Santa Giusta”, in base all’attività artistica svolta con continuità dal 1984 e ad una serie di positivi rapporti instaurati, tramite il Museo Sperimentale, con critici d’arte ed artisti di livello nazionale ed internazionale, realizzerà, dal 27 agosto al 24 settembre 2000, con il contributo ed il patrocinio degli Enti e delle Istituzioni sopra elencati, la manifestazione artistica ANNUALE D’ARTE 2000 – Lo scandalo dello spirito (Arte Contemporanea per Celestino V).
Gli spazi per la mostra, messi a disposizione dalla Soprintendenza ai BAAAS d’Abruzzo, sono quelli del monumentale Castello Cinquecentesco dell’Aquila; inoltre verrà utilizzata anche la sede del Muspac in via Paganica, 17.
L’esposizione comprenderà le opere migliori della collezione permanente del Museo, ma si incentrerà soprattutto sulla partecipazione diretta di artisti viventi di livello internazionale, che installeranno nuove opere appositamente concepite e realizzate per questa mostra. Il più grande artista americano JOSEPH KOSUTH, (Toledo, Usa, 1945), principale esponente dell’arte concettuale, animatore del dibattito sul ruolo dell’artista nella società contemporanea ed autore di numerosi scritti teorico – programmatici e libri, fra cui L’Arte dopo la filosofia – Il significato dell’arte concettuale (ristampato numerose volte dal 1969, oggi per l’edizioni Costa & Nolan), ha già ideato e realizzato la propria installazione sul tema di Celestino V dal titolo “Vita et Miracula (-)”; FABIO MAURI, che ha realizzato in passato eventi, azioni e performance per il Muspac, ha preparato un nuovo grande lavoro “Una storia moderna” con frasi tratte dai Vangeli e dalla Bibbia; LUCA PATELLA ha progettato il “Vas Caelestinus V”, un mosaico alto m.2,50 sul ritratto fisionomico di Celestino, realizzato dal laboratorio aquilano “Memorie”; GIUSEPPE CHIARI, LUCIANO FABRO, VETTOR PISANI, NUNZIO ed altri grandi artisti stanno realizzando opere ed eventi per questa mostra, anche i giovanissimi si sono confrontati per la prima volta con la storia di Celestino V, realizzando importanti opere. Il percorso espositivo inizierà con artisti della generazione degli anni ’60 per arrivare, attraverso gli anni ’70 ed ’80, fino alle nuovissime generazioni.
Nello spirito e nella continuità delle prestigiose rassegne di Alternative Attuali, degli anni ’60 e ‘70, che furono conosciute in tutto il mondo, la mostra avrà cadenza annuale con lo scopo di dare, come altre importanti rassegne nazionali, un grande rilievo all’arte contemporanea. Non a caso per il manifesto abbiamo scelto un disegno che fu concepito da Magritte appositamente per la città dell’Aquila, in occasione di Alternative Attuali, curate da Enrico Crispolti ed organizzate dall’E.P.T.
La scelta di questa immagine vuole rappresentare per noi un collegamento ideale con quanto di importante dal punto di vista artistico è stato fatto in passato, ma si presta molto bene anche al tema dell’ascolto spirituale che intendiamo proporre con l’arte di oggi, all’inizio del nuovo millennio.
Poiché l’Arte inizia dove finisce la semplice esistenza materiale, eccoci allora a “Lo scandalo dello spirito”, il cui significato è dato da chi ascolta e guarda, non dimenticando però, in questa “Perdonanza Celestiniana” del 2000, la profonda essenza spirituale di Pietro Angeleri che restò prigioniero involontario di un sistema a lui troppo estraneo. Divenendo Papa con il nome di Celestino V, dopo appena sei mesi, dette scandalo con il suo gran rifiuto, perché contrario ad un altro tipo di scandalo, quello creato dal suo successore Bonifacio VIII, che con la sua avidità e le sue ambizioni (“Io, sono Cesare, io, sono imperatore!”), con la sua strategia politica e con la caccia alle indulgenze, interpretò il Vangelo in modo diametralmente opposto a quanto, con la sua condotta, aveva fatto invece Celestino.
Celestino creò una sorta di scandaloso inciampo nel consolidato sistema dell’epoca per essersi rifiutato di benedire gli eserciti delle crociate che si recavano in guerra, per aver rifiutato il potere preferendo l’ascolto divino negli eremi delle montagne d’Abruzzo. Così anche la spiritualità dell’arte, sia in senso oggettivo che soggettivo, può creare ancora oggi un sano scandalo per una società in guerra, immersa in continui conflitti: conflitti ideologici e conflitti di interessi economici, sociali e politici.
Oggi come ieri la storia si ripete sotto diverse sembianze. Quella di Celestino, nelle opere degli artisti presenti in questa mostra, così come recita la “Nota su Celestino” di Fabio Mauri, infatti è ancora una storia attuale.
Siamo ambiziosi; vogliamo accostarci al primo Giubileo della Storia, creato da Celestino V nella Basilica di Collemaggio a L’Aquila, con un nostro sotterraneo Giubileo dell’Arte, in silenzio, lontano dal frastuono del mondo, difendendoci con l’arma libera e autonoma del linguaggio dell’Arte: con lo scandaloso spirito di questa prima “Annuale d’Arte 2000”.
Enrico Sconci (direttore del Muspac)
Joseph Kosuth è una figura chiave nell’ambito della ridefinizione dell’oggetto artistico avvenuta negli anni sessanta e settanta con la formulazione dell’arte concettuale, che indaga e mette in questione le forme e pratiche tradizionali dell’arte nonché le teorie connesse. Per far questo Kosuth è stato uno dei primi ad impiegare strategie di appropriazione, testi, fotografie e installazioni nonché a ricorrere all’uso dei media pubblici. In Kosuth l’arte stessa è essenzialmente un processo di messa in questione. Ne consegue che sono stati riconsiderati tutti gli aspetti dell’attività artistica, dalla funzione degli oggetti al ruolo dell’esposizione stessa. Il contesto dell’arte – come essa produce significato e al contempo viene a sua volta influenzata dal mondo – viene rappresentato in ‘Thirteen Locations of Meaning’, l’installazione di Kosuth attualmente esposta al Torrione Passari. Il suo lavoro si interroga sulla presentazione e ricezione dell’arte affrontando proprio le categorie che definiscono che cos’è l’arte. Per Kosuth il “visivo” non è altro che una parte di una struttura complessa che produce significato all’interno dell’arte, ma non la sua base. A partire dagli anni sessanta gli elementi della sua opera sono stati tutti mutuati da altri contesti: filosofia, letteratura, libri di riferimento, cultura popolare, teoria scientifica e così via. Egli utilizza i significati tramandatici per generare un proprio nuovo significato.
Come Joseph Kosuth ha spiegato in merito all’opera attualmente esposta a Molfetta, “Un lavoro come questo ha un interno ed un esterno e quando questi vengono concepiti congiuntamente l’opera risulta completa. Il soggetto di questo lavoro è infatti ciò che viene messo in luce: esso mostra le differenze culturali e linguistiche quali vero soggetto della questione del “significato” resa visibile nella presentazione della diversità del soggetto nominale costante per ogni elemento. ‘Thirteen Locations of Meaning’ risale ad un’esposizione a Castel Sant’Angelo originariamente intitolata ‘God’ (realizzata con il sostegno dell’Arcidiocesi di Roma e del Rabbino Capo di Roma) e per tale motivo il colore scelto per l’opera era il blu di Giotto, il primo colore che gli esseri umani possono distinguere da bambini. Tale “differenza” come soggetto era il mio modo ellittico di trattare la differenza religiosa – essendo “God” il termine più problematico in assoluto – e l’impatto di questa differenza sul mondo nel corso della storia e, specialmente, al giorno d’oggi. In seguito, quando l’opera fu esibita in altri contesti culturali e linguistici, venne aggiunta la parola “significato” nei singoli contesti, inclusi gli Emirati Arabi e Sarajevo. I tre elementi aggiunti a Molfetta erano la parola “significato” in dialetto molfettese, ebraico e turco, giacché queste tre lingue costituiscono una parte importante della storia culturale e linguistica della torre.”
Quando non molto tempo fa venne interrogato sulla relazione della sua opera con l’architettura di questo luogo, Kosuth rispose: “Io cerco di evitare il cubismo che probabilmente significa modernismo, nel senso che non è una composizione che crea il proprio spazio. Lo spazio che occupa è nel mondo, non fittizio. Cerco altresì di evitare, in modo sistematico, cose che sono semplicemente decorative o l’idea del “bello” che potrebbe essere suscitata in qualcuno. Il gusto dovrebbe essere usato, qualora necessario, ma non celebrato. Io cerco di utilizzare l’architettura come una forma naturale e culturale prestabilita. Cerco di lavorare con l’architettura prestabilita in modo da evitare ogni imposizione, così la mia opera diventa un tutt’uno con essa. Inoltre cerco sempre di intervenire laddove mi sembra più adeguato. La mia opera per esempio è sempre priva di colore a meno che non vi sia un motivo importante per usarlo. Deve essere chiaro che la mia opera è una costruzione della sua stessa idea, benché, come sappiamo, ogni cosa può avere un effetto decorativo anche se non era questa l’intenzione. Vedere l’opera come decorazione significa generalmente che si perde un livello più profondo.”
Joseph Kosuth ha dichiarato quanto segue sul suo uso del neon: “Ho iniziato ad usare il neon a metà degli anni sessanta. Mi piaceva l’idea di utilizzare un materiale usato per la segnaletica, che in un certo senso lo altera per l’arte. Al tempo stesso volevo preservare una sottile relazione con l’idea di pubblicità della cultura di massa. Qualcuno ha detto che l’arte concettuale era la via di mezzo tra pop art e minimal art; io trovo questa tesi alquanto divertente. Quando lavoro con il neon uso caratteri che non si trovano nella pubblicità, così la gente ha soltanto una traccia dell’elemento pubblicitario, ma non lo percepisce come la pubblicità per una birra, per esempio. A metà degli anni sessanta il neon aveva per me innumerevoli potenziali perché stavo creando tautologie ed avevo bisogno di un modo di presentare un testo che potesse avere delle qualità (neon, materiale elettrico, vetro, etc.). Non si tratta in realtà di un materiale artistico. Si possono contare su una mano gli artisti che hanno usato il neon coerentemente negli ultimi trentacinque anni. Non è come la pittura o altri materiali artistici che hanno una convenzionalità, una tradizione. Il neon ha una fragilità che lo rende più simile alla scrittura. Non è permanente. Ha una diversa dimensione della permanenza. Poiché il neon tende ad adattarsi bene ai progetti pubblici, che attirano più attenzione, la gente associa la mia opera ad esso. Ho iniziato ad usarlo a metà degli anni sessanta. Ma rappresenta soltanto uno dei modi in cui lavoro.”
Altri lavori analoghi di Kosuth sono attualmente esposti come installazioni permanenti in Italia, a Venezia sulla facciata della Querini Stampalia (‘The Material of Ornament’, 1997), a Napoli nella Metropolitana a Piazza Dante (‘Queste cose visibili (Napoli, per Ferruccio Incutti, 2001) e a Torino vicino al ponte Vittorio Emanuele (‘Doppio Passaggio, Torino, 2001).
A livello internazionale, analoghi lavori pubblici, sia permanenti che temporanei, possono essere ammirati in Germania a Francoforte (‘Ex Libris Frankfurt (for W.B.)’, 1990), Stoccarda (‘Beschriebene Maßnahme (eine Widmung)’, 1994), Hannover (‘Leibniz Located’, 2000) e Unna (‘Die Signatur des Wortes (Licht und Finsternis)’, 2001), nonché in Venezuela (‘Humboldt’s Range’, 1995, Caracas), in Olanda (‘Spel van Advies’ ‘(Play of Advice)’, Eindhoven 1996), in Svezia (‘Freedom and Belief (Their Own Affair)’, 1998, Stoccolma), in Giappone, (‘Words of a Spell, for Noëma’, 1994, Tokyo), in Belgio, (‘Nothing Circled, Twice’, 1999, Bruxelles) e in USA, (‘In the Lair of the Skull’, 2001, Virginia).
E’ nato nel 1945 a Toledo nell’Ohio, vive e lavora tra New York, Gand (Belgio) e Roma.
Kosuth, uno dei pionieri dell’arte concettuale, iniziò negli anni ’60 ad esporre opere basate sul linguaggio. E’ inoltre famoso per creare lavori pubblici permanenti all’aperto.
L’artista ha scelto per la sua installazione due scritte al neon che riproducono le frasi di Italo Calvino e di Friedrich Nietzsche, scrittori che amarono Torino e che si identificarono con la città. Joseph Kosuth svolge una intensa attività teorica in ambito concettuale i confini della quale si confondono con quelli della sua stessa produzione artistica, a partire dalla celebre “One and Three Chairs” del 1965, in cui vengono presentate tre versioni di una sedia, una iconica (la fotografia), una fisica (la sedia reale), una verbale (la definizione di sedia da vocabolario), portando allo scoperto la loro equivalenza comunicativa e nello stesso tempo evidenziando nel fatto comunicativo il comune denominatore di ogni possibile veste del soggetto, la sua vera natura e nello stesso tempo la vera natura del lavoro. Si può pensare che qualsiasi altra sedia e anche qualsiasi altro oggetto diverso può assolvere la funzione sopra descritta, così come in un altro lavoro di Kosuth, “Qualsiasi lastra di vetro di un metro e mezzo da appoggiare a qualsiasi muro”, si può, come egli stesso scrive, “pensare che qualsiasi altro pezzo di vetro sarebbe potuto andare altrettanto bene, sicché l’opera non dipendeva da quel vetro particolare, ma esisteva molto in astratto”. Conseguentemente l’opera d’arte viene considerata soprattutto come “proposizione linguistica che trova in se stessa il criterio del proprio valore” (Kosuth). In questo contesto Kosuth esplora anche il campo della tautologia: spostandosi l’arte dal lavoro alla riflessione sul lavoro, all’enunciazione di un concetto, se la stessa enunciazione costituisce visivamente l’opera il significato coincide, tautologicamente, con la sua descrizione, giungendo al massimo di eliminazione del soggettivo e al massimo della verificabilità della correttezza e verità della proposizione.
Art & Language, gruppo costituitosi in Inghilterra a metà degli anni ’60 e di cui fanno parte con altri Terry Atchinson (1939), David Bainbridge (1941), Michael Baldwin (1945), Charles Harrison (1942) e Harold Hurrell (1940), centrano la loro azione direttamente sulla questione teorica dell’arte, dei problemi linguistici e filosofici che essa pone all’artista nel suo rapporto con la società. Le loro opere sono destinate esclusivamente ad analizzare i metodi e le ragioni della produzione artistica. Filosofia, sociologia e politica entrano nel campo di interesse dell’arte ed escludono l’attenzione verso le distrazioni rappresentate dalla realtà degli oggetti.
NOTA SU CELESTINO
Una storia moderna di Fabio Mauri
Una serie di fogli d’acquerello, i passepartout dipinti ad olio, incisi a secco, con date sconosciute ricorrenti (il 21), alcuni nomi e frasi brevi o più lunghe tratte dai Vangeli e dalla Bibbia.
Una storia a pezzi come quella di un artista, uno anonimo, dell’esistenza in generale, e di Celestino V.
Il corpo naviga in rapporto stretto con la religione.
I suoi bisogni coincidono con il dolore: ho fame, ho sete.
Al centro si disegna l’ordine interrogativo dell’esistenza.
Chi decifra le frasi fa da filo di imbastitura a una storia, vera o simbolica,
uguale alla storia drammatica del mondo.
Eternità e temporalità scorrono intangibilmente parallele; in mezzo il vuoto di una memoria disabile.
Solo la morte non viene mai dimenticata.
Solo una coscienza inesatta resta a l’uomo.
L’incertezza globale si erige in luogo di una fede costruita.
Una cattedrale terrena, un paradosso.
L’usuale e l’inesplicabile si fanno abituali. Senza fini propri.
Uno scambio tra codici diversi di linguaggio muto.
La croce spezzata, (la metto, non la metto?), è simbolo della religione irreligione moderna.
O forse è simbolo della croce.
Simula un cavalletto. Allude al papa autodisdetto. Un accurato design del dolore, incompleto, dell’esistenza.
L’enigma, per via di memoria storica, si riforma attualmente intero, reintegra l’obbligo ragionevole di una inevitabile attesa.
Una mostra che non mostra.
L’invisibile non ama apparire oltre l’apparenza. L’apparenza basta, da tempo.
Luciano Fabro
C’era una lotta tra dio e la natura:dio con la terra ha cercato qualcosa di diverso dalla terra: l’uomo. Perciò se la pietra diventa fiore, è altro…L’acqua scolpisce il sasso quanto il sasso scolpisce l’acqua, l’uno nasce in concomitanza dal negativo dell’altro, natura sono l’una e l’altra.
Avete mai guardato le rocce che assomigliano al vento da cui nascono?
lo vedo che com’ è natura anch’ io sono, man mano che si modifica la roccia si modifica anche il vento perché sono tutt’uno, la natura è roccia-vento-ecc… La natura non è immagine solo di se stessa ma anche dall’immagine da cui origina, ci si comporta con la natura da natura.
Anche lo stato sociale è una componente, esso provoca nell’artista innegabilmente delle modificazioni, ma solo esteriori; come un albero, a seconda dello stato in cui vive, cresce più o meno rigoglioso oppure muore, ciononostante senza modificare la sua natura se non (forse) in tempi darwiniani.
Luciano Fabro (1936) è tra gli iniziatori di Arte Povera (1967), di Apitico (1976), della Casa degli Artisti di Milano (1978).Le sue opere sono nelle collezioni dello Sfinoma, del Beauborg, della Tate Gallery, che con altri musei, tra cui il Pac e Rivoli, gli hanno dedicato mostre monografiche. I sui
scritti sono tradotti in varie lingue. Insegna all’ Accademia di Brera dal 1983. Per Einaudi ha pubblicato “Attaccapanni” (1978) e ”Arte torna arte” (1999).
La Casa degli Artisti è dal 1978 luogo di incontro e di lavoro tra differenti generazioni. Lo scopo è creare situazioni che rigenerino le problematiche dell’arte. La questione emersa di recente nelle opere e nelle discussioni è quella dell’immagine e da questa ha avuto origine, a partire dall’ ottobre 1998, una serie di mostre del Collettivo Italiano, di cui fa parte anche Luciano Fabro, dedicate all’ “Immagine naturale”.
Con Luciano Fabro espongono:
Claudio Citterio, David Francesconi, Arianna Giorgi, Diego Morandini, Michele Orlandi, Nicola Palumbo, Luisa Protti, Pasca I Schwalgofer, Alessandra Tavola, Luciana Trombetta.
Gino Sabatini Odoardi
“RI-EVOCAZIONE” 2000
La bolla di Celestino si fa materia d’indagine. Il contenuto -ambizioso- è apparentemente esentato per far posto ad una rilettura della bolla in quanto oggetto formale.
Particolari o frammenti ingranditi tecnologicamente e modificati neutralmente in scala di grigi si ri-propongono di sostenere per mezzo di mensoline -rivestite di pittura digitale- una forte presenza simbolica ben definita dalla cristianità: il vino.
La bolla de-costruita, questa mutata superficie più riconducibile ad una pietra marmorea che ad un supporto cartaceo, si fa bassorilievo-scultoreo.
Acquista una nuova profondità che le mancava. Diventa nuovamente lapidaria.
Il rosso -quasi cadmio- intenso del vino è reso cristallino dal vetro che lo contiene. L’accostamento con il fondo crea nuove luci, individuali trasparenze.
Le basi grigie poste frontalmente sorreggono anch’esse bicchieri su tela; vini sovrapposti entro torri di vetro rimandano ad una festa iniziata o forse già finita.
Si ri-evoca cerebralmente un disposto di Matteo Di Masio del 1416 con l’offerta del vino ai perdonanti. Una sorta di bar dell’indulgenza, credo!